Yemen, la pace è un miraggio: almeno 50 morti negli scontri
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Almeno 50, tra ribelli Houthi e soldati filo-governativi, tra cui un ufficiale di alto rango, sono stati uccisi negli scontri verificatisi nella provincia di Al-Bayda, in Yemen, secondo quanto riferito da fonti militari yemenite. "Un colonnello e altri 19 lealisti hanno perso la vita nelle ultime 24 ore in combattimenti con i ribelli Houthi nel distretto di Al-Bayda", ha detto - come riportano le agenzie internazionali - un funzionario militare del governo, aggiungendo che anche 30 ribelli sono rimasti uccisi negli scontri a terra e nei raid aerei.
La città di Marib
I ribelli filoiraniani hanno fatto progressi nella provincia di Al-Bayda nelle ultime settimane, mentre combattono anche per il controllo della città strategica di Marib, nel Nord. Gli Houthi sono appoggiati dall'Iran, mentre i lealisti al governo in esilio godono del sostegno dell'Arabia Saudita. A febbraio, gli insorti hanno intensificato gli sforzi per impadronirsi di Marib, che di fatto può essere considerato l'ultimo avamposto del governo nel Nord. Il controllo della provincia ricca di petrolio rafforzerebbe la posizione negoziale degli Houthi nei colloqui di pace.
Gli ultimi mesi
Mentre sul terreno si continua a combattere, i mesi estivi sono stati caratterizzati da un’intensa attività negoziale per cercare di trovare una soluzione alla crisi di quello che da alcuni è stato definito il Paese più povero del Medio Oriente e Nord Africa. I combattimenti in corso spingono altre persone a fuggire e l'Unchr, Agenzia dell'Onu per i Rifugiati, lo scorso mese ha avvertito che i bisogni umanitari tra le comunità sfollate sono in rapido aumento. Dall'inizio dell'anno, quasi 24 mila persone sono state costrette a fuggire per gli scontri armati nel governatorato di Marib, che accoglie già un quarto dei quattro milioni di sfollati interni. Le persone, si legge in una nota di agosto, hanno cercato di mettersi in salvo nei centri urbani e presso 150 insediamenti informali, all'interno dei quali sono state riscontrate situazioni deplorevoli per 190 mila yemeniti: la capienza è stata superata e molti degli alloggi sono stati danneggiati ulteriormente dalle recenti inondazioni e dagli incendi divampati per fuochi accesi per cucinare all'aperto.
Le Nazioni Unite
Nei prossimi giorni l’inviato delle Nazioni Unite in Yemen, Hans Grundberg, inizierà le sue visite nella regione, dove sembrano essere previsti colloqui con il presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour Hadi, e con diversi funzionari del Governo yemenita, poi con i ribelli Houthi ed ancora altri incontri con rappresentanti di diversi Paesi della regione araba. Lo scorso 10 settembre, nel corso di una conferenza stampa, Grundberg ha sottolineato la complessità della situazione e nel suo primo briefing al Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha dichiarato che cercherà una transizione politica per trovare una soluzione alla crisi yemenita. Ha poi aggiunto che l'economia del Paese necessita di una risposta politica globale.
Il dramma dei più piccoli
Quali, dunque, le soluzioni dinanzi ad un simile scenario? Come porre fine ad una guerra lunga e troppo spesso dimenticata? A questa ed altre domande risponde nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News Silvia Laura Battaglia, freelance e documentarista esperta di Yemen
Il conflitto yemenita non conosce la parola fine, anzi negli ultimi giorni si moltiplicano gli scontri e le vittime di quella che spesso viene definita "la guerra dimenticata". Qual è la situazione?
Parlare di Yemen solo quando nelle cronache diventa necessario spiega bene la difficoltà che le Nazioni Unite hanno da anni su questo conflitto. Ci sono dei contendenti riconosciuti ed altri, quello dei ribelli Houthi, per i quali invece non si può dire altrettanto e che sono appoggiati dall'Iran. Di fatto questi ultimi controllano metà Paese, ma non sono appunto riconosciuti. Nessuna delle due parti cede, si sta cercando una soluzione che si pone nel mezzo, ma che non accontenta nessuno. A volte le notizie emergono anche nel tentativo di spingere una delle due parti a cedere, ma ciò in questi anni non è mai successo. Mi sia permesso di dire che è anche, diciamo così, 'comodo' presentare tutto ciò come la peggiore crisi umanitaria al mondo. Certo, ma questa è una conseguenza. La soluzione del conflitto è politica, purtroppo non umanitaria. Una crisi che precede in parte il conflitto e che ha una soluzione, ripeto, politica.
La soluzione è globale o locale?
Direi locale, nel senso che negli ultimi sette mesi ci sono stati i più cospicui tentativi di avvicinamento tra le due parti in guerra, specialmente grazie all'Oman. Gli Houthi ritengono però necessario non accogliere queste proposte perché chiedono la riapertura dell'aeroporto di Sana'a e del porto di Hodeida. Il governo centrale ed i sauditi però non acconsentono, temendo che in questo modo gli Houthi possano approfittarne facendo entrare gli strumenti per aumentare lo sviluppo di droni armati che, negli anni, hanno colpito le postazioni di gas e soprattutto di petrolio dell'Arabia Saudita, poste al confine con lo Yemen. Lo soluzione dunque è in mano agli yemeniti, ma entrambe le parti vorrebbero guidare tutto il Paese il che, ad oggi, è impossibile. Inoltre, sia in Europa che nei Paesi nel Golfo, Iran compreso, si è fatto molto con i colloqui di pace in Oman. Questo è un problema perché il conflitto rischia di prolungarsi ancora molto a lungo, peggiorando la già grave crisi umanitaria. Dunque è necessario chiudere questo conflitto al più presto, puntando molto anche sulla funzione sociale delle tribù yemenite e non solo sui rappresentanti politici che spesso lavorano dal di fuori del Paese.
In numerose occasioni il Papa ha pregato per la popolazione yemenita, in particolare per i bambini. Qual è oggi la loro condizione?
Innanzitutto bisogna avere la fortuna di nascere, perché molti muoiono durante la gravidanza ed ancora di più appena neonati per malnutrizione. Se hai comunque la fortuna di crescere, difficilmente vai a scuola e rischi di diventare presto un "bambino soldato". Secondo le stime dell'Unicef, 8 milioni di bambini nel Paese hanno già ricevuto gli insegnamenti per utilizzare un kalashnikov. Io stessa a Sana'a ed in altre città ho visto bambini indossare il grembiule per andare a scuola al mattino, e poi ho visto gli stessi piccoli con la divisa il pomeriggio per controllare fino alla sera i check-point. Questo avviene da tutte le parti, per una causa che comunque non sta dando alcun tipo di risultato.
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