Il G8 del 2001, i tre giorni che devastarono il mondo
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
“Ascoltate il grido dei poveri” che chiedono “ciò che è loro sacrosanto diritto”. Il drammatico appello che Giovanni Paolo II lanciò in vista del G8 di Genova, all’Angelus del l’8 luglio del 2001, rivolto a governanti e responsabili economici di tutto il mondo, pesa ancora sulla coscienza di chi, in quei giorni di luglio di venti anni fa, si adoperò perché Genova, e quell’importante evento, si macchiassero di sangue e violenze e perché si ricordasse, come denunciò allora Amnesty International, una “violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia più recente”. Di quei giorni, la storia ricorda le violente devastazioni ad opera dei black bloc che distrussero negozi e automobili, i roghi, il lancio di lacrimogeni, ma anche i pestaggi, le violenze, le torture contro i manifestanti da parte di alcuni agenti di polizia, nella caserma di Bolzaneto, nella scuola Diaz e per le strade della città. E poi la tragedia dell’uccisione di Carlo Giuliani, da parte del 21enne carabiniere Mario Placanica che, ancora oggi, dopo esser stato prosciolto per legittima difesa e uso legittimo delle armi, vive con dolore e devastazione quanto accadde in piazza Gaetano Alimonda. Al popolo, che era sceso in piazza pacificamente per dire no alla globalizzazione, per chiedere ai grandi, i sette Paesi più industrializzati del mondo più la Federazione Russa, un cambiamento nel nome dei più piccoli, a quell’insieme di scoutismo, ambientalismo, movimenti solidaristici cattolici, sindacalismo, tute bianche, a quel movimento di giustizia globale, conosciuto anche come popolo di Seattle che, pacificamente, intendeva opporsi al neo-liberismo, si mischiarono elementi oscuri della galassia anarco-insurrezionalista che, il 20 luglio, scatenarono l’inferno con la conseguente reazione delle forze dell’ordine contro manifestanti pacifici e indifesi.
La distruzione di Genova e le violazioni dei diritti umani
La violenza, dal 20 al 22 luglio, vide diffusi episodi di guerriglia urbana e Genova messa a ferro e fuoco. I feriti furono in totale una sessantina, di cui uno in coma. Soltanto sei anni fa, il 7 aprile del 2015, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che furono compiute gravi violazioni all’articolo 3 sul divieto di tortura e di atti umani o degradanti, mentre è del 24 giugno scorso la decisione, della stessa Corte, che sono inammissibili i ricorsi dei poliziotti condannati per l’irruzione nella Diaz. Oltre 300 manifestanti furono arrestati per aver devastato, saccheggiato e opposto resistenza, per una decina di loro le condanne diventarono definitive, furono invece 28 i membri delle forze dell’ordine andati a giudizio, la condanna è arrivata per 24 per un totale di 110 anni di reclusione di loro, a nessuno fu contestato il reato di tortura, perché non esistente fino al 2017.
Il ricordo di monsignor Grilli
Genova, è il ricordo di chi quei giorni li ha vissuti come monsignor Silvio Grilli, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi del capoluogo ligure, “fu devastata dai black bloc, ma anche umiliata da un comportamento politicamente assurdo tenuto in quei giorni dalle forze dell'ordine”. Quello del G8, aggiunge, “è un ricordo che a Genova ci fa ancora sanguinare il cuore, perché è stata un'occasione persa per il bene dell'umanità, rappresentata in qualche modo dagli otto grandi, ed è stata anche un’umiliazione per la città di venire devastata in maniera veramente pesante”. Monsignor Grilli ricorda tutto di quei drammatici giorni, soprattutto la morte di Carlo Giuliani, ma all’orrore associa anche i messaggi di speranza che uscirono dalla “riflessione e dalla preghiera” di molti del mondo cattolico. “Il documento del cardinale Tettamanzi – sottolinea ancora – e gli incontri nelle chiese con i missionari, coinvolsero tantissime persone, affinché il mondo allargasse lo sguardo alle grandi povertà e quindi, insieme ad un giudizio molto negativo sull'organizzazione dell'evento, ci sono stati anche tanti, tantissimi, credenti e non, che hanno lavorato bene, che sono stati un segno positivo della partecipazione del mondo cattolico, e non soltanto, a questo evento”.
Le parole del cardinale Tettamanzi
Nel manifesto dei cattolici per il G8 di Genova, l’allora cardinale arcivescovo di Genova, Dionigi Tettamanzi disse che "il popolo dei poveri è il destinatario naturale e il primo dell'attenzione dei Capi di Stato e di Governo del G8". "È una voce quella dei poveri – spiegò ancora – che tenta di farsi strada in questo nostro mondo, ma il suo indice di ascolto resta disperatamente basso, se non l'aiuta qualcuno che sa e che vuole aiutare". In un’intervista con l’inviato a Genova della Radio Vaticana, Luca Collodi, era il 22 luglio 2001, il porporato parlò di “sentimenti di profonda amarezza”, per l’umiliazione vissuta dalla città, per una vita spezzata, per i tanti feriti, per tutte le vittime della violenza. Allo stesso tempo parlò di speranza, “per iniziare ad affrontare con più decisione il grossissimo problema della povertà nel mondo, ma anche perché tutto quello che succede, di bene e di male, non può non richiamare l'attenzione, suscitare la riflessione e quindi stimolare l'assunzione di responsabilità”.
I cambiamenti degli ultimi vent’anni
Ancora oggi sono in molti a chiedersi da che parte si debbano leggere, in termini di economia, le ragioni e, soprattutto, che strada si è fatta da allora. Secondo l’economista cattolico Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Roma Tor Vergata, “c’è una sensibilità molto più forte di prima nei confronti dei problemi, soprattutto quelli ambientali”. La vera questione, però, ritiene Becchetti, è che “la locomotiva della sostenibilità ambientale sta correndo velocissima e la fatica è attaccargli il vagone della sostenibilità sociale, della dignità del lavoro e della persona. Ed è questo un tema molto meno popolare, molto meno di interesse pubblico e quindi, come al solito, ci sono sensibilità e ci sono anche grandi resistenze al cambiamento”. Il richiamo di Becchetti è a “dare voce e forza, anche economica, a chi sta lavorando” per il cambiamento, come le tante “aziende e imprese responsabili”, un passaggio fondamentale per rafforzare “dentro le istituzioni la forza contrattuale di chi veramente cerca di fare progresso civile e non semplicemente resistenza”. Becchetti riassume anche le differenze tra l’oggi e l’allora: oggi gli esperti parlano di lowbalization, del rallentamento di questa globalizzazione avversata per diverse ragioni, come indicato anche da Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, come per la corsa al ribasso, dimostrato dalla scelta delle aziende “di andare a localizzarsi laddove i costi sono più bassi, quelli del lavoro, dell'ambiente e fiscali”. Un giro vizioso che mette in concorrenza gli Stati, che rischia, prosegue Becchetti, di portare ad “un mondo di ricchezza senza nazioni e di nazioni senza ricchezza”, un meccanismo che “amplifica le diseguaglianze”, al quale oggi, però, possono esserci rimedi, come spiega lo stesso economista, che indica due strade: quella della tassa sulle multinazionali sulla quale si sono detti d’accordo i Paesi del G20 e la proposta dell’Unione europea Fit for 55, “dove per la prima volta si parla di dazi ambientali”. Due proposte concrete che “andrebbero ad invertire questa corsa al ribasso, che è il vero problema che la globalizzazione produce in termini di uguaglianza”.
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