Nucleare iraniano: riparte il negoziato a Vienna
Marco Guerra – Città del Vaticano
Riprendono a Vienna i negoziati per ripristinare l'accordo nucleare del 2015 tra l'Iran e gli altri Paesi firmatari dell'intesa (il cosiddetto gruppo 5+1), Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania e gli Stati Uniti che parteciperanno in modo indiretto, dopo il ritiro unilaterale voluto dall’ex presidente Donald Trump nel 2018.
Iran: determinati a raggiungere intesa
“Siamo fortemente determinati a raggiungere un’intesa”, ha riferito questa mattina il portavoce del ministero degli Esteri iraniano poco prima dell’incontro. "Il governo - ha aggiunto - ha mostrato buona volontà e serietà inviando un team di persone qualificate e a tutti note". Il portavoce ha anche detto che l'Iran vuole "rompere l'impasse e superare i problemi" sul tavolo, rendendo così la strada verso l'accordo "più facile". L’obiettivo di Teheran resta quello di cancellare le sanzioni volute dagli Usa che hanno avuto notevoli ripercussioni sull’economia del Paese.
Israele e Gb: evitare Iran potenza nucleare
Ai margini dell’odierno round di colloqui si sono fatti sentire anche Israele e Gran Bretagna, tramite i loro ministri degli Esteri, con una nota comune, pubblicata sul Daily Telegraph. Israele e Regno Unito "lavoreranno insieme giorno e notte per evitare che l'Iran diventi una potenza nucleare", hanno dichiarato Yair Lapid ed Elizabeth Truss. Lapid è in visita a Londra, dove nel pomeriggio è prevista la firma di un ampio accordo bilaterale tra i due Paesi. "Il tempo stringe, il che aumenta la necessità di una stretta collaborazione con i nostri partner e amici per contrastare le ambizioni di Teheran", si legge ancora nell’appello di Lapid e Truss. In un'intervista trasmessa venerdì scorso, il negoziatore americano Malley ha affermato che i segnali dall'Iran "non sono particolarmente incoraggianti" mentre il russo Ulyanov ha affermato che c'è pressione per far muovere il processo dopo "una pausa molto prolungata".
Negoziati interrotti dopo vittoria Raisi
I negoziati sul programma nucleare iraniano sono stati ripresi lo scorso aprile ma poi si sono interrotti a giugno, dopo la vittoria alle urne del nuovo presidente iraniano, il conservatore Ebrahim Raisi, che chiede la revoca di tutte le sanzioni contro il suo Paese. Con l’accordo del 2015, la Repubblica islamica si era impegnata a rispettare una serie di importanti limitazioni sul suo programma nucleare, in cambio della revoca di tutte le sanzioni; le misure punitive sono, però, state reintrodotte dagli Stati Uniti quando l'allora presidente Donald Trump decise di abbandonare l'accordo, tre anni fa, accusando Teheran di non rispettare gli obblighi e di portare avanti un programma atomico militare. In risposta, Teheran ha iniziato un graduale disimpegno dal Jcpoa, arrivando a produrre uranio arricchito oltre i limiti del 3,67% previsti dall'accordo. L'Iran utilizzerebbe anche centrifughe avanzate vietate dall'accordo e le sue scorte di uranio ora supererebbero i limiti stabiliti.
Scaglione: accordo serve a tutte le parti
“L’arricchimento dell’uranio spaventa tutta la regione e i soggetti seduti al tavolo, mentre l’Iran dal canto suo, vuole eliminare le sanzioni che gli hanno causato una grave crisi economica, quindi c’è una convenienza reciproca profonda che prima o poi porterà ad un accordo”. E' questo il parere di Fulvio Scaglione, giornalista esperto dell’area ed ex vicedirettore di Famiglia Cristiana che analizza la situazione attuale. Scaglione ritiene che il nuovo presidente iraniano Raisi non potrà tenere un atteggiamento molto diverso dal predecessore, il moderato Rouhani, dal momento che “l’accordo del 2015 sostanzialmente funzionava, a detta di tutti tranne che di Trump, nel senso che l’Iran aveva effettivamente interrotto programmi di arricchimento dell’uranio”. “Gli iraniani - spiega - chiedono quindi di fare marcia indietro rispetto alla scelta unilaterale degli Usa”.
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