Non siamo cristiani se ci facciamo la guerra
Sergio Centofanti
Forse saremo tanto pazzi da farci la guerra. Una guerra in Europa dalle conseguenze inimmaginabili. Ma almeno non diciamoci cristiani.
Stiamo giocando col fuoco. Forse non ci bastano le guerre invisibili, quelle guerre mondiali che ogni anno fanno milioni di morti per fame e povertà, per malattie evitabili, per la violenza di tanti conflitti dimenticati, per la criminalità di tutti i giorni, per gli incidenti sul lavoro o per quella guerra nascosta che si chiama solitudine, esclusione, sfruttamento, indifferenza.
C’è poi la guerra di cui non abbiamo più coscienza: quella contro i nostri figli uccisi nel grembo delle madri. Forse è la guerra più invisibile. Chissà se un giorno i posteri ci condanneranno per questa strage silenziosa. Chi non vede queste grandi guerre, dà per scontata la sua piccola pace. Non ci condanniamo a ripetere gli errori del passato.
Forse non ci basta la pandemia che ha già sconvolto l’intera umanità, uccidendo senza distinzioni e impoverendo i più poveri e arricchendo ancora di più alcuni ricchi. E oggi le sole minacce di guerra aumentano la povertà di molti e la ricchezza di pochi.
Preoccupano le rabbie e gli odi che girano per il mondo: i raptus di violenza, le parole di disprezzo, le esplosioni di ferocia. Preoccupano le offese e gli insulti tra gli stessi cristiani. Gesù ha detto che ci riconosceranno dall’amore che avremo gli uni per gli altri. Invece, basta guardare su social e blog: spesso assistiamo a scontri e aggressioni reciproche senza freni, magari in nome della verità e della giustizia. San Paolo dice ai Galati: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5,15). Ma se ci facciamo la guerra tra noi che crediamo nel Vangelo, come possiamo chiedere agli altri di non farla?
Il Vangelo ci chiede di amare i nemici, di vincere il male con il bene. Sembra un’utopia. Forse saremo così pazzi da farci la guerra. Ma almeno non diciamoci cristiani.
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