Suor Mirna dal Libano in crisi: non possiamo curare la gente che soffre
Michele Raviart - Città del Vaticano
Continua la crisi economica, sociale in Libano. Disoccupazione, inflazione e il crollo di ogni servizio pubblico, compresa l’elettricità che è disponibile solo poche ore al giorno rendono la vita dei libanesi sempre più difficile. Per provare ad uscire anche dalla crisi politica, martedì è stato approvato un finanziamento da 18 milioni di dollari per le prossime elezioni parlamentari del 15 maggio, che si temeva potessero essere rimandate per mancanza di fondi.
L'aiuto delle suore di Santa Giovanna
Intanto tra chi cerca di aiutare una popolazione sempre più in difficoltà ci sono anche le suore di Santa Giovanna Antida Thouret, che in collaborazione con l’ong Engim stanno aiutando circa 500 famiglie a Beirut. Tra di loro c’è suor Mirna Farah.
Sorella, qual è la situazione nel Paese?
È una crisi totale. Drammatica, per non dire tragica. Cosa possiamo aspettarci da uno Stato in fallimento, in un Paese dove i cittadini sono completamente abbandonati a loro stessi. I ministeri non hanno più soldi, così la cura, ad esempio, dei malati e degli anziani ricade completamente sulle famiglie. Il prezzo delle medicine è aumentato di dieci volte, così come il prezzo della benzina, del gas e del carburante. Attualmente il 75% dei libanesi vive sotto la soglia di povertà. Le famiglie sono in affanno, i giovani sono disperati. Ho visto madri vendere i propri elettrodomestici per curare un bambino ospedalizzato. Ho sentito una madre che è stata costretta a smettere di dare il latte ai suoi due gemelli di 2 anni, perché non poteva più comprarlo e ho visto tante persone ammalate che non possono più permettersi di pagare le loro cure. La sofferenza che vive adesso la gente è quella per potersi assicurare il cibo, ma non è quella la vita. La vita non è soltanto mangiare. Alcuni giorni fa una donna mi ha chiamato - lei ha un figlio unico – e mi ha detto: “Cosa faccio? Non ho più soldi”. Ha perso il suo lavoro e la medicina per suo figlio costa tre milioni di lire libanesi e tutto quello che guadagna adesso sono seicentomila lire. Questa è la sofferenza della gente: vedere qualcuno soffrire senza poter curarlo.
Come aiutate concretamente queste famiglie? Come si riesce a dare sostegno, visto queste condizioni sono le stesse anche per chi aiuta?
Si, il problema è quello. Anche i benefattori libanesi, anche le persone che ci aiutavano quando la situazione era migliore, adesso sono nel bisogno ed è questo che fa male a me e a tanti libanesi, che non eravamo abituati a questo stile di vita. Non so come spiegarlo, ma è molto duro. Sono tante le cose che consideriamo oggi come necessarie e che non possiamo più avere in Libano. Per esempio una famiglia mi ha detto che, siccome non c'è elettricità, non hanno acqua e non hanno acqua calda. Allora come si può fare il bagno ai bambini se non c'è acqua o acqua calda?
Che cosa fa la Chiesa?
Dobbiamo ricordarci che la crisi che stiamo vivendo è stata classificata dagli economisti come la più grave e severa di questo secolo. L’esplosione del 4 agosto ha distrutto tante istituzioni ecclesiali e anche la Chiesa ha avuto i suoi danni. La Chiesa in Libano possiede e gestisce diverse scuole, università e strutture sanitarie, che danno lavoro a migliaia di persone, ma allo stesso tempo la Chiesa in questi momenti soffre come le altre istituzioni perché il suo denaro è bloccato nelle banche. Tuttavia i vescovi e i superiori degli ordini religiosi hanno espresso la volontà concreta di sostenere la popolazione offrendo aiuti che vengono dall'esterno e preservando il lavoro e il pagamento degli stipendi di tutti i dipendenti delle diverse istituzioni. Questo è un aspetto molto importante, perché impedisce alle persone di essere senza lavoro. In questa emergenza economicamente così grave, la Chiesa ha attuato altri programmi di solidarietà, nelle parrocchie, con i movimenti della gioventù, ma anche la Chiesa è sopraffatta dalla enormità dei bisogni e non è in grado di sostituire uno Stato in fallimento. Noi sentiamo che tutto quello che facciamo non basta. È una goccia nel mare.
In tutto questo c'è una voce di speranza, quella di Papa Francesco che ha continuamente lasciato accesi i riflettori sul Libano affinché non venga dimenticata questa crisi. Come sentite voi questa vicinanza?
Io vorrei attraverso di voi ringraziare il Vaticano e il Papa, perché quanto viviamo questi momenti difficili, perfino di morte e non solo di crollo o di fallimento, è bello sentire che c'è qualcuno che prega per noi e che ci sta vicino. E questo la Chiesa lo fa nella persona di Papa Francesco. Abbiamo bisogno di tanta preghiera, è vero. Ne abbiamo bisogno e abbiamo anche bisogno della diplomazia del Vaticano che invita a un dialogo internazionale. È bellissimo tutto quello che la Chiesa fa per noi. Ci dà la speranza che un giorno vedremo la luce. C’è tanta, tanta sofferenza. I libanesi vivono una sofferenza indescrivibile e la vivono nel silenzio. Io mi rivolto davanti a questo. Almeno diamo voce alla sofferenza. Facciamo vedere la realtà della situazione come è. Non so perché, ma sento che in qualche modo il mondo è complice di questo silenzio.
Ci sono dei momenti di luce, dei momenti di speranza che possono far pensare che questa situazione possa finire?
Ho lavorato per diversi anni nell’insegnamento. Sono stata preside di una scuola cattolica nel centro di Beirut, dove la maggioranza degli studenti era musulmana. Mi meraviglio e continuo a meravigliarmi della nostra gioventù: aperta, carica di sogni, reattiva, generosa, combattiva. Mi ricordo che dopo l’esplosione del porto sono stati i giovani che hanno pulito le strade, che ci hanno aiutato e hanno aiutato anche la gente a sistemare le loro case. Conservo nel mio cuore la bellezza del mosaico culturale e religioso dei libanesi. La loro vicinanza ai poveri, la loro empatia quasi naturale, il loro desiderio di vivere insieme. Io penso che il Libano rimane un laboratorio di dialogo e di fraternità umana, anche se la gioventù adesso è disperata, abbiamo tante risorse interiori e tanto coraggio, tanto coraggio.
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