Iraq al voto anticipato tra boicottaggi e richieste di cambiamento
Michele Raviart - Città del Vaticano
A due anni dalle manifestazioni popolari che avevano causato le dimissioni del governo di Adel Abdul Mahdi, l’Iraq torna al voto per eleggere i 329 nuovi membri del parlamento. Oltre tremila i candidati che si sono presentati per i seggi, circa il 30% donne, per una consultazione originariamente prevista per il 2022, già anticipata allo scorso giugno e ulteriormente rinviata a causa della pandemia. Oggi al voto militari e rifugiati mentre la maggior parte dei cittadini voterà domani.
Attesa una bassa affluenza
“È un momento per capire lo stato di salute del Paese, soprattutto delle istituzioni dopo questi 2 anni molto complicati”, spiega Federico Borsari, analista dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale. Le restrizioni per limitare il contagio del virus infatti, “da un lato hanno portato a una cessazione delle proteste in via cautelare, ma allo stesso tempo hanno bloccato le attività economiche, con delle conseguenze negative per il Paese che già non navigata in buone acque a causa dei prezzi del petrolio che sono scesi progressivamente negli ultimi anni”. Tuttavia le aspettative per il voto “non sono promettenti, nel senso che molti si aspettano un esteso boicottaggio”, spiega ancora, “sicuramente non ci sarà una grande affluenza alle urne, già nel 2018 quest’affluenza era stata meno del 50%, intorno al 40-44% e molti prospettano un dato ancora più basso quest'anno”.
Nuovo sistema elettorale maggioritario
Lotta alla corruzione e superamento del settarismo, inteso come la ripartizione delle cariche politiche su base confessionale, sono state le due istanze portate avanti dai manifestanti, ma molte delle forze politiche che hanno sostenuto le proteste non parteciperanno al voto perché giudicano le misure intraprese dal nuovo governo di Al-Kadhimi non sufficienti per garantire efficacemente un nuovo sistema politico. Tra queste la nuova legge elettorale, che passa da proporzionale a maggioritaria. L’idea era quella di creare circoscrizioni più piccole e far eleggere candidati più vicini ai territori, favorendo così anche le formazioni politiche più piccole. “Uno dei problemi che è stato sollevato e che ha lasciato molti osservatori perplessi”, spiega Borsari, è che alcuni collegi siano stati scelti e decisi in maniera arbitraria: “ad esempio in alcune zone dell’'Iraq del Nord, soprattutto nei territori contesi tra il governo federale di Baghdad e quello semi autonomo della Regione curda, potrebbero essere eletti candidati che in realtà non sono ben accetti da una parte della popolazione locale”.
Le forze in campo
I candidati riservati alle minoranze sono 67, dei quali cinque sono cristiani. In un contesto in cui i curdi si presenteranno divisi, come storicamente avviene e in cui i sunniti sono una minoranza, la partita sembra essere tra le due fazioni sciite. “È lecito aspettarsi un testa a testa tra l'alleanza Al-Fatah”, spiega ancora l’analista dell’Ispi, “che nel 2018 aveva comunque preso 46 seggi ed era arrivata seconda, che ha una rappresentanza anche a livello militare e dovrebbe presentarsi insieme al partito del vecchio primo ministro Al-Maliki” e “il movimento sadrista guidato appunto da Muqtada al-Sadr, che rappresenta soprattutto quella classe medio-bassa della maggioranza sciita e che ha un'impronta nazionalista, anche se comunque non possiamo negare abbia avuto legami con l'Iran come fa peraltro l'alleanza Al-Fatah”.
Le sfide per il futuro
In conclusione, sottolinea Borsari, “sembra che ci siano le premesse per una continuazione dell’attuale status quo. Se si dovesse arrivare a una sorta di negoziato per eleggere il primo ministro, allora una figura che potrebbe essere nuovamente in gioco è quella di Mustafà Al-Kadhimi, che rimane molto apprezzato dall'occidente per la sua moderazione”, però questo confermerebbe ancora “che non ci sarà un cambiamento del sistema come invece chiedevano i dimostranti e che penso che continueranno a chiedere ed è quindi possibile anche che le proteste ricomincino”. A supervisionare le elezioni ci saranno anche un centinaio di osservatori delle Nazioni Unite e 130 dell’Unione europea. Tra le sfide del nuovo governo ci sarà la gestione della pandemia – l’Iraq è uno dei Paesi più colpiti del Medio Oriente – la lotta allo Stato Islamico, che seppure indebolito continua ad essere presente nel Paese e il futuro della sicurezza, con un progressivo disimpegno delle truppe statunitensi a partire dal 31 dicembre 2021.
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