Sudan, un accordo politico reintegra il primo ministro
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Il mediatore sudanese Fadlallah Burma Nasir, capo dell’Umma Party, uno dei principali partiti politici, riferisce di un accordo che ha coinvolto le organizzazioni della società civile e che prevede il rilascio dei funzionari civili detenuti dopo il golpe del 25 ottobre. Con loro Hamdok formerà un gabinetto indipendente di tecnocrati.
Decisione per porre fine agli spargimenti di sangue
All’accordo si è giunti nonostante la coalizione civile, che condivideva il potere con l’esercito, avesse dichiarato, poco prima, che si sarebbe opposta a qualsiasi colloquio con i “golpisti” e che avrebbe chiesto la continuazione delle proteste. I disordini, mortali, erano nati dopo la presa di potere del generale al-Burhan, che aveva fatto deragliare la transizione ad un governo civile generando una diffusa condanna internazionale con la sospensione di centinaia di milioni di dollari di assistenza economica al Sudan. “Con la firma di questa dichiarazione, potremmo porre un fondamento genuino al periodo di transizione", ha detto Abdel-Fattah Burhan, il massimo leader militare del Paese, che ha aggiunto: "Vogliamo stabilire un vero partenariato con tutte le forze nazionali in modo da poter alla fine costruire istituzioni che possano portarci avanti". L'Associazione dei professionisti sudanesi, un gruppo che ha giocato un ruolo chiave nella rivolta contro Bashir, ha espresso la sua forte opposizione all'accordo, accusando Hamdok di commettere un “suicidio politico”.
Le reazioni dell'Occidente
Intanto, diverse nazioni occidentali hanno accolto con favore l'intesa, pur notando le sfide future. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha esortato tutte le parti "a proseguire i colloqui e a raddoppiare gli sforzi per completare i compiti chiave di transizione in un percorso di democrazia guidato dai civili in Sudan". Ha anche invitato le forze di sicurezza "ad astenersi dall'uso eccessivo della forza contro i manifestanti pacifici". Analoga posizione da parte della Missione integrata di assistenza alla transizione delle Nazioni Unite in Sudan (UNITAMS) che ha esortato le parti ad agire in modo inclusivo, “nel rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto". Cameron Hudson, un ex funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed esperto del Sudan presso l'Atlantic Council's Africa Center, ha dichiarato che l'accordo permette ai generali di mantenere in gran parte il loro controllo e di aggirare la responsabilità per il colpo di stato e la morte di decine di manifestanti
L'accordo servirà alla stabilizzazione dell'area?
Secondo le autorità sudanesi sarebbe stata avviata un’indagine sugli omicidi, una quarantina. Le manifestazioni e i sit-in sono spesso sfociati nella violenza, con le forze di polizia e i soldati che hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per disperdere le folle. C'è da capire quanto potere decisionale avrà Hamdok: qualsiasi ministro del governo che nominerà dovrà, infatti, essere approvato dal Consiglio sovrano, controllato dal generale al-Burhan. Ne abbiamo parlato con il giornalista Enrico Casale, esperto di questioni africane:
Reggerà questo accordo?
Difficile dirlo in questo momento, l'importante è che un primo passo verso la transizione democratica sia stato compiuto. Un passo molto importante al quale hanno contribuito molti Paesi, gran parte della comunità internazionale che ha fatto pressioni sulle autorità sudanesi per ritornare indietro alla situazione pre-golpe e quindi ricoinvolgere i civili nel governo. Il Sudan, ricordiamo, è un Paese strategico, una cerniera di collegamento tra tutto il mondo arabo e l'Africa sub-sahariana, quindi ha un ruolo molto importante. A questo si aggiunge il fatto che è anche un produttore di petrolio.
Hamdok quanto potere decisionale avrà?
Anche qui, è difficile dirlo. I militari hanno avuto, hanno e avranno una forte presa sull'Esecutivo e sono stati loro a cacciare prima il presidente Omar Al-Bashir e poi ad avviare la transizione. Quindi il potere è ancora in gran parte nelle loro mani. Tutto sta a vedere quanto vorranno tenerne e quanto faranno durare questa transizione.
La società civile è abbastanza forte e consapevole?
La società civile è molto forte. Si è visto anche in questi giorni nelle manifestazioni di piazza che però sono state duramente represse. Domenica è addirittura morto un ragazzo di 16 anni perché le forze dell'ordine non rispettano le normali regole rispettate in occidente, sono molto dure nei confronti dei manifestanti. Non è facile per questa società civile imporsi sui militari.
Questa intesa porterà ad una stabilizzazione politica nel Paese?
E' un primo passo. Bisognerà vedere prossimamente. Certamente la presione è stata molto forte. Anche perché il Sudan si inserisce in un quadro molto complesso che è quello dell'Africa orientale, che già ha il grosso problema dell'instabilità in Etiopia, dove da un anno si combatte una guerra tra il governo federale e la regione settentrionale del Tigray. Se poi pensiamo che di questa stessa area fanno parte anche la Somalia e l'Uganda, recentemente sconvolta da una serie di attacchi probabilmente portati da formazioni jihadiste, ci rendiamo conto che creare stabilità in Sudan significa creare stabilità nell'intera regione. Teniamo presente inoltre che il Sudan è legato alla grande questione della diga del millennio che vede coinvolti l'Etiopia, il Sudan e l'Egitto. Un grosso sbarramento creato dall'Etiopia e che è stato contestato dall'Egitto. Anche questo potrebbe essere un fattore di ulteriore tensione.
aggiornamento 22 novembre, ore 14.00
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