Allarme Onu: schizzano i prezzi dei medicinali in Libano
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, Olivier De Schutter, ha denunciato la decisione del governo del primo ministro Najib Miqati di abolire i sussidi sui medicinali in Libano. De Schutter ha ricordato come il governo aveva promesso di mettere in atto un sistema di reti di protezione sociale contro la povertà prima di revocare i sussidi, “ma questo piano non ha ancora visto la luce”. Due giorni fa, il relatore dell’Onu si è pronunciato definendo la decisione “irresponsabile e prematura” di fronte al crescente impoverimento di gran parte della società del Libano.
Un sistema sanitario tra mille difficoltà
Dopo la nuova stretta del governo, anche i prezzi dei medicinali per le malattie croniche, gli antidepressivi e i tranquillanti, così come i prezzi del latte in polvere per bambini, “sono letteralmente schizzati alle stelle”. Secondo De Schutter, gli aumenti, che sono di cinque o sei volte il prezzo precedente, “metteranno ulteriore pressione su un sistema sanitario già paralizzato".
Emergenza senza precedenti e speculazioni
Una delle peggiori crisi economiche degli ultimi 150 anni: così la Banca Mondiale valuta le gravissime difficoltà che attraversa il Libano. L’emergenza è anche sanitaria e sociale. Oltre a rimuovere i sussidi sui medicinali, il governo ha già rimosso quelli sui combustibili e su diversi alimenti di base. Questo scatena anche speculazioni. Mentre gran parte della popolazione soffre le conseguenze di un anno e mezzo di default economico, c’è infatti chi si arricchisce nelle attuali distorte dinamiche di commerci, come afferma Riccardo Paredi, che si trova nella capitale libanese per un dottorato alla American University e che collabora con la Fondazione Oasis.
Paredi sottolinea che la maggior parte della popolazione non può permettersi prezzi così alti di medicinali essenziali o utili come un antipiretico. Conferma che ci sono quelli che definisce “correttivi sociali”, cioè l’intervento di Caritas e Ong ma denuncia il fatto che a volte è difficile, farraginoso, anche assicurare la distribuzione di beni di prima necessità per complicazioni burocratiche. L'esperto ricorda che uno stipendio di un milione di lire libanesi prima del default e dell’inflazione equivaleva a 660 dollari circa, mentre ora corrisponde a circa 90 dollari. L’inflazione tocca il picco del 90 per cento.
Aumenta la disperazione popolare
Paredi mette in luce il dato drammatico dell’aumento di suicidi negli ultimi due anni. La maggior parte delle vittime sono uomini, padri di famiglia, di mezza età e senza lavoro, libanesi ma anche siriani e palestinesi, che non riescono a sostenere la pressione di fronte all'incapacità di sfamare i propri figli. In Libano ormai, secondo l'Onu, più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Racconta che in ambito universitario i giovani che hanno possibilità economiche progettano di lasciare il Paese, gli altri non intravedono possibilità di lavoro ma neanche di proseguire facilmente gli studi.
Impasse politica
La crisi è economica, sanitaria, sociale ma anche politico-istituzionale, ricorda Paredi. Il governo in carica deve traghettare il Paese alle elezioni di fine marzo 2022, ma il suo mandato sarebbe quello di assicurare riforme importanti di cui però non si vede l’avvio. Ci sono un miliardo di aiuti – ricorda – che il Fondo monetario internazionale è in grado di destinare al Libano ma nell'attuale situazione di impasse politica non è possibile svolgere le necessarie negoziazioni. "Se non c’è un governo autorevole e se non si definiscono le riforme non si possono sbloccare questi aiuti".
La voce delle proteste
A ottobre scorso si è svolto l’anniversario del picco di proteste popolari che hanno portato alla caduta del governo Hariri, seguita da varie vicissitudini, incarichi di governo andati a vuoto fino all’attuale esecutivo. Ad agosto 2020 c'è stata la tragedia delle esplosioni al porto che hanno scatenato altre manifestazioni e disordini. Riccardo Paredi innanzitutto chiarisce che p"raticamente proteste a livello popolare si registravano anche in tutto il decennio precedente a ottobre 2019"; proteste che definisce “carsiche” rispetto all’evoluzione successiva di massicci cortei in piazza. "Ma - sottolinea - emergeva un forte scontento, poi esasperato". Al momento attuale però, evidenzia Paredi, "la popolazione ha altre drammatiche priorità e l’anniversario di ottobre, pur sentito, non ha portato però a manifestazioni partecipate. Non perché non ci sia meno scontento, anzi, ma perché la popolazione non ce la fa troppo presa dalle emergenze giornaliere".
Un Paese piccolo ma complesso
Il Libano è una nazione “giovane” nata su un territorio denso di storia, un Paese ricco culturalmente ma anche complesso per tanti aspetti. In particolare, Paredi chiarisce che non si può parlare di popolazione libanese come di un unicum. C’è una grande fetta di persone che sono scivolate al livello di povertà o sotto, ma per alcuni – sottolinea l'esperto - è un periodo che offre occasioni di forti guadagni, spiegando che ci sono alcuni che fanno affari d’oro in particolare nel settore energetico, nella vendita di generatori, negli approvvigionamenti di benzina. A proposito di complessità, Paredi ricorda che si tratta di un territorio su cui svolgono un ruolo anche attori regionali. Secondo il docente, si avverte di attraversare diversi microcosmi se si frequentano anche nella stessa capitale persone legate a reti sociali o gruppi familiari diversi, e aggiunge che tutto questo si ripercuote anche nell’urbanistica di Beirut. Per non parlare della differenza tra città del nord e del sud, come Tripoli o Tiro.
Il dibattito istituzionale
In ambito universitario è vivo il dibattito sui possibili cambiamenti costituzionali. Attualmente il sistema è definito confessionale perché prevede una distribuzione delle cariche istituzionali tra le diverse confessioni religiose nel Paese. Riccardo Paredi spiega che alcuni invocano il superamento di questo sistema parlando di laicità ma che non è chiaro quali possano essere le alternative. E sottolinea che non si può parlare di contrapposizione generazionale pensando che i giovani siano tutti a favore del cambiamento e i meno giovani no. "Non è così – afferma –, anche tra i giovani molti non danno per scontato il superamento o non ritengono positive le alternative finora presentate".
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