“The Last 20” in Molise, gli studenti preparano le proposte per il G20 di Roma
Alessandro Di Bussolo – Piana dei Mulini (Campobasso)
Attorno alla grande cisterna cinquecentesca del borgo della Piana dei Mulini, a Colle d’Anchise, le voci dal Congo, dal Centrafrica e quelle di chi rappresenta tutte le “diaspore” africane, chiedono ai giovani liceali di Campobasso di “dar voce a chi non ha voce” e portare ai grandi della Terra, che si riuniranno a Roma a fine ottobre nel G20, proposte concrete per risollevare Paesi impoveriti dal colonialismo prima e dalla corruzione e dalle multinazionali ora.
I rappresentanti dei "Last 20" e l'appello ai giovani molisani
In cerchio, guardandoli negli occhi, il camerunese Bertrand Mani Ndongbou , del comitato organizzatore di “The Last 20”, il summit che vuol osservare il mondo “dal basso”, e provare a riequilibrarlo a vantaggio dei più poveri, invita i ragazzi a “tenere lo sguardo e i cuore sui nostri Paesi”. “Non dimenticatevi di noi – è il suo appello – quando tornerete a casa. Anzi parlate di quello che avete conosciuto qui con tutti quelli che vi sono vicini”.
Quella "Grande muraglia verde" per fermare il deserto
“Non ci servono soldi, ma un’attenzione speciale – gli fa eco Godwin Chukwu, di origini nigeriane, presidente della Federazione delle diaspore africane – Se riuscirete a fare in modo che i governi europei controllino e critichino i nostri politici quando sbagliano, sarà molto importante”. Ma denuncia anche il caso nel quale istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, “hanno insabbiato un grande progetto dell’Unione africana: la Grande muraglia verde per fermare il deserto in Sahel”. Una fascia di nuova vegetazione lunga 7 mila chilometri e larga 30, dal Senegal a Gibuti, per bloccare l’avanzata delle sabbie che erodono di anno in anno i terreni coltivabili di una zona già molto povera.
I "minerali di sangue" nella Repubblica del Congo
Brigitte e Odette parlano del loro Paese d’origine, la Repubblica Democratica del Congo, dove in tanti, governo, ribelli, bande armate e multinazionali, sfruttano la ricchezza mineraria dell’Est del Paese, dal Rame al Coltan, utilizzando per l’estrazione le mani di raccoglitori-bambini che poi si ammalano. Per questo li chiamano “minerali di sangue”, contesi anche con le armi. Per Odette è la pace il primo bene da assicurare, “così vinceremo anche la povertà e la fame”, perché le famiglie potranno tornare a coltivare la terra con tranquillità.
Le proposte concrete arriveranno dai giovani
Dino Angelaccio di Itria, per il comitato organizzatore, invita i giovani a fare rete con i coetanei che hanno partecipato alle tappe di Reggio Calabria e Roma, e a quelli che saranno a Milano dal 22 al 26 settembre, per la preparazione “di un documento finale fatto di proposte semplici e comprensibili”, per risollevare i 17 Paesi africani e i tre asiatici agli ultimi posti al mondo, secondo i dati della Nazioni Unite, per reddito pro capite, qualità della vita, condizioni socio sanitarie.
Il liceale Federico: è cruciale dare acqua potabile a tutti
Federico, 18 anni, studente del liceo scientifico “Mario Pagano” di Campobasso, racconta a Vatican News che sono già emerse alcune idee concrete:
Federico Petraroia, cosa ti porterai a casa da queste giornate di “The Last 20” in Abruzzo e Molise?
Nuove conoscenze su quella che è la cultura e l'economia dei vari popoli africani, di Paesi che sono stati impoveriti. Grazie alle testimonianze di vari rappresentanti di questi Paesi, abbiamo potuto capire in quali condizioni vivono e adesso stiamo cercando di progettare azioni concrete per migliorare la loro condizione di vita. Ad esempio, vorremmo portare al G20 una proposta per rendere potabile l'acqua in questi 20 Paesi, perché un bene fondamentale come l'acqua in questi Paesi non è disponibile per le persone più povere.
E cosa ti ha colpito di più, ascoltando tante testimonianze in questi giorni?
Ad esempio mi ha colpito che ci sono tantissime risorse in Africa, ma c'è tanta corruzione. Così i politici hanno ville grandi come campi da calcio e a fianco ci sono bambini sdraiati a terra che muoiono di fame. Queste contraddizioni e divisioni nella società mi hanno veramente colpito e mi ha fatto comprendere ancora di più è una situazione che non può continuare.
Quindi oltre all'acqua si può anche pensare ad esercitare sui governi di questi Paesi perché cerchino di combattere questa corruzione, così dilagante in Africa ma anche in Asia?
Sì, noi speriamo di riuscire a concretizzare varie proposte e di sensibilizzare anche l'opinione pubblica, anche attraverso eventi, perché così potremmo unirci tutti in un'unica voce e farla arrivare a chi ha le competenze e ha il potere di cambiare la situazione. Noi possiamo agire e cambiare nel piccolo, ma lo devono cambiare nel grande.
Oggi, nelle tavole rotonde di "The Last 20" si parla di immigrazione e di integrazione: oltre ad aiutarli nei loro Paesi. Cosa si fa qui a Campobasso per integrare chi arriva qui perché è dovuto scappare da guerre e violenze?
Anche per colpa della disinformazione, non c'è un’inclusione verso le persone che scappano da questi Paesi e quindi noi non la viviamo molto bene. Sensibilizzare gli studenti, fare incontri nelle scuole, può essere la chiave per un'inclusione maggiore qui e per rendere questi progetti fattibili lì nei loro Paesi.
E’ un modo diverso, partecipare questi incontri, per cominciare l'anno scolastico. Tu pensi anche la scuola debba proporvi di maggiormente questi appuntamenti anche nel territorio e coinvolgervi di più?
Io credo che iniziare così sia stato molto importante per noi, perché abbiamo scoperto nuove informazioni sull'Africa che non conoscevamo, anche sulla Cultura di questi Paesi. Non possiamo pretendere di dare una mano a questi Paesi senza conoscere la loro reale situazione, quindi sensibilizzare gli studenti, credo sia il primo passo da fare per cercare di lavorare insieme a questi Paesi per rendere il mondo un posto migliore e più uguale per tutti.
Padre Raad: il dramma del Libano è anche per i profughi
I tre Paesi asiatici nei “Last 20” sono Afghanistan, Yemen e Libano, quest’ultimo in gravissima crisi economica e sociale dopo l’esplosione al porto di Beirut di un anno fa. Padre Abdo Raad, fondatore dell’associazione Annas Linnas, “Gli uni per gli altri”, che assiste i profughi siriani, iracheni e palestinesi, presenta ai giovani la loro situazione. Oggi padre Abdo è anche parroco in Italia, a Monacilioni, diocesi di Campobasso-Bojano, e Covid permettendo, si divide tra i due Paesi.
Padre Abdo Raad, qual è oggi la situazione in Libano per i profughi siriani e anche di altri paesi del Medio Oriente che arrivano e che chiedono aiuto?
Noi di Annas Linnas, “Gli uni per gli altri”, un'associazione libanese, abbiamo lavorato e lavoriamo con i rifugiati siriani, iracheni e palestinesi in Libano. Oggi la situazione dei rifugiati è molto difficile, soprattutto anche a causa dell'inflazione, che c'è in Libano, a causa della crisi economica e della mancanza di un governo, anche se da poco un governo lo abbiamo. Comunque speriamo, anche se crediamo poco in questa classe politica, perché è sempre la stessa che continua a governare. Ma dobbiamo sperare. Per i rifugiati siriani abbiamo eretto una scuola per quasi 400 bambini, ma è una scuola non formale, non ufficiale. Iscriviamo questi bambini in altre scuole amiche, così possiamo anche garantire a loro il certificato, perché se poi vogliono lasciare la scuola o cambiarla è necessario avere anche questo certificato. Lavoriamo anche con i bambini palestinesi in fuga dalla Siria, nel campo di Sabra e Chatila, con un piccolo centro culturale. Hanno veramente un grande bisogno di tutto, cerchiamo anche di essere vicini dando un po' di alimenti, e aiutando un po' anche i loro genitori, aiutando anche la scuola dove studiamo, che si trova a Naame, tra Beirut e Sidone.
Qui a “The Last 20”, oggi, si parla anche di integrazione dei rifugiati e migranti qui in Italia. In Libano si riesce anche, dopo il primo aiuto anche ad attivarsi per l'integrazione o adesso la situazione economica impedisce anche la possibilità di trovare un lavoro e aiutarli ad integrarsi nella società libanese?
L’integrazione dipende da più fattori: prima di tutto dalla religione, ma anche dalla situazione economica e dalla disponibilità di lavoro e dipende anche dalla cultura. Il nostro scopo è educare all'integrazione: i bambini, ma anche noi adulti, dobbiamo capire che siamo tutti uguali Quando il Papa parla della fraternità, ci fa capire che siamo tutti fratelli. Dobbiamo tutti pregare insieme “Padre Nostro” e questa deve essere la preghiera di tutto il mondo, perché crediamo che siamo creati tutti da un solo Dio, da un solo creatore. In Libano l'integrazione non è facile. Anche se il Papa sta facendo ultimamente tanto per avvicinare le religioni, non è anche facile, perché le religioni sono diventati sistemi a volte chiusi. Noi educhiamo questi bambini, questi giovani all'apertura, ad avere il coraggio di criticare sé stessi, di uscire da un certo sistema chiuso per capire che siamo tutti viviamo in un unico mondo, con un solo Dio, e avere il coraggio di accettarsi l’un l’altro.
Se parliamo di lavoro, purtroppo questo Paese è stato distrutto. Non c'è più lavoro per nessuno, né per i libanesi né per i rifugiati. Ora anche qui non c'è l'integrazione. I libanesi dicono: ma siriani e palestinesi sono venuti qui per portarmi via il lavoro? Noi abbiamo fatto un progetto, insieme ad un’ associazione italiana, chiamato “Cash for work”, per cercare di far lavorare insieme palestinesi, siriani, iracheni e libanesi, e per far capire alla gente che il lavoro deve essere anche condiviso. Tutti abbiamo bisogno di lavorare, per poter vivere e per far vivere i nostri bambini nostre famiglie.
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