In Sierra Leone il riscatto degli ex bambini soldato
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il dramma dei bambini soldato, la guerra dei diamanti, ebola: sono i drammatici temi per i quali, per alcuni anni, si è parlato di Sierra Leone, piccolo Paese nell’Africa occidentale che in passato è stato anche terra di tratta di esseri umani. Nonostante le ingenti somme ricevute dalla comunità internazionale, rimane uno dei Paesi più poveri del mondo.
Il decennio di guerra civile
Nel 1991 è scoppiato il conflitto fra i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario, sostenuti dalle forze speciali del NPFL e le forze governative comandate da Joseph Saidu Momoh. Dopo undici anni di scontri, che hanno causato oltre 50 000 vittime, nel 2002 hanno prevalso le forze governative.
L’impegno dei salesiani
Da 20 anni sono presenti i salesiani e da 10 mesi alla piccola comunità nel distretto di Bo, nella provincia del sud, il più popoloso dopo quello della capitale Freetown, si è aggiunto fratel Riccardo Racca:
Non ci sono più casi di bambino soldato, assicura fratel Riccardo spiegando però che purtroppo è lunga l’onda delle conseguenze in termini di traumi di fenomeni così drammatici. Sono colpiti in primis i giovani ma anche tutto il tessuto sociale. Spiega che i salesiani sono arrivati in Sierra Leone proprio per affrontare questo fenomeno che si lega a tutte le atrocità di una guerra civile che – afferma – non si può dire sia stata frutto della volontà del popolo. La cosiddetta guerra dei diamanti infatti è al centro di interessi e dinamiche ben più ampie.
Le emergenze oggi
C’è l’assistenza spirituale nelle carceri, ma anche il tentativo di prestare aiuto per le cure mediche spesso precarie soprattutto nei villaggi, dice fratel Riccardo parlando poi anche di un dramma ancora tutto attuale: quello della prostituzione minorile che tragicamente riguarda – assicura – fasce di età davvero basse. E c’è poi lo specifico del suo impegno: cercare di formare giovani al lavoro, insegnando loro un mestiere, assicurando una formazione in grado di renderli propositivi, pronti. Fratel Riccardo, che è arrivato in Sierra Leone dopo anni in Ghana e in Nigeria, ricorda che il Paese è piccolo e che gli abitanti sono otto milioni di persone: dovrebbero bastare le risorse naturali e inoltre in questa fase post conflitto sono arrivati e arrivano molti aiuti dall’esterno, ma c’è tanto bisogno – spiega – di riconciliazione e di riorganizzare il tessuto sociale. Ci sono tanti giovani nelle carceri da seguire. La prigione di Pademba, a Freetown, è stata costruita nel 1937 per ospitare 300 prigionieri. Da allora non è cambiato nulla nelle strutture, tranne il fatto che è arrivata ad ospitare 2.000 detenuti stipati in celle non igieniche. I salesiani sono l’unica istituzione che lavora con i detenuti, anche attualmente, quando la paura per Covid-19 ha portato a rivolte, con episodi di disordini costati la vita ad alcuni detenuti, incendi. E poi ci sono da seguire i tanti giovani e giovanissimi che devono imparare un mestiere quando escono dalle carceri o semplicemente perché le famiglie non se ne possono occupare.
Il riconoscimento un anno fa
Nel 2020 la Rete di Azione per la Gioventù e i Bambini (AYCN), un’organizzazione per la difesa dei diritti dei giovani e dei bambini, ha assegnato all’opera salesiana “Don Bosco Fambul” il riconoscimento come migliore organizzazione umanitaria della Sierra Leone. Gli interventi di “Don Bosco Fambul” per sviluppare e cambiare la vita dei giovani in Sierra Leone sono esemplari, specialmente per le vittime di violenza sessuale, tratta, abbandono e altre forme di violenza domestica.
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