Adozione, una storia d'amore
Debora Donnini – Città del Vaticano
“Quel giorno splendeva il sole, io sorridevo e faceva caldo, mi hanno chiamata per nome e donato un cognome per darmi una vita piena d’amore”. Le parole che Michela - adottata a quattro mesi in Brasile da una coppia italiana - dedica in un post ai suoi genitori, arrivano dritte al cuore. Ma è tutta la storia raccontata in questa intervista - concessa a Radio Vaticana - dalla mamma adottiva, Stefania Palleri, a commuovere profondamente perché tocca quelle verità d’amore che sono scolpite nel cuore.
Una storia non priva di sofferenze ma anche di manifestazioni di Grazia, quella di Stefania Palleri e Carlo Mochi, che anni fa hanno adottato due bambini, oggi adulti. Una storia che conferma le parole che il Papa ha rivolto sull’adozione all’udienza generale del 5 gennaio scorso: “È tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità. Quanti bambini nel mondo aspettano che qualcuno si prenda cura di loro!”. Papa Francesco ha esortato, dunque, a scegliere la via dell’adozione, assumendo il rischio dell’accoglienza.
Pur nelle difficoltà, il Signore ci ha sempre accompagnato
“Abbiamo saputo prima del matrimonio che non avremmo potuto avere figli naturali. Quindi, ci siamo fermati per elaborare questa sofferenza. Abbiamo, poi, deciso che la nostra strada era quella di sposarci, avendo già nel cuore questo desiderio dell'adozione”, racconta Stefania. Inizia, dunque, l’iter fino a ottenere l’idoneità. Le strade si aprono grazie a un sacerdote italiano che viveva da 20 anni in Brasile e aiutava a far adottare i bambini che gli lasciavano in parrocchia. Non mancano le difficoltà ma “il Signore ci ha sempre accompagnato e le cose si complicavano e poi si risolvevano”, spiega Stefania con quello sguardo di fede che l’ha sempre sostenuta così come forte è stata la vicinanza della comunità del Cammino neocatecumenale di cui fanno parte.
In Brasile c’è Michela, una bimba di pochi mesi. “Non dimenticherò mai - racconta Stefania - il primo momento in cui ci siamo incontrati perché lei stava su un'amaca e padre Franco ci ha detto di muovere l’amaca per svegliarla. Io avevo paura perché pensavo: ‘si sveglia, piangerà, non ci ha mai visti, vede due facce nuove….’. E invece, appena abbiamo toccato l’amaca, lei si è svegliata e ci ha fatto veramente il sorriso più bello che io abbia mai visto. Così è iniziata la nostra storia di genitori”.
Nella semplicità dire la verità
Inizia, dunque, una nuova vita insieme. “La cosa importante che mi preme anche dire - confida Stefania - è di non aver paura di dire la verità ai bambini. Da quando era piccola Michela ha sempre saputo di essere stata adottata. All'inizio era una storia. La maestra dell'asilo nido mi diceva che Michela raccontava: ‘stavo in una capanna piccola, piccola, poi mamma e papà sono venuti a prendermi con l'aereo’. Poi logicamente questa storia è stata elaborata da lei e quindi a un certo punto mi ha rivolto proprio la domanda: ‘Mamma, perché io sono stata adottata?’”. Nella semplicità dire sempre la verità è l’esortazione che Stefania rivolge, notando che questa attitudine ha portato sempre buoni frutti anche se certamente vi sono sofferenze, la loro realtà da accogliere, la loro storia che, anche se non è la storia di tutti i bambini, lo è di tanti bambini.
Michela, che oggi è insegnante, ha dedicato ai suoi genitori delle parole molto belle. Le ha scritte il 2 dicembre di tre anni fa. “Il 2 dicembre - spiega la mamma - è il giorno in cui noi ci siamo incontrati”: una giornata che ricordano sempre in famiglia assieme al 17 maggio per Mattia.
Le parole di Michela nel post
"Non so che ora fosse quando sono venuta al mondo, ma so bene che non sono nata per errore o senza amore. Di lì a poco, senza nemmeno conoscere i miei lineamenti, le mie prime abitudini, il suono del mio pianto o la grandezza della mia mano, 25 anni fa loro sono arrivati in Brasile solo per me. Ero troppo piccola per capire cosa stesse succedendo, eppure stavo per rinascere una seconda volta.
La verità e l’amore sono stati le chiavi per comprendere la mia storia, che ad oggi posso con certezza dire sia la storia più bella che potessi avere, non facile, non semplice, ma di certo unica.
Quel giorno splendeva il sole, io sorridevo e faceva caldo, mi hanno chiamata per nome e donato un cognome per darmi una vita piena d’amore.
Grazie perché nessuno come voi adesso conosce i miei lineamenti, il suono del mio pianto, nei dolori e nelle gioie, e la grandezza della mia mano, che non avete mai ma mai più lasciato.
Grazie a chi ha aspettato con me il loro arrivo, a chi ha scelto per me la vita, a te che non ricordo, ma che porto nel cuore.
Non dimenticarti di me.
Vi amo, mamma e papà!
Grazie, mille volte grazie".
“Carezze, mamma”
“Questo è un pensiero che mi tocca il cuore - confida Stefania - perché mi fa pensare a Michela che ha elaborato la sua storia e la vede come una storia d'amore. Così è anche per Mattia che è arrivato che era più grande, aveva quasi 3 anni, e quindi un vissuto d'istituto. Come dicevano all’istituto, era un po' il capobanda”. Mattia è nato in Ucraina, oggi lavora come tornitore, è sposato e assieme a sua moglie aspetta la nascita del figlio. Quando Michela aveva circa 3 anni e mezzo, Carlo e Stefania decidono, infatti, di intraprendere un nuovo iter adottivo, ricominciano le partiche e il giorno di San Mattia, il 14 maggio del 1999, partono per l’Ucraina. “Avevamo delle caramelle, lui è arrivato, si è preso le caramelle e se ne è andato. È stato un innamorarci piano piano, soprattutto lui di noi, perché noi appena l'abbiamo visto, lo sentivamo veramente nostro figlio e lui invece ha fatto un po' fatica”, ricorda Stefania. “Quando è uscito dall'istituto non aveva nemmeno mai visto fuori perché le finestre erano in cima alla parete e quindi lui non aveva la possibilità di vedere quello che succedeva fuori. I primi due giorni è stato davanti alla finestra”, notando luci e macchine. All'inizio stava con noi solo per mangiare. Piano piano, mi mettevo vicino a lui quando si addormentava. Mattia era abituato ad addormentarsi da solo, dondolandosi. Io cercavo di accarezzarlo e lui mi toglieva la mano e poi, dopo una decina di giorni in cui comunque sono rimasta lì ferma vicino a lui, abbiamo capito che diceva: ‘carezze, mamma’. Quindi, mi ha preso la mano e si accarezzava con la mia mano”.
La gratitudine verso la mamma che li ha fatti nascere
Stefania conferma che lei è suo marito hanno vissuto in pieno questa maternità e paternità: “Abbiamo vissuto l'arrivo di dei nostri figli esattamente come tutti i genitori. Non posso pensare alla mia vita senza i miei figli”. “Quando è il giorno della festa della mamma - racconta Stefania - penso sempre a tutte le mamme che hanno dato alla luce i bambini e poi non li hanno potuti tenere per tante motivazioni che non sta a me giudicare. Quindi, penso sempre anche a loro e infatti nelle parole di Michela c'è un pensiero molto profondo anche verso la mamma biologica. Penso che sia veramente molto importante che questi ragazzi abbiano nel cuore anche un senso di gratitudine verso questa mamma che li ha fatti nascere e ha dato loro la vita”. Parole che a tutti ridonano un senso profondo della vita.
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