Tigray, spiragli di pace dopo il ritiro delle milizie ribelli
Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano
Migliaia di morti, due milioni di sfollati e centinaia di migliaia di persone ridotte alla fame. Sono i drammatici numeri della crisi umanitaria provocata in Etiopia da un anno di conflitto nel Tigray e nelle due regioni dell’Amhar e dell’Afar , tra le truppe governative del premier etiope Abiy Ahmed e i ribelli del fronte popolare di liberazione del Tigray, che hanno annunciato il loro ritiro dalle due regioni per consentire l’afflusso di aiuti umanitari per la popolazione civile.
Immediato cessate il fuoco
Il leader dei miliziani ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità, aprendo così alla pace, una decisione secondo Addis Abeba che parla di ritirata strategica dei ribelli per nascondere in realtà la sconfitta. Il fronte dei ribelli avrebbe chiesto l’istituzione di una no-fly zone sul Tigray e un corridoio di aiuti aerei o terrestri, oltre ad un embargo sulle armi all’Etiopia e all’Eritrea, chiedendo poi all’Onu di assicurare il ritiro delle forze amhara ed eritree dal Tigray occidentale. Gli Stati Uniti, preoccupati per la pulizia etnica in atto nel Paese, hanno espresso la speranza che il ritiro dei ribelli tigrini possa aprire la porta alla diplomazia per metter fine al conflitto, mentre per le Nazioni Unite si tratta di una buona opportunità per la creazione di uno spazio politico per il dialogo.
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