Sudan nel caos: governo in bilico per le dimissioni del premier
Paola Simonetti - Città del Vaticano
La formazione di un nuovo governo In Sudan è urgente e necessaria per far uscire il Paese dalla grave crisi sociale in atto. Ne sono convinti leader arabi e internazionali che, il 29 dicembre, in diverse conversazioni telefoniche, hanno cercato di convincere il primo ministro, Abdallah Hamdok, deposto dal colpo di Stato militare del 25 ottobre scorso, e poi reintegrato, a fare marcia indietro sulla decisione di dimettersi. Le dimissioni sono motivate dall’impossibilità a portare avanti la formazione di un esecutivo stabile e a persuadere le forze politiche a firmare una nuova dichiarazione d'intenti, nonostante gli accordi del 21 novembre scorso con il comandante in capo dell'esercito locale, al-Burhan.
Continuano le proteste
A caldeggiare la formazione di un nuovo governo in tempi rapidi, lo stesso ministro degli Esteri, Al Saud, che in un confronto con al-Burhan e con Hamdok, ha sottolineato l'interesse per la stabilità del Sudan, proponendo un "accordo tra le componenti militari e civili a beneficio del Paese e del suo popolo". Un situazione critica per Hamdok, che già la settimana scorsa aveva parlato, poi rinviandole, delle sue dimissioni, vincolandole ai progressi nella sua ricerca per formare un governo e che si è visto attaccare duramente da alcuni commentatori, blogger ed esponenti politici, convinti che il primo ministro abbia fallito e che sia il vero responsabile per la situazione attuale in cui versa il Paese. Nel frattempo il malcontento sociale cresce: la popolazione ha annunciato di voler tornare a manifestare contro la giunta militare golpista. Contro le proteste, che proseguono da novembre, il governo ha risposto usando il pugno di ferro. Dall'inizio dei disordini sono state 46 le vittime, l'ultima il 19 dicembre scorso.
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