Cerca

Le sedie accatastate di un locale senza clienti Le sedie accatastate di un locale senza clienti 

Rosas (Oil): la pandemia, colpo durissimo alla disoccupazione

Intervista de L’Osservatore Romano al direttore dell’Ufficio dell’Organizzazione internazionale del lavoro per l’Italia e San Marino: stimate per il 2022 circa 207 milioni di persone senza lavoro

di Davide Dionisi

L’impatto del covid sul mercato del lavoro è stato devastante. Solo nel 2020, la perdita di ore lavorate a livello mondiale equivaleva a 245 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Con un conseguente aumento del livello di povertà e instabilità sociale ed economica. Ne abbiamo parlato con Gianni Rosas, direttore Ufficio dell’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) per l’Italia e San Marino, al quale abbiamo chiesto se nelle previsioni a medio termine è prevista una inversione di rotta. «La fine dei lockdown e la ripresa delle attività economiche ha prodotto un parziale riassorbimento del numero di ore lavorate che erano state perse nel 2020 durante le fasi più acute della pandemia. Si prevede che il ritorno dell’occupazione ai livelli pre-pandemia non avverrà prima del 2023. Oltre ai gruppi di lavoratori più colpiti dalla crisi (p.e. donne e giovani), la ripresa fatica di più nei Paesi più poveri, sommandosi ad una serie di fattori strutturali che intrappolano la maggior parte delle persone in lavoro informale e in povertà lavorativa. Secondo le nostre stime più recenti, il numero dei disoccupati si attesterà intorno ai 207 milioni nel 2022. L’impatto globale della pandemia sul lavoro è tuttavia significativamente maggiore rispetto a quello rappresentato dalla disoccupazione a causa delle molte persone che sono state catapultate nell’inattività».

A che punto siamo in materia di garanzie di sicurezza e salute sul lavoro?

Nonostante negli ultimi decenni ci sia stato un miglioramento della legislazione di molti Paesi a garanzia della salute e sicurezza sul lavoro, questo diritto continua ad essere scarsamente tutelato soprattutto in contesti in cui la competitività interna o internazionale è basata sulla compressione dei diritti del lavoro. Anche nei Paesi con legislazione più avanzata, esiste un problema generale in materia di applicazione e di controllo delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro. Per diversi milioni di persone, l’obiettivo di assicurarsi una vita dignitosa attraverso il lavoro si scontra con il paradosso della perdita della vita a causa del lavoro. A livello globale, sono circa 3 milioni le lavoratrici e i lavoratori che ogni anno perdono la vita a causa di un infortunio o malattia professionale e più di 374 milioni sono vittime di gravi infortuni sul lavoro. Sono circa 160 milioni i nuovi casi di malattie professionali non mortali che si verificano ogni anno. Ci aspettiamo che a causa della pandemia questi numeri siano ancora più elevati negli ultimi due anni. La globalizzazione e l’organizzazione della produzione e del lavoro nelle filiere globali di fornitura hanno fatto sì che molti dei prodotti che oggi compriamo e che entrano nelle nostre case sono il risultato del lavoro svolto da persone alle quali non vengono riconosciuti i loro diritti sul lavoro, incluso il diritto alla salute e sicurezza.

I deficit in materia di lavoro dignitoso sono ancora diffusi. È ancora alto il numero di lavoratori con forme di impiego vulnerabili?

Dei 3,2 miliardi di lavoratrici e lavoratori nel mondo, circa 2 miliardi (o il 60 per cento) del totale lavorano nell’economia informale. Questi lavoratori versano in condizioni di vulnerabilità, non hanno un contratto di lavoro, non godono di nessuna protezione in caso di malattia e percepiscono salari che spesso non sono sufficienti per il sostentamento delle loro famiglie. Nonostante lavorino, la maggior parte si trova in condizioni di povertà e oltre 300 milioni di loro vivono in famiglie che versano in condizioni di povertà estrema, guadagnando meno dell’equivalente di 1,90 dollari al giorno. Per i lavoratori informali o senza diritti la pandemia ha avuto un impatto devastante. Essi non hanno beneficiato di ammortizzatori o altre forme di protezione sociale e la chiusura delle attività economiche e le restrizioni alla circolazione hanno prodotto la perdita immediata di qualsiasi forma di sostentamento. Sono questi i lavoratori piu’ colpiti dalla pandemia e per i quali la situazione attuale continua ad essere paradossalmente piu’ disperata rispetto a quella di due anni fa.

Parliamo delle nuove forme di schiavitù. Il Papa nei suoi appelli ha fatto più volte riferimento ai tanti morti sul lavoro, a chi svolge professioni usuranti, a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero. Che scenario prospetta a beve termine l’Oil?

Tra coloro che vivono in condizioni di sfruttamento circa 40 milioni sono intrappolati in forme di schiavitù moderna. Sono circa 25 milioni le persone private delle loro libertà e che lavorano sotto coercizione, minaccia o ricatto. A questi si aggiungono i 160 milioni di bambini nel mondo a cui viene sottratta la loro infanzia e che sono costretti a lavorare piuttosto che giocare o andare a scuola. Di questo abbiamo discusso recentemente in occasione di una conferenza internazionale organizzata dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede in collaborazione con la Fao, l’Oil, l’Unicef e le organizzazioni della società civile. Nel suo intervento durante l’udienza a cui abbiamo partecipato in apertura della conferenza, Papa Francesco ha richiamato i governanti e gli attori dell’economia ad adoperarsi nella creazione di lavoro dignitoso con salari equi, che consentano di soddisfare le necessità delle famiglie senza spezzare i sogni dei bambini che sono costretti a lavorare. Dopo l’adozione della Convenzione Oil sulle peggiori forme di lavoro minorile del 1999, durante i primi vent’anni di questo secolo sono stati strappati 100 milioni di bambini dallo sfruttamento lavorativo. Temiamo però che in assenza di interventi e a causa della povertà generata dalla pandemia, molte famiglie possano essere costrette a far lavorare i loro bambini o che lo stato di bisogno di molte persone, incluse quelle strangolate dai debiti, porti ad una crescita delle forme di lavoro forzato e della schiavitù moderna.

Una nuova convenzione per combattere la violenza e le molestie nel mondo del lavoro è stata recentemente adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro. Di cosa si tratta?

La convenzione Oil del 2019 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro segna una tappa storica nella promozione di un futuro del lavoro fondato sulla dignità e il rispetto dei diritti dei lavoratori, delle lavoratrici e delle altre persone nel mondo del lavoro. Anche se la disponibilità dei dati è piuttosto limitata, nei contesti in cui questi sono disponibili si evidenzia un fenomeno pervasivo che ha un impatto notevole sulla dignità, la salute e la stabilità di molte lavoratrici e lavoratori. Oltre ad affermare il diritto ad un mondo del lavoro libero da violenza e molestie, identificare i soggetti protetti e i responsabili per l’applicazione, come pure gli ambiti lavorativi ai quali si applica, la Convenzione fornisce degli strumenti pratici che i Paesi possono includere nella legislazione nazionale e nei meccanismi di applicazione e controllo per prevenire e contrastare le pratiche e i comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico alle lavoratrici e ai lavoratori.

Le disuguaglianze tra donne e uomini nel mondo del lavoro, esacerbate durante la pandemia, persisteranno nel prossimo futuro. Come invertire la rotta?

La pandemia ha messo in evidenza ancora una volta il ruolo cruciale del lavoro delle lavoratrici, soprattutto di quelle impegnate in prima linea o nel lavoro di cura in ambito familiare. Ciononostante, le perdite occupazionali e il deterioramento della qualità del lavoro stanno pesando soprattutto sulle donne. Questo sopraggiunge in un contesto nel quale l’avanzamento verso la parità di genere si era già arrestato nel corso degli ultimi decenni. Su scala mondiale, le donne hanno il 30% in meno di possibilità di entrare nel mondo del lavoro a causa della difficoltà di poter conciliare la loro professione con il lavoro di assistenza e di cura non retribuito, portandole talvolta a rinunciare al lavoro. Anche quando lavorano, la loro retribuzione è in media inferiore del 20% rispetto a quella dei lavoratori. Per porre rimedio e per assicurare una partecipazione equa, l’Oil ha proposto agli Stati di sviluppare le politiche per la ripresa e per lo sviluppo con un focus concreto e proattivo alle strategie trasformative che promuovono la parità di genere nel mondo del lavoro.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

11 febbraio 2022, 15:14