La protesta oggi a Kabul di donne afghane per chiedere lavoro, cibo, giustizia e migliori condizioni di vita La protesta oggi a Kabul di donne afghane per chiedere lavoro, cibo, giustizia e migliori condizioni di vita  

Pangea: le donne afghane chiedono di non essere dimenticate

Un decreto del governo talebano, insediatosi lo scorso agosto in Afghanistan, pone ulteriori limitazioni alla libertà delle donne nel Paese. In particolare i divieti riguardano la possibilità di movimento. Le manifestazioni di protesta delle donne afghane proseguono ma vengono regolarmente represse. La comunità internazionale non deve dimenticare, anzi deve sostenere queste donne, afferma ai nostri microfoni Simona Lanzoni vice presidente dell'organizzazione, da sempre al loro fianco

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Prosegue il percorso di arretramento in Afghanistan. Dal Paese arrivano non solo notizie di fame diffusa, di bambini malnutriti che hanno bisogno di cure, di freddo, di una povertà in costante aumento, ma anche di violazioni dei diritti umani, in particolare, come c’era da aspettarsi, nei confronti delle donne, condannate ad una sempre maggiore invisibilità, non solo fisica con il ritorno del burqa. D'ora in poi le donne afghane non potranno allontanarsi dalla propria residenza oltre 75 chilometri a meno che non siano accompagnate dal marito o da un parente di sesso maschile. E' una delle nuove regole stabilite dal ministero per la Prevenzione del vizio e la promozione della virtù di Kabul. Nello stesso decreto, reso pubblico ieri, si vieta ai tassisti di trasportare donne che non siano opportunamente coperte. Per le ragazze restano interdette le scuole superiori e le università e la maggior parte delle donne, che prima dell'agosto scorso lavoravano, ora sono a casa, ma sebbene ci sia un accanimento nei loro confronti, la mancanza di lavoro colpisce anche gli uomini: i talebani, infatti, non hanno i soldi per pagare gli stipendi ai lavoratori dei settori pubblici. Tutto questo si aggiunge al divieto per le ragazze di praticare sport, di apparire con il proprio volto sui muri nelle città, mentre per tutti è vietato ascoltare musica o cantare in pubblico. 

Pangea: sosteniamo le donne afghane

Da sempre la Fondazione Pangea Onlus si occupa della condizione femminile in diverse parti del mondo e anche in Afghanistan. Abbiamo chiesto alla vice presidente Simona Lanzoni di raccontarci come le donne afghane vivono questo drammatico momento e che cosa la sua organizzazione sta facendo per sostenerle. 

Ascolta l'intervista a Simona Lanzoni

Simona Lanzoni, in Afghanistan le nuove regole restringono in misura crescente la libertà di movimento e di autodeterminazione delle donne: che cosa dire?

In questi giorni i talebani non hanno fatto altro, purtroppo, che mettere per scritto ciò che già avveniva in questi mesi: le donne già prima si facevano accompagnare dagli uomini per muoversi, per sentirsi più sicure, per non essere fermate dalle guardie talebane. Ancora le donne non contano abbastanza non solo in questo Paese, ma anche a livello internazionale, perchè non si riesce a fermare questo stato di cose.

Pare che uno dei motivi delle limitazioni al movimento posti alle donne sia quello di impedirne l'uscita dal Paese. Qual è la situazione a questo riguardo. C’è qualche possibilità ancora di lasciare l’Afghanistan per chi lo desidera?

E' molto difficile. Per le donne assolutamente più difficile rispetto ad un uomo anche solo il pensare di riuscire a passare le frontiere in Afghanistan. Già questo era evidente quando, come Pangea, ho seguito l'evacuazione di agosto: per le donne era difficile anche solo arrivare all'aeroporto, soprattutto poi se avevano figli, e oggi è ancora più impensabile per loro arrivare da sole alle frontiere con il Pakistan, con l'iran o con il Tagikistan, perché comunque le donne devono sempre essere accompagnate, altrimenti vengono pesantemente infastidite, minacciate e fermate dai talebani. In questo momento, quindi, viene loro impedito il movimento all'interno della stessa città, ma ancora di più è impedito il movimento per provare ad andare via. E vi assicuro che, purtroppo, in questi ultimi 15 giorni le richieste di aiuto che ci sono arrivate, sono triplicate. Sono tantissime le donne disperate che vorrebbero in qualche modo uscire dall'Afghanistan perché si trovano in una condizione non solo di fame e di povertà, ma di continua, continua minaccia. E non avere nessun tipo di speranza è un sentimento che va oltre l'impotenza, è una rassegnazione totale perché non si riesce a destare l'indignazione internazionale in grado di smuovere la situazione.

 

Abbiamo visto che per far cambiare idea ai talebani riguardo ai diritti delle donne non sono bastate le sanzioni economiche o l’isolamento internazionale. D’altra parte l’impressione è che sull’Afghanistan sia calato il silenzio. A suo parere, c’è una certa accettazione da parte della comunità internazionale della situazione di fatto?

L'impressione è vera. Sicuramente questa situazione porta comunque a dei benefici economici che noi non riusciamo a vedere, mentre per chi lavora come Pangea a livello umanitario e per i diritti umani, devo dire che si vive un senso di impotenza, perché è difficile riuscire a proteggere tutte queste donne che chiedono aiuto se qualcosa di più grande di noi non ferma questa situazione, è veramente difficile. Ecco ci sono ragazze, per esempio, che hanno perso i genitori e che girano per le strade di Kabul non sapendo dove andare perché non hanno un uomo che le protegge. Abbiamo ricevuto anche la richiesta di aiuto di donne con figli, donne che hanno dei mariti, per esempio, che hanno delle dipendenze da droga e che vogliono vendere i figli, e che non sanno come fermare i mariti e, nel momento in cui vengono picchiate, abusate dai mariti che utilizzano la forza per imporre la propria volontà sulle donne, se loro tentano di scappare i talebani le recuperano e le riportano a casa. Questo è solo per fare un esempio di come effettivamente la donna sia veramente oppressa e non abbia nessun tipo di margine per poter uscire da questa situazione. Noi della Fondazione Pangea, da quando l'evacuazione è terminata, abbiamo iniziato ad aprire delle case sicure, diciamo così, delle case rifugio, però ci siamo resi conto che non possiamo moltiplicare queste case rifugio all'infinito perché sono tantissime le richieste che riceviamo, e quindi quello che facciamo è sostenere anche economicamente quelle donne che non riescono a trovare una soluzione per loro.

Ascoltando le sue parole, mi è sembrato di rivedere quello che si leggeva 20 anni fa sui libri che descrivevano la situazione delle donne in Afghanistan che, in quel momento, cominciavano a vivere una libertà nuova e potevano finalmente sperare nel futuro. Siamo quindi tornati proprio esattamente alle condizioni di vent'anni fa...

Stiamo lentamente tornando a quel punto. A quell'epoca succedeva anche di peggio e io mi auguro che non ci si arrivi mai. Però effettivamente, sì, stiamo veramente tornando indietro di 20 anni ed è assurdo. È veramente assurdo pensare che questo stia accadendo adesso. 

Da parte delle organizzazioni femminili, ci potrebbe essere una qualche mobilitazione maggiore? O si ritiene che sarebbe del tutto inutile?

Ci sono delle mobilitazioni internazionali dell'associazionismo femminile, ma non sono sufficienti per arrivare a chi decide a livello internazionale, però di fatto è importante che continui ad esserci l'attenzione perché altrimenti l'Afghanistan e le donne afghane andranno nel dimenticatoio. Quindi è assolutamente importante continuare a parlarne e a sensibilizzare le persone affinché il sentimento dell'indignazione non si fermi e perché comunque tutto questo creerà quel movimento che, io spero, riuscirà in qualche modo a far muovere delle cose. Nel Paese in questo momento stanno arrivando gli aiuti umanitari, ma per gli stessi talebani, anche solo il fatto di continuare a mettere queste regole ancora più restrittive, non gioca a loro favore. Ricordo che, per esempio, sull'educazione c'è stata una grande sommossa popolare in Afghanistan che ha permesso in alcune province di riaprire le scuole anche alle bambine. Questo ci fa pensare che dobbiamo veramente continuare a mantenere alta l'attenzione sui diritti delle donne perché questo forse non immediatamente, ma tra qualche mese, produrrà dei cambiamenti.

Le donne afghane stanno promuovendo qualche forma di protesta o di resistenza nel Paese?

Ci sono delle piccole manifestazion che vengono dal basso ma che vengono sempre represse. Sicuramente c'è ancora un humus per cui le donne afghane non vogliono accettare quello che è stato deciso, appunto i divieti e le nuove regole di vita. Noi lavoriamo anche con delle attiviste in Afghanistan e la richiesta che ci rivolgono è sempre questa: di non dimenticare l'Afghanistan e le donne afghane e di continuare anche ad indignarsi. Questo è quello che chiedono fortemente. Non dimentichiamo l'Afghanistan, perché quello che sta accadendo in Afghanistan non sta succedendo solo là, il fatto che si lasci un Paese in quella condizione e che non si dia importanza alle donne, perché di fatto questo sta succedendo, è qualcosa che potrebbe ripercuotersi negativamente in tante altre parti del mondo. Noi ci auguriamo che la nostra attenzione dia loro la forza per continuare a resistere e alle associazioni presenti di proseguire nel loro impegno.

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28 dicembre 2021, 15:20