Ucraina: migliaia in fuga dalla guerra, le porte aperte della Moldavia
Alessandro Guarasci - Chisinau
Suor Iuliana, quella notte in cui la Russia cominciò a bombardare Odessa, pensava che fossero i tuoni di un temporale. La religiosa abita a Chisinau, la capitale della Moldavia, a circa 100 chilometri in linea d’aria dalla città ucraina. Le bombe cadevano così forte che era impossibile non sentirle. Adesso assieme alle consorelle ospita famiglie di rifugiati ed è testimone della sofferenza che porta con sé chi è stato costretto a lasciare la propria casa in Ucraina.
È a Chisinau dal 2009, suor Rosetta Benedetti, missionaria della Provvidenza. La sua è una testimonianza che viene dal cuore, ci dice come queste persone arrivino “sfinite, ma non solo fisicamente anche interiormente. Una donna è venuta da noi senza documenti, l’ho vista disperata. Ma un abbraccio è bastato per rincuorarla. Queste donne e questi uomini hanno l’angoscia dentro e raramente lo esternano
Un afflusso continuo alle frontiere
Al posto di frontiera di Palanca, tra Moldavia e Romania, ogni giorno arrivano in migliaia e ci mettono anche dieci ore per passare il confine. Una volta “sbarcati” dall’altra parte, salgono su dei pulmini e vengono portati nei campi d’accoglienza o in strutture gestite dalle varie organizzazioni. Alcuni hanno le idee ben chiare, rimarranno in Moldavia tre-quattro giorni per poi raggiungere i parenti in altre parti d’Europa. Tanti invece non sanno dove andare, quale sarà il loro futuro, se un giorno, prima o poi, potranno rientrare in Ucraina. Una donna, di 44 anni, è qua con la madre di 61 anni e guarda nel vuoto in cerca di qualcosa. “Non sappiamo quale sarà la nostra destinazione – ci dice – La nostra vita in sostanza deve ripartire da zero ed è difficile quando non hai qualcuno che ti ospita. E come faremo per le cure mediche? Entrambe siamo malate”.
Don Cesare Lodeserto: fare attenzione al traffico di esseri umani
A Chisinau molto attivo su frontre dell’accoglienza è anche don Cesare Lodeserto, vicario episcopale. Il centro Fides è un po’ il quartiere generale della macchina organizzativa allestita dalla diocesi. “La Chiesa - dice - ha risposto subito con l'impegno dell'accoglienza sollecitati dal vescovo Anton Cosa e ha messo in campo tutte le forze possibili: dagli organismi diocesani alle parrocchie, alle religiose perché bisognava dare una risposta concreta, questo è l'insegnamento di Papa Francesco”. È “una Chiesa in uscita che guarda a chi è in difficoltà”, sottolinea don Lodeserto. “Abbiamo un’organizzazione che ci permette di avere a disposizione 390 posti letto. Per quanto riguarda l'accoglienza - spiega il sacerdote - mettiamo a disposizione altri tipi di servizio, come mense itineranti, mense stabili, accoglienza di persone disabili, anche accompagnamento per le partenze, assistenza legale, informazioni di vario tipo. Dobbiamo fare in modo che questa gente riesca a passare, perché tutti vogliono transitare, e non si trovi ingabbiata in forme di sfruttamento di altro tipo che sono il grande rischio”. Tutti i fenomeni di questo genere, prosegue don Cesare, portano poi al traffico degli esseri umani: “Va detto che la donna ucraina con un bambino è certamente un soggetto fragile. Allora noi dobbiamo fare in modo che l'accoglienza diventi anche opportunità di viaggiare serenamente, così che chi fugge dalla guerra possa raggiungere gli obiettivi che si è prefissato”.
Per Intesos è urgente intervenire sul piano psicologico
Al posto di confine tra Moldavia e Romania un ruolo importante lo hanno i volontari e anche le ong. Tra queste c’è Intersos. Alessandro Perona, responsabile area medica mette in luce che “la situazione è crescente sul piano quantitativo e qualitativo delle vulnerabilità. Ci troviamo in un paese di realmente di un milione e mezzo di abitanti, e c'è un flusso atteso di persone rifugiate entro agosto di quest'anno che toccherà il milione di soggetti, che passeranno o rimarranno in questo luogo. Quindi immaginate la pressione sui servizi. Abbiamo a che fare con persone che scappano da una guerra in corso con un forte trauma sul piano psicologico. I bambini ricoprono il 25% circa della popolazione che arriva, e poi c'è la componente femminile che sta intorno al 65%. La frontiera di Tudora ha visto negli ultimi 10 giorni un flusso di circa 36.000 persone, un flusso costante durante la giornata. Noi siamo operativi sia in Moldavia sia in Polonia e stiamo vedendo lo stesso scenario: soprattutto nei bambini è frequente che non parlino per i traumi che hanno subito”.
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