Cuba in rivolta per la crisi economica, la fame e il Covid
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Internet e smartphone sono i veri grandi alleati delle manifestazioni a Cuba che, in pochi giorni, sono partite dal piccolo centro abitato di San Antonio de Los Banos per estendersi ad altre 25 città, capitale compresa. Erano decenni che non si vedevano proteste di tale portata sull’isola, con la comunità internazionale che accusa il governo di Miguel Dìaz-Canel di "arresti inaccettabili". Washington avverte l’Avana di non imputare agli Stati Uniti quanto sta accadendo, chiede alle autorità di ascoltare il popolo e diffida da qualsiasi uso della violenza contro i manifestanti, mentre Paesi dell’area, come Argentina e Messico, così come la Cina, invocano lo stop all’embargo statunitense. A garantire il supporto ai cubani anche la Russia, che mette in guarda contro qualsiasi interferenza esterna a Cuba.
Un popolo ridotto alla fame
“Il governo cubano non riesce più a controllare bene la situazione”, spiega Alfredo Somoza, giornalista esperto di America latina, che precisa anche la novità dei motivi di queste manifestazioni. La pandemia di Covid oltre a registrare grandi numeri, con una vaccinazione per ora ridotta solo al 15% della popolazione, nonostante il vaccino autoprodotto, ha messo in luce le debolezze del sistema sanitario. A tutto questo si associa la drammatica situazione economica, aggravata dalla totale assenza del turismo. “Non arrivano più i dollari – spiega Somoza – che il governo utilizzava per comperare alimenti. Quindi: povertà, difficoltà nel reperire il cibo, sanità che fatica e inflazione, un combinato disposto che ha portato migliaia di persone in piazza, con slogan che chiedono al governo di andare avanti velocemente sul piano delle riforme che aveva promesso il presidente Dìaz-Canel quando si è insediato, primo presidente cubano che non fa parte della famiglia Castro”. “Non sono proteste legate all’opposizione tradizionale, e neanche all’opposizione intellettuale cubana – aggiunge Lucia Capuzzi giornalista di Avvenire, anche lei esperta di America Latina– sono proteste di persone che hanno fame”.
La rischiosa scommessa di Biden
Cuba è un simbolo per tutti gli altri Paesi dell’area ma, in quanto ad importanza economica, è del tutto insignificante, prosegue Somoza, ma non dal punto di vista dei rapporti con gli Stati Uniti. Paesi come Messico e Argentina hanno già manifestato preoccupazione per una possibile ingerenza degli americani, temendo che “approfittando di questo malcontento possano tentare ancora una volta, come già successo in passato, qualche colpo di mano a Cuba”. Biden, aggiunge Capuzzi, “deve decidere se vuole proseguire sulla via di Trump e prendere l’isola per fame, ma questo comporta un grosso rischio, nel senso che la grande scommessa dei democratici statunitensi, così come di una parte importante di esuli cubani, sicuramente non castristi ma nemmeno legati all’oltranzismo degli esuli classici di Miami, è quella di una transizione ordinata. Ora però una esplosione o implosione del governo implicherebbe una situazione di caos e una probabile ondata di profughi verso le coste di Miami”.
I vescovi locali: cercare accordi comuni nell'ascolto reciproco
Intanto, in un comunicato diffuso ieri, i vescovi dell’isola si rivolgono a tutti i cubani “di buona volontà” invitando a non chiudere gli occhi di fronte agli eventi di questi giorni. I presuli riconoscono che “la gente ha il diritto di esprimere i propri bisogni, desideri e speranze” e di dire anche “pubblicamente” come alcune delle misure prese dal governo li stiano “seriamente colpendo”. E si dicono preoccupati che da parte del governo “le risposte a queste richieste siano l'immobilità che contribuisce alla continuità dei problemi, senza risolverli." Di fronte alla rigidità e all'indurimento delle posizioni "che potrebbe generare risposte negative, con conseguenze imprevedibili che ci danneggerebbero tutti”, i vescovi scrivono che si arriverà ad una soluzione solo “quando si eserciterà l'ascolto reciproco, si cercheranno accordi comuni e si faranno passi concreti e tangibili" che contribuiscano, a costruire la Patria "con tutti e per il bene di tutti". Nel comunicato i vescovi cubani citano Papa Francesco che insegna “che le crisi non si superano con lo scontro ma cercando la comprensione”. L’invito è a non cedere alla violenza, ma ad assumere un atteggiamento di comprensione e di tolleranza “che tenga conto e rispetti l'altro per cercare insieme le vie per una soluzione giusta e adeguata”.
La preoccupazione della Chiesa per la crisi economica
I vescovi cubani poche settimane fa, con un altro messaggio avevano manifestato tutta la loro preoccupazione legata alla situazione economica del Paese. “La Chiesa – spiega Capuzzi – è al fianco della popolazione cubana, cerca di supportare il più possibile le necessità, ma non basta”. “Credo – è il pensiero della giornalista – che la grande linea per Cuba sia stata tracciata da Papa Francesco, che è stato uno dei grandi facilitatori del dialogo tra Raul Castro e Barack Obama nel 2014. Il sogno era che si potesse avviare un disgelo e si potesse avviare un’apertura di Cuba, senza scossoni violenti". La violenza spaventa la Chiesa, anche perché una volta scatenata è difficile tornare indietro e con violenza si deve intendere anche la forte repressione che c'è stata delle proteste”. Ora, però, a rimanere strangolate nel mezzo di tutto questo caos sono le forze riformiste, quelle più interessate ad un reale cambiamento di Cuba, “un cambiamento – conclude Capuzzi – che non sia solo una rivolta della fame”.
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