Iraq, passi avanti nella ricostruzione. Padre Jahola: la gente chiede stabilità
Michele Raviart - Città del Vaticano
La Chiesa della Madonna dell’ora e la cattedrale siro-cattolica Al-Tahira di Mosul, distrutte durante l’occupazione del sedicente Stato Islamico della seconda città dell’Iraq, saranno ricostruite grazie a un intervento dell’Unesco e degli Emirati Arabi Uniti. I lavori inizieranno a marzo e coinvolgeranno anche il minareto di al Hadba e, a maggio, della moschea Al-Nouri, che era stata la sede ufficiale del califfato durante l’occupazione del 2014 e in cui recenti scavi hanno portato alla luce una sala di preghiera del tredicesimo secolo.
Da ricostruire anche 122 case storiche
Un lavoro di recupero da cinquanta milioni di dollari ai quali si aggiungono altri 38,5 milioni provenienti dall’Unione Europea per ricostruire 122 case storiche della città, distrutte durante i quattro anni di occupazione jihadista. Una luce di speranza per un ritorno alla normalità in Iraq, nelle ore in cui il parlamento ha deciso di rinviare sine die le elezioni del presidente della Repubblica mentre si cercano di trovare gli equilibri per formare un nuovo governo.
Le speranze degli iracheni
Padre don Georges Jahola, parroco della chiesa di San Behnam e Sarah a Qaraqosh, come vive la popolazione irachena questa situazione di stallo?
È un momento di instabilità che preoccupa la gente, perché e formare un governo vuol dire anche far funzionare tutto. Non è come in Europa dove tutto funziona anche nelle fasi di transizione. Qui rimane tutto bloccato le cose non vanno come si deve se le istituzioni non vanno avanti. Quest’attesa va contro le speranze della gente.
Quali sono i bisogni principali oggi, all’inizio del 2022 per la popolazione irachena. Cos’ è che serve soprattutto?
La politica influisce anche sull’economia e sulla vita quotidiana. Se continua il settarismo la gente resterà preoccupata. Dal punto di vista politico se il governo del Paese rimane controllato dai partiti religiosi sostenuti dall’estero ci sarà ancora instabilità, perché mancherebbe la sovranità del popolo. Il popolo è rappresentato dal parlamento e dal governo e così non funzionerebbe ia favore del popolo. È importante avere una certa autonomia delle decisioni, soprattutto in campo militare, perché c’è la mano di altri Paesi che controllano il territorio in modo indiretto. Invece dal punto di vista economico c’è attesa di un cambiamento che favorisca l’occupazione. I giovani laureati non trovano lavoro né per sopravvivere né per costruire un futuro in questo Paese. Se continua così, tanta gente cerca, soprattutto noi cristiani, di andarsene via definitivamente dall’Iraq oppure – ma questo è meno probabile - di spostarsi altrove nel Paese, come ad esempio in Kurdistan o altri luoghi. Quindi l’instabilità legata a due condizioni, due situazioni: quella politica, ma anche quella economica.
Quanto è importante il ruolo della Chiesa per essere accanto alle persone, anche quando sono smarrite per questa instabilità di cui ha parlato?
La Chiesa fa quello che può per aiutare le famiglie a stare bene anche dal punto di vista materiale. Qui a Qaraqosh ci sono ancora tante case non ricostruite quindi noi come Chiesa e come comitato di ricostruzione continuiamo questo lavoro per dare sicurezza e almeno una dimora degna, a quattro-cinque anni dal rientro. La Chiesa vuole anche, e cerca, di sviluppare progetti di investimento per creare posti di lavoro. Finora sono molto limitati perché non ci sono risorse, ma da questo punto di vista la Chiesa può fare tanto.
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