Afghanistan, al via per 1200 profughi un corridoio umanitario verso l'Italia
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Si riapre il ponte di solidarietà, umanità e accoglienza tra Afghanistan e Italia, creato a metà agosto, all’indomani della presa del potere dei talebani a Kabul. Un gruppo di associazioni e istituzioni, Comunità di Sant’Egidio, Conferenza Episcopale Italiana, Tavola Valdese, Federazione Chiese evangeliche, Arci, Unhcr, Iom, Inm, hanno firmato oggi al Viminale un protocollo di accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri italiani che permetterà l’arrivo di 1200 profughi afghani in Italia, in due anni, con la possibilità di estendere la durata del progetto a 36 mesi. Profughi "in evidente bisogno di protezione internazionale" che ora si trovano soprattutto in Pakistan, Iran e Qatar e altri paesi limitrofi, qualcuno anche in Afghanistan, e che verranno portati nel nostro Paese, grazie ad una serie di voli, finanziati dal Governo italiano, nel nuovo corridoio umanitario aperto oggi.
La catena di accoglienza attivata in Italia
Donne, uomini e bambini che si uniranno idealmente e fisicamente con gli oltre 5 mila che l’Italia ha già accolto dall’inizio dell’ultima crisi afghana, anche grazie alla catena di solidarietà che si è subito attivata nel nostro Paese. Una catena che, ricorda Daniela Pompei, responsabile per la Comunità di Sant’Egidio del servizio ad immigrati, profughi e rom, “coinvolge parrocchie, associazioni, gruppi ma anche singole famiglie e cittadini, che spontaneamente hanno messo a disposizione case, fondi, tempo”. Alla firma del protocollo, il primo per l’Afghanistan, erano presenti la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e, tra gli altri, il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo e Chiara Cardoletti, la appresentante per l'Italia, la Santa Sede e San Marino dell'Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati.
Monsignor Russo (Cei): corridoi umanitari, una via sicura
I primi corridoi umanitari sono stati attivati nel 2017, e monsignor Russo sottolinea che, in questi anni, grazie a Caritas Italiana, che si occupa di seguire la suddivisione e l'accoglienza dei profughi nelle diverse diocesi, "la Cei ha già contribuito ad offrire un’alternativa legale a oltre mille persone provenienti dall’Etiopia, dal Niger, dalla Turchia, dalla Giordania”. “I corridoi umanitari – aggiunge – rappresentano una via sicura per coloro che sono costretti a fuggire dalla propria terra e, allo stesso tempo, dimostrano che soggetti istituzionali, governativi e non, della società civile e religiosa possono cooperare fattivamente per trovare soluzioni concrete al dramma delle migrazioni. Per questo auspichiamo che diventino uno strumento strutturale di gestione delle politiche migratorie".
Anche il Governo italiano farà la sua parte
Una delle novità più importanti del nuovo protocollo, sottolinea Daniela Pompei, è che, come nel recente accordo per i profughi dalla Libia, l’accoglienza di un terzo dei 1200 profughi afghani, 400 in totale, sarà a carico del Governo italiano, grazie alla sinergia con l’Unhcr, lo Iom (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e l’Inmp (Istituto nazionale salute migrazioni e povertà). E’ la stessa responsabile del servizio ai migranti della Sant’Egidio che spiega a Vatican News il valore di quanto stabilito oggi al Viminale.
Daniela Pompei, qual è l'importanza del protocollo firmato oggi?
E’ importante innanzitutto perché riguarda un Paese in sofferenza estrema come l’Afghanistan, che ha vissuto durante il mese di agosto il dramma dell'arrivo dei talebani con anche espressioni di violenza estrema che sono continuate. Quindi il fatto di poter aprire un protocollo, tra corridoi umanitari e anche evacuazioni è qualcosa che prosegue le azioni compiute del governo italiano, che ha fatto entrare, durante l'estate, in pochissimi giorni, dal 15 al 29 agosto, circa 5 mila afghani. Tra questi molte erano famiglie prima separate, o con parenti che rischiano molto seriamente, o ci sono dei giornalisti che sono nella sofferenza.
Anche i numeri di questo protocollo sono importanti…
Sì, prevede l’arrivo, in 2 anni, di 1200 persone. E’ stato sottoscritto da varie associazioni: la Comunità di sant’Egidio, la Conferenza Episcopale Italiana tramite la Caritas italiana, la Federazione delle Chiese evangeliche, la Tavola Valdese, l’Arci, per quello che riguarda l'accoglienza di 800 persone. In aggiunta sempre nello stesso protocollo, c'è stata la sottoscrizione da parte del Ministero dell'Interno e Ministero degli Esteri del Governo italiano attraverso questi ministeri, prenderà in carico l'accoglienza di altri 400, quindi 1200 persone complessivamente. Noi speriamo di cominciare a far arrivare i primi, se possibile, nel mese di dicembre, altrimenti andremo poi a gennaio. Arriveranno con diversi voli. Dovremo stabilire tutte le interlocuzioni, che già sono attive, con i paesi limitrofi dell'Afghanistan, evidentemente, perché è molto difficile operare dentro il Paese. Si tratta del Pakistan, l’Iran e anche altri, come il Qatar, perché l'Ambasciata italiana che era in Afghanistan lavora adesso da Doha. Dobbiamo verificare, comunque questi saranno i due principali Paesi da dove partiranno i profughi
Come saranno divisi tra le associazioni gli 800 profughi?
Ogni associazione ha stabilito qual è il numero di persone che può accogliere. Noi, come Comunità di Sant'Egidio, abbiamo stabilito di accoglierne duecento, tenendo presente che noi già accogliamo oltre 100 profughi, di quelli che sono arrivati ad agosto. E verranno suddivisi in tutta Italia, perché il dramma dell’Afghanistan ha suscitato l'impegno di tantissime parrocchie, associazioni, gruppi, ma anche cittadini singoli che si sono offerti volontariamente di accogliere: dando la casa, oppure mettendosi in gruppo e offrendo un po' di soldi ognuno. Il dramma dell’ Afghanistan ha suscitato all'interno della popolazione italiana un moto di generosità profonda. Questo è importante sostenerlo e i corridoi umanitari possono permettere anche questo.
C’è poi l'importante impegno di ricongiungere le famiglie divise da questo dramma. E’ anche un impegno burocratico e organizzativo per voi…
Nei nominativi che noi abbiamo, ci sono varie persone che addirittura avevano già tutti i documenti, per far venire le mogli, i mariti e i figli. Quindi stiamo sostenendo queste persone che si trovano alcuni in Afghanistan, ma la maggior parte stanno in Pakistan e Iran e qui c’è già un’interlocuzione con le nostre ambasciate per favorire il rilascio dei visti. E poi ci sono famiglie per le quali vorremmo favorire i ricongiungimenti allargati: figli che sono arrivati 4-5 anni fa in Italia e si sono ben sistemati. E questa è una situazione della quale nemmeno noi eravamo tanto a conoscenza, cioè che si sono diversi afghani, bene inseriti nel territorio italiano, che giustamente vogliono salvare i loro parenti quindi ci chiedono e si offrono anche, ovviamente, di ospitarli, grazie ad un sostegno da parte nostra e chiedono ovviamente di far arrivare i loro parenti. Tra le comunità etniche che soffrono ancora di più all'interno del Paese, ci sono gli Azara che hanno subito vari genocidi. Tra coloro che arriveranno in Italia ci sarà anche questo gruppo etnico, ci sono le donne, le attiviste e ci sono anche persone che hanno collaborato con associazioni italiane che in questi 20 anni hanno aiutato e sostenuto l'Afghanistan.
Abbiamo dato dei numeri, parliamo ora anche di persone, di storie: una storia che è andata bene di questi arrivi da metà di agosto…
Per esempio, abbiamo accolto una donna, Sediqa, che è arrivata con sei figli, da sola. Il marito è stato ucciso già 4 anni, aveva un livello discreto di responsabilità all'interno di un Ministero. Ha un fratello in Italia, che è diventato italiano, e che ci ha segnalato la situazione. Così il 24 agosto sono arrivati e adesso sono ospitati a Roma, la donna con tutti i sei figli, il più piccolo ha 13 anni. Alcuni avevano anche studiato, sia le donne che gli uomini, in corsi universitari, adesso li stiamo iscrivendo per fare il riconoscimento dei titoli, e stanno studiando contemporaneamente la lingua italiana. Sono ospiti di una casa di suore, qui a Roma e si trovano molto bene. Stanno facendo il percorso di inserimento. Abbiamo anche un altro gruppo di donne, alcune giornaliste, altre che facevano parte del parlamento, tutte donne sole, che sono ospitate sempre qui a Roma, e anche loro stanno costruendo, piano piano, il loro percorso di inserimento. Certo non è semplice per nessuno, perché cambiare totalmente la propria vita, pensare ai propri cari lontani, ci sono anche degli anziani di circa 70-75 anni, trovarsi proprio in un altro mondo è qualcosa che fa soffrire. Ma d'altro canto sono persone che hanno una forte resilienza, e combattono, si applicano, vogliono continuare a costruire la loro vita.
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