COP26, Pasini: l'ecologia integrale, concetto chiave per il futuro del pianeta
Fabio Colagrande e Adriana Masotti - Città del Vaticano
Un deciso cambio di rotta urgente è quello sollecitato da Papa Francesco nel suo messaggio in vista della Cop 26 di domenica in Scozia, affidato ieri alla BBC tramite un audio-videomessaggio. Quella che attende l'umanità, scrive Francesco, è "una sfida di civiltà a favore del bene comune" e un cambiamento totale di prospettiva "che deve porre al centro di ogni nostra azione la dignità di tutti gli esseri umani di oggi e di domani". E il vertice di Glasgow è un'occasione assolutamente da non perdere per dare un forte impulso a questo cambiamento che veda l'impegno di tutti e coinvolga mente e cuori.
Per Antonello Pasini, ricercatore dell'Istituto inquinamento atmosferico del CNR e docente di Fisica del clima all’Università Roma Tre, quanto afferma il Papa è estremamente importante e attuale:
Un appello e una riflessione quella di Papa Francesco che parla ai leader politici, agli scienziati e alla comunità nel suo insieme?
Ancora una volta il Pontefice dimostra, innanzitutto una modernità scientifica incredibile cioè il suo concetto di ecologia integrale che è sottinteso anche in questo messaggio è assolutamente basilare nel senso che ci fa capire che noi umani, la antroposfera, diciamo così, è completamente collegata a quella che è la natura, il sistema climatico, ma non solo, l'economia ecc..., quindi ci dà una visione veramente integrale di quello che è il nostro rapporto con la natura. E poi il fatto che ribadisca ancora una volta che bisogna pensare a uscire da questa crisi verso una nuova normalità, quindi una normalità che sia più solidale e più equa. Insomma, queste sono tutte cose estremamente importanti.
Papa Francesco mette insieme le crisi create sia dal cambiamento climatico che dalla pandemia e parla di crisi che ci mettono di fronte a scelte radicali...
Sì, assolutamente, noi dobbiamo ripensare completamente il nostro rapporto con la natura, a cominciare dal fatto che finora abbiamo agito come predatori, vedendo la natura come qualcosa di inerte, di plasmabile a piacere, con una visione estremamente antropocentrica, dobbiamo passare, invece, ad una visione in cui noi siamo intimamente legati e connessi alla natura e la salute dell'uomo equivale alla salute della natura, questo sia per quanto riguarda la crisi pandemica che per quanto riguarda la crisi climatica. E' estremamente importante che il Papa ribadisca questo legame assolutamente stretto da cui non possiamo scioglierci e non vogliamo scioglierci.
I decisori politici che prenderanno parte alla COP 26 sono chiamati con urgenza ad offrire risposte efficaci alla crisi ecologica in cui viviamo. In concreto, professor Pasini, quali potrebbero essere queste risposte?
Le risposte si stanno intravedendo, al di là del fatto che ognuno di noi può fare qualcosa innescando dei circuiti virtuosi dal basso e può spingere sui politici affinché facciano qualcosa, è chiaro che la transizione ecologica va gestita dalla politica. Quindi adesso, per esempio l'Europa io credo si sia messa sulla strada giusta. In America si sta muovendo qualcosa con il cambio del presidente, anche in Cina si sta pensando veramente di virare a 180° verso le energie rinnovabili, anche perché c'è stata una grossa spinta dal basso da parte della popolazione perché lì, insomma, si moriva e si muore ancora, in parte, di inquinamento atmosferico. Quindi il legame fra popolazione e politici, con la spinta dal basso, può far sì che effettivamente si vada verso una direzione nuova e più efficace anche nelle misure da prendere, come ad esempio: disincentivare assolutamente i combustibili fossili, incentivare le energie rinnovabili e la mobilità sostenibile, tutto un mosaico di misure che porti realmente ad un nuovo modello di sviluppo.
L'ultimo Accordo importante sul clima era stato siglato a Parigi nel 2015, che cosa è successo in questi sei anni che hanno preceduto la COP 26 che sta per cominciare?
E' successo che stiamo vedendo sempre più le conseguenze del cambiamento del clima come gli eventi estremi, le ondate di calore assolutamente fortissime e così via. E dal punto di vista politico e programmatico per quanto riguarda il cambiamento delle azioni contro la crisi climatica, appunto l'Europa si è mossa, gli Stati Uniti si stanno muovendo e dalla parte, diciamo così, del business c'è, secondo me, una maggiore attenzione. Lo stesso Accordo di Parigi nel preambolo diceva qualcosa di importante e cioè che se vogliamo evitare i problemi più gravi del clima, bisogna che la seconda parte di questo secolo sia ad emissione di carbonio 0 e questo era un messaggio fortissimo agli economisti, ai politici e ai businnesman. Diceva: guardate che se volete fare business, carbone, petrolio e gas naturale non hanno futuro. Ecco, in questo momento si sta evolvendo la situazione e io mi auguro che a Glasgow si trovino misure veramente concrete che leghino le popolazioni e soprattutto i governi a fare qualcosa di efficace.
Lei accennava agli effetti concreti dei cambiamenti climatici: spesso siamo un po' confusi dalle informazioni, ma c'è unanimità dal punto di vista scientifico che questi effetti ci sono veramente?
Assolutamente sì, ci sono, sono concreti e stanno peggiorando. Quindi se non facciamo nulla, siamo destinati, per esempio, a prendere 4,5 gradi da qui a fine secolo che un'enormità, perché non si tratta soltanto di sudare un po' di più, ma dell'impatto sui territori, sugli ecosistemi e sull'uomo. Il clima è un sistema globalizzato, quello che succede al Polo Nord può avere influssi su di noi, oppure sulla fascia del Sahel da dove arrivano 9 migranti su 10 di quelli che arrivano coi barconi. Quindi questa popolazione, come dire, incastonata fra guerre, fame, povertà e cambiamento climatico è ovvio che deve trovare una strada per poter vivere. Quindi è un problema di equità internazionale e il cambiamento climatico, purtroppo, allarga quella forbice di disequità che già c'è attualmente tra i Paesi sviluppati e quelli poveri e non bisogna fare divaricare ancora di più questa forbice perché andremmo in una situazione estremamente critica per loro, che appunto non avrebbero più risorse, ma anche per la stabilità internazionale.
Come dice il Papa è necessaria una corresponsabilità mondiale, e guardando a Glasgow, quali sono i Paesi sui quali dobbiamo puntare di più l'attenzione?
Ovviamente sui maggiori inquinatori che sono quelli più responsabili di questa situazione e quelli che devono per primi agire per fare qualcosa di concreto. Perché non possiamo guardare all'Africa e chiedere di fare qualcosa ai Paesi africani, che hanno una responsabilità assolutamente infinitesima per quel che riguarda il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici e, un altro effetto di disequità, è che sono proprio questi Paesi che sostanzialmente risentono degli impatti più forti. Ecco quindi che i Paesi sviluppati devono mettersi in testa di agire concretamente e soprattutto anche di stabilire un fondo, che è già stato stabilito teoricamente, per l'adattamento e lo sviluppo dei Paesi poveri che dovranno svilupparsi, ma non facendo gli errori che noi abbiamo fatto in passato, quindi sviluppandosi con energie alternative, senza bruciare carbone, petrolio o gas naturale.
Professor Pasini, ha ragione quello scienziato, citato da Papa Francesco, che diceva che la sua nipotina appena nata se le cose non cambiano, entro 50 anni, dovrà abitare in un mondo inabitabile?
Inabitabile o, comunque, molto difficile da vivere. Sì, certo, dobbiamo guardare ai nostri figli e in parte lo abbiamo già fatto, perchè io dico sempre che da quando è uscita sulla scena Greta, ha fatto più lei e gli altri giovani in 2-3 anni, che noi scienziati in 30 anni di rapporti internazionali con sommari per i decisori politici.
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