Haiti, il racconto di Valentina: "Ogni giorno rischiamo di essere rapiti"
Benedetta Capelli e Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Una lettera in cui rendere noto il dolore di chi ha deciso di vivere in un Paese amandolo, servendolo, crescendo accanto ai suoi abitanti. Un testo dove traspare il legame con quella terra conosciuta e mai più abbandonata. Il grido di allarme giunge così attraverso le parole di chi avrebbe voluto scrivere pagine diverse, colorate anche grazie ai cittadini più piccoli. Ci troviamo ad Haiti, dove Valentina Cardia si è sposata, lavora e vive con i suoi cari. Responsabile di una casa famiglia della Comunità Giovanni XXIII, la giovane donna italiana ha deciso di scrivere una lettera al quotidiano Avvenire in cui denuncia la situazione che Haiti sta attraversando. Lo fa con la premura e la puntualità di chi esige un cambiamento, prima che sia troppo tardi.
I rimpatri forzati
"Il piccolo Paese dei Caraibi, dove lo scorso 7 luglio è stato assassinato il presidente Moise. E dove il 14 agosto un terremoto di magnitudo 7,2 ha provocato 2.200 morti e 30mila feriti". Nella lettera Valentina mette nero su bianco che cos'è oggi Haiti. Lo fa denunciando la condizione di vita delle numerose persone migranti costrette a fare ritorno in questo Paese. "Il mondo - scrive -sta conoscendo la disperazione di migliaia di persone in cerca di un futuro sul confine tra Messico e Stati Uniti, molte delle quali sono haitiane. Almeno 14mila. Tra loro in tanti hanno subito un rimpatrio forzato". La condizione di questi individui è drammatica, ma Valentina non perde la speranza e conclude la lettera auspicando che si possano presto aprire dei "corridoi umanitari, viaggi legali e sicuri, che danno un futuro a tante persone la cui unica colpa è essere nati nel posto sbagliato".
Il timore dei rapimenti
Abbiamo raggiunto Valentina Cardia telefonicamente. Il tono della sua voce non è acceso, ma le sue parole hanno un peso, come quelle di chi conosce bene ciò di cui parla. "Una delle preoccupazioni più grandi - dice nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News - è il discorso dei rapimenti. Io rischio, tu rischi, tutti noi anche nel proprio quartiere, uscendo di casa. Il principale problema sono infatti le bande armate, sono sempre più le persone in possesso di armi", denuncia. Il suo timore è nei confronti dei figli. "Mi sono sposata qui, ho dei figli e con mio marito ne abbiamo accolti altri tre. Dunque è normale che veda un futuro insieme qui, ad Haiti, ma adesso si è superato il limite. Non posso più scegliere solo per me stessa, ma devo farlo per la mia famiglia". La scelta è se restare o andare via.
I più fragili
"Tantissimi haitiani arrivano già senza documenti nella Repubblica Dominicana, che è il primo passaggio per chi cerca di andare nel Nord America. Vivono in condizioni pessime, il rapporto con gli abitanti del posto è terribile", spiega Valentina. C'è poi il dramma nel dramma, la fragilità estrema di chi è costretto a tornare ad Haiti. "Queste persone tornano in un Paese dove la situazione è devastante e specialmente i più giovani finiscono per entrare in una delle numerose bande armate che - afferma - ha bisogno di soldati, di persone disposte a tutto anche per pochi soldi". Il rischio è che questo fenomeno migratorio di rientro porti "al superamento di ogni limite umano, lo dico - prosegue - come persona che ama Haiti, che ha tutto qui".
La corruzione
In questo contesto, la corruzione arriva ovunque. "Per l'affido di questi bambini stiamo facendo delle pratiche e ci stanno chiedendo tantissimo - denuncia Valentina -, addirittura 600 dollari per un passaporto, quando il costo è sei volte inferiore. Però questo è l'unico modo per continuare a fare missione. Stiamo vivendo tutto questo con profonda tristezza, perché - conclude - mi sento haitiana, la gente soffre in modo incredibile ed il nostro aiuto, la nostra missione sì è viva, ma limitata. Si potrebbe fare di più, ma troppi interessi, che magari neanche conosciamo, non permettono il cambiamento, facendo in modo che Haiti rimanga sempre così".
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