Persone migranti, la ResQ People torna in mare per salvare vite
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Quella che ha avuto inizio ieri sera è la seconda missione della nave di soccorso di ResQ People Saving People: nella prima, lo scorso agosto, 166 persone migranti sono state salvate dall'acqua e condotte in un porto sicuro. ResQ è una Onlus italiana nata nel dicembre del 2019, grazie alla volontà di cittadini e associazioni della società civile.
Proprio oggi l'Organizzazione internazionale per le migrazioni ha comunicato che sei persone migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana sono state uccise nelle scorse ore dalle guardie libiche in un centro di detenzione a Tripoli. L'incidente è avvenuto in una struttura "sovraffollata" della città, dove circa 3mila individui sono detenuti "in condizioni terribili", ha detto all'AFP il funzionario dell'OIM Federico Soda. "Sono scoppiate delle sparatorie e sei migranti sono stati uccisi in totale", ha aggiunto.
Il regalo più grande
La portavoce di ResQ People Saving People, Cecilia Strada, spiega l'importanza di questa nuova missione. "Ci vuole più coraggio a non fare nulla che ad aiutare il prossimo - afferma - ed il nostro compito è quello di salvare vite".
Un punto di partenza, oggi, per un progetto che va avanti da tempo. Quanto conta passare dalle parole ai fatti?
Esattamente questo è alla base del nostro impegno. La storia di ResQ è quella di un'impresa che poteva apparire impossibile, ma che è diventata realtà grazie all'impegno di semplici cittadini che hanno deciso di mettersi insieme per fare una nave di soccorso. Tutto è possibile se lavoriamo insieme, e questa causa è talmente importante da non farci perdere l'entusiasmo nonostante la pandemia che, ovviamente, ha complicato tutto. Lo facciamo perché è giusto farlo, la vita umana va tutelata sempre e comunque. Ci impegniamo non perché siamo buoni, ma perché è giusto farlo, è giusto salvare vite umane in mare.
Il Papa tante volte ha chiesto di utilizzare le parole giuste quando si parla del fenomeno migratorio, ricordandosi sempre che si tratta di persone, mai di numeri. Quanto è importante presentare nel modo giusto anche il vostro lavoro?
Conta tantissimo. Finché ci confrontiamo con delle categorie è impossibile sviluppare l'empatia. Quando cioè si pensa di avere i migranti, gli stranieri, per non parlare di chi li definisce clandestini. Sono invece persone come noi, con una loro storia. Quando mi sono trovata a bordo delle navi di soccorso il mio desiderio più grande è sempre stato di avere accanto quelli che chiamo 'i nemici dell'umanità', quelli che ti insultano, commentano con sarcasmo i naufragi, perché sono sicura che se avessero questa opportunità straordinaria di guardare negli occhi le persone, non direbbero mai più queste cose. Dunque è importante raccontare le storie, ovviamente nascondendo l'identità dei protagonisti fin quando non ottengono la protezione umanitaria.
Raccontare le storie implica l'ascolto, così come l'impegno ha con sé una certa dose di coraggio. Che messaggio mandi a chi è tentato di intraprendere un percorso umanitario simile al vostro, ma poi si ferma, finisce col fare un passo indietro? Perché invece dovrebbe farlo in avanti?
Io penso che ci voglia più coraggio a non fare niente che a fare qualcosa, lo dico perché non avrei abbastanza forza per girarmi dall'altra parte. Ogni percorso comincia con un passo, penso che si debba fare il primo gradino ed andare avanti. Farlo con compagni di viaggio aiuta a sentire meno il peso del cammino. Magari non è alla portata di tutti salire fisicamente su una nave, ma lo è spingerla in mare con un aiuto finanziario, organizzando momenti di sensibilizzazione. Tutti possiamo farci questo regalo, il più grande che ognuno può fare a se stesso: tendere la mano e salvare un'altra persona.
Un nuovo inizio
A bordo della nave c'è anche Lia Manzella, vicepresidente di ResQ People. "Siamo orgogliosi, ma proviamo anche rabbia perché le istituzioni dovrebbero salvare le vite di queste persone", sottolineando come "questo non è un tema divisivo, ma profondamente umano".
Un nuovo inizio, una missione che parte nelle ore in cui si parla molto di persone migranti. Ti chiedo l'emozione di essere parte dell'equipaggio.
Sono tante le emozioni condivise con il gruppo. Siamo molto felici di poter ripartire, quello di ResQ è un sogno che si realizza anche in un tempo record! C'è però anche rabbia perchè le istituzioni dovrebbero farsi carico di un tema che è comune. Poi c'è l'orgoglio, perché avevamo grosse perplessità rispetto alla risposta che il nostro progetto avrebbe trovato. Ci sentiamo spesso dire che il tema è divisivo. Invece no, qui si tratta di salvare persone che rischiano la vita. Sostenerci non è un gesto divisivo, ma semplicemente umano.
Ieri è stato anche il giorno della lettera di 12 Paesi europei che chiedono fondi all'Unione per realizzare dei muri in difesa dei confini esterni. Come leggi queste parole, come le accoglie chi come voi ogni giorno lavora per e con le persone migranti?
Questa è una proposta sbagliata, anacronistica contro qualunque valore umano. Noi ci posizionamo al lato opposto di questa tiplogia di pensiero. Ieri all'Università degli Stranieri di Siena, con il passaggio di toga dal vecchio al nuovo rettore, è stato detto che essere cittadini europei oggi significa aver voglia di trasformare la realtà in cui viviamo. Noi stiamo facendo proprio questo e crediamo che in tanti la pensano come noi: la soluzione non può essere alzare muri e barriere ai confini, ma allungare una mano e fare tutto il possibile per rendere questa società un luogo davvero per tutti.
Papa Francesco in più occasioni ha chiesto che si costruiscano ponti, non muri e che si combatta la cultura dello scarto. Vuoi raccontarci una storia, una testimonianza di chi ce l'ha fatta, dimostrando che è possibile costruire una nuova vita anche attraverso la collaborazione di chi è disposto ad aiutare queste persone nel momento del bisogno?
Mi piace raccontare la storia di Alì. Un nostro amico, socio di ResQ fin dal primo giorno. Lui è arrivato dal Gambia quando aveva solo 15 anni. Il suo viaggio è stato terribile ed è iniziato con la morte della mamma. Sono partiti in cinquecento dalla Libia, ma si sono salvate solo 150 persone insieme a lui. Nel naufragio ha perso anche un fratello. Appena arrivato in Italia non riusciva neanche a parlare. Ha ritrovato la parola grazie al supporto di chi l'ha accolto, in particolare una compagnia teatrale che gli ha permesso di iniziare una nuova vita. Noi vorremmo molte più storie come quella di Alì e nessuna come quella del fratello e di tanti, troppi compagni di viaggio.
Navi e muri
L'inizio della missione coincide dunque con una notizia la cui eco è arrivata in tutta Europa, ovvero la richiesta di nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne dell'Ue di fronte ai flussi migratori, anche col finanziamento europeo di recinzioni e muri. A scrivere la lettera sono stati i ministri dell'Interno di dodici Paesi europei (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca), indirizzandola alla Commissione europea e alla presidenza di turno del Consiglio Ue. Dure le reazioni di ong, onlus ed associazioni che ogni giorno lavorano per e con le persone migranti. Tra queste, il Centro Astalli ha parlato di "incapacità dell'Europa di leggere il presente ed il futuro", sottolineando come "nel 2021 sono arrivati 66mila migranti, con una popolazione europea è superiore ai 400 milioni di indidivui. Dunque è impossibile che l'Unione non possa gestire ciò, semmai non vuole farlo". I flussi migratori non sono un'emergenza, non si tratta di un'invasione, ma di un fenomeno che va gestito in collaborazione con tutti gli Stati.
L'intervento della Comece
"Essere europei significa anche mettere in pratica la solidarietà": è quanto scrive il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece - la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea - in una dichiarazione diffusa in seguito alla lettera indirizzata alla Commissione europea dai ministri di 12 Stati membri. “Vorrei esprimere la mia preoccupazione per la situazione dei migranti e dei richiedenti asilo – afferma il porporato – che si trovano in una situazione di vulnerabilità e la cui dignità umana e i cui diritti fondamentali dovrebbero essere difesi”. “Il loro diritto di chiedere asilo – rimarca il presidente della Comece - dovrebbe essere protetto e gli Stati dovrebbero rispettare il principio di non respingimento delle persone a rischio nel loro Paese di origine”. In questo senso, dunque, il porporato richiama alla solidarietà e ricorda quanto detto da Papa Francesco ad ottobre 2020, nel suo messaggio per i 40 anni della Comece:
Sogno un’Europa solidale e generosa. Un luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza e di egoismo. La solidarietà è un’espressione fondamentale di ogni comunità ed esige che ci si prenda cura l’uno dell’altro. Certamente occorre una “solidarietà intelligente” che non si limiti solo ad assistere all’occorrenza i bisogni fondamentali. Essere solidali significa condurre chi è più debole in un cammino di crescita personale e sociale, così che un giorno possa a sua volta aiutare gli altri. È come un buon medico che non si limita a somministrare una medicina, ma accompagna il paziente fino alla piena guarigione.
Salvaguardare i diritti
Siamo di fronte a un certo "degrado morale che mette seriamente in pericolo i valori della democrazia europea". Lo dice in un'intervista a La Repubblica il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, parlando della proposta avanzata da 12 Paesi per la costruzione di muri ai confini. "L'Unione non può diventare una fortezza contro la povera gente che scappa per la guerra, la fame o da regimi infami - sottolinea - proteggere i nostri confini, specie quando sono minacciati da regimi autoritari, è un dovere nei confronti dei nostri cittadini, ma alzare muri contro persone disperate sarebbe rinnegare i nostri valori e perdere la nostra umanità". Dunque per Sassoli questa è un'iniziativa "da respingere decisamente nei suoi fondamenti. L'unica soluzione è una politica comune europea che salvaguardi il diritto d'asilo e regoli i flussi migratori. I Paesi di frontiera non possono essere lasciati da soli a gestire questi fenomeni e ne sa qualcosa anche l'Italia". Comunque "davanti a un muro, non sparisce l'immigrazione, cambiano soltanto le rotte. Occorre assumere le frontiere esterne come frontiere di tutti e lavorare per soluzioni comuni".
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