Dopo 13 mesi il Libano ha un nuovo governo
Amedeo Lomonaco e Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Dopo 13 mesi di vuoto istituzionale, il Libano ha un nuovo esecutivo. Per quasi un anno, il Paese è stato guidato da un governo provvisorio con poteri limitati, in un contesto economico e sociale tra i più difficili della sua storia.
Ventiquattro ministri, tra cui 12 cristiani e 12 musulmani, e una sola donna. È questa la squadra di governo chiamata a far uscire il Paese dei cedri dalla peggiore crisi economica degli ultimi decenni. Secondo la Banca Mondiale, l'esplosione avvenuta l’anno scorso nel porto di Beirut, che ha provocato la morte di 214 persone, ha causato perdite per oltre 4 miliardi di dollari. Il 77% delle famiglie libanesi non ha cibo a sufficienza e la valuta locale ha perso, negli ultimi mesi, il 90% del suo valore. In sostanza, oltre due cittadini su tre vivono quotidianamente in una situazione di povertà.
Pace e stabilità
La comunità internazionale auspica per il Libano risposte adeguate e soprattutto riforme. Per gli Stati Uniti la formazione del nuovo governo consente "di sperare in misure urgenti per rispondere ai bisogni e alle aspirazioni" della popolazione. L’alto rappresentante europeo per la politica estera, Josep Borrell, sottolinea che "ora è fondamentale affrontare le attuali crisi economiche, finanziarie e sociali”. Durante il suo pontificato, Francesco ha lanciato in più occasioni accorati appelli e ha esortato a pregare per il dono della pace e della stabilità nel Paese.
Crisi economica e fuga di cervelli
Il Libano, dunque, riparte. Ma quanto è arduo il compito del nuovo esecutivo e come si può analizzarne la composizione? Perché si è dovuto attendere più di un anno per arrivare a questo governo? La drammatica situazione economica necessita di quali misure ed in che modo poi recuperare il capitale umano emigrato all’estero? A queste ed altre domande risponde nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News il giornalista Camille Eid, libanese, editorialista di Avvenire.
Prima di vedere più da vicino i ministri del neonato governo, vogliamo comprendere quanto è grande il compito a cui è chiamato? Addirittura proibitivo?
Sì, questo è il nodo più grosso della questione. La valuta nazionale oggi è ai minimi storici, l’economia è un disastro e quindi il compito è decisamente arduo, perché non ci sono le risorse per poter gestire la macchina dello Stato.
Nei mesi scorsi il Papa in più occasioni ha lanciato appelli per il Libano, ha pregato per la sua popolazione. Di che cosa ha bisogno il Paese?
Il Papa ha a cuore innanzitutto l’esistenza stessa del Libano, che più volte ha definito in pericolo. Questo a causa delle rivalità regionali che minacciano il Paese dei cedri nella sua presenza, nella sua missione. Poi c’è l’enorme problema della povertà che riguarda oltre due terzi della popolazione. Il premier ha detto che busserà alle porte del cosiddetto mondo arabo per ricostruire dei rapporti che permettano di risanare l’economia disastrata. Ora vedremo che cosa accadrà. Di certo, se abbiamo impiegato 13 mesi a costruire un Governo, vuol dire che c’erano dissensi interni. Si spera allora che il Governo almeno lavori come una squadra compatta, anziché badare ad interessi partigiani come purtroppo spesso accade.
Un Governo formato da 12 cristiani ed altrettanti musulmani, con una sola esponente donna. Questo mettono in luce oggi le agenzie internazionali, ma vuoi dirci qualcosa in più, in particolare sui nomi scelti e sugli equilibri tra forze politiche?
Ci sono dei nomi che ispirano fiducia, come l’ex ambasciatore negli Usa, che oggi diventa ministro degli Esteri. Altri invece sono meno legati ai curricula e più alla parità tra cristiani e islamici, che è una prassi nel Paese. Alcuni nomi sono stati poi scelti, perché rappresentano un compromesso tra premier e capo dello Stato. Occorre inoltre sottolineare che molti avevano in mente un governo di tecnici indipendenti, come auspicato ad esempio dall’Eliseo. In realtà qui abbiamo sì dei tecnici, ma indicati da partiti e leader politici e dunque non godono di quella piena autonomia decisionale che alcuni intendevano alla vigilia.
Il Libano è uno dei Paesi più accoglienti al mondo, ma sono anche molti i libanesi emigrati. Come fermare la cosiddetta fuga dei cervelli? Come recuperare questo capitale umano?
Sì, anch’io in famiglia ho persone che hanno deciso di lasciare il Paese. Un crollo di queste proporzioni non si era mai visto neanche durante la guerra. Molti medici, architetti, ingegneri sono partiti e sappiamo che i libanesi quando lasciano il Paese lo fanno in modo definitivo. Questo aiuta nelle rimesse, però il Libano perde delle risorse che torneranno solo se il Libano si rialzerà, ma non certo come parentesi di compromesso in attesa di equilibri a livello anche regionale.
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