Stati Uniti: moratoria federale sulle esecuzioni
Stefano Argentino Storino – Città del Vaticano
La pena di morte è “arbitraria” ed ha un “impatto sproporzionato sulle persone di colore”. Con queste motivazioni il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ha dichiarato ieri, primo luglio, l’adozione di una moratoria sulle esecuzioni federali, con l’impegno a “riesaminare le proprie politiche e procedure” sulle sentenze capitali. Le condanne “federali”, stabilite cioè dal governo centrale Usa e non dai singoli Stati, sono dovute a crimini legati principalmente al traffico di droghe, ad atti di terrorismo e ad azioni di spionaggio. Il provvedimento arriva dopo che negli ultimi mesi dello scorso anno e agli inizi del 2021, in piena campagna elettorale per le presidenziali, l’amministrazione Trump, con un impulso senza precedenti nella storia del Paese, aveva proceduto all’esecuzione di 13 condanne, dopo uno stop che durava da ben 17 anni.
Uomini diversi
Con una nota che accompagna la decisione, il ministro della Giustizia Merrick Garland ricorda anche il numero inquietante di innocenti finiti sul patibolo nella storia giudiziaria americana, che mette in evidenza il carattere drammaticamente irreversibile della pena di morte. Accade peraltro spesso che le esecuzioni in tutti gli States avvengano dopo 20-30 anni passati nelle celle della morte, quando il condannato è un uomo totalmente cambiato dal tempo del crimine compiuto, senza più costituire un pericolo per la società. Garland ribadisce, inoltre, che il dipartimento alla Giustizia “debba garantire scrupolosamente il proprio impegno per l’equità e il trattamento umano” di ogni detenuto.
I passi dei vescovi
La decisione capovolge quella dell’Amministrazione Trump che, dopo il via libera della Corte Suprema, nel luglio 2020 aveva rilanciato le esecuzioni federali, sospese nel 2008 dal Presidente George Bush, arrivando a fare eseguire il record di 13 condanne capitali. Una misura contro la quale erano intervenuti i vescovi degli Stati Uniti che in una lettera indirizzata l'11 gennaio ai membri del Congresso avevano chiesto ai senatori e ai rappresentanti di approvare l'abolizione della pena di morte, prevedendo la sua conversione in pene alternative. I presuli avevano ricordato in proposito le parole di Papa Francesco al Congresso durante il suo viaggio apostolico negli Stati Uniti nel 2015, come anche le posizioni più volte espresse da San Paolo VI e da Benedetto XVI sull’argomento. La lettera richiamava inoltre i ripetuti appelli degli stessi vescovi contro la pena capitale in quanto contraria alla dignità umana e spesso applicata in modo discriminatorio e arbitrario, sottolineando come tra i giustiziati negli Stati Uniti vi siano 170 persone dichiarate poi innocenti.
Frenano le esecuzioni
Benché la svolta non riguardi la competenza in materia dei singoli Stati, avrà comunque, con buone probabilità, un effetto deterrente – se non decisivo per nuove, singole moratorie - anche sulle condanne a morte comminate localmente. Queste peraltro registrano negli ultimi anni una frenata nel numero delle loro esecuzioni, dovuta sì all’emergenza Covid, ma, ancor prima, dal ritiro dei farmaci letali dalle sezioni dei condannati a morte operato dalle aziende farmaceutiche produttrici, in nome di un “ripensamento etico” su larga scala che ha avuto vasta eco nel settore in tempi più che recenti. Sono tuttora 46 le persone detenute in attesa di esecuzione capitale nelle sezioni federali statunitensi. In campagna elettorale, l’attuale presidente Joe Biden aveva dichiarato la sua contrarietà alla pena capitale negli Stai Uniti, impegnandosi per una sua futura sospensione, se non per la sua abolizione. La moratoria federale appena inaugurata potrebbe risultare un buon inizio di cammino in questa
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