Cerca

Le vite intrecciate di Bok, chi fugge dalla guerra e chi tende la mano

L’incontro tra rifugiati ucraini ed operatori dell’Ordine di Malta in uno dei principali centri di accoglienza di Budapest. La testimonianza di Gregory, che guarda al Texas ma non lascia i suoi studenti di Kharkiv: voglio essere il più ottimista possibile

Francesca Sabatinelli - Budapest 

“Ricordo un film, la storia di un uomo ebreo, prigioniero in un campo nazista che diceva a se stesso: se sono di cattivo umore, se sono pessimista, questo mi aiuterà? E io allora penso che dovremmo incoraggiarci l’uno con l’altro, e questo perché cerco di essere il più ottimista possibile”. Gregory, è un ragazzone di 34 anni, gentile, paziente, con un inglese impeccabile, e viene dall’Ucraina.  Siede ad una panca, davanti ad un bicchiere di carta, lo rigira tra le mani, ma non sembra nervosismo. Da qualche ora è in attesa nel Bok di Budapest, centro di accoglienza governativo nel centro della capitale ungherese, gestito dall’Ordine di Malta e da altre organizzazioni umanitarie.

L’ottimismo di Gregory

Gregory ha lasciato “l’eroica Kharkiv”, così la definisce, già da qualche settimana. Passare il confine con l’Ungheria non è stato difficile, come è stato invece attraversare i Carpazi e arrivare alla frontiera. A casa ha salutato genitori, sorella e cognato, ha provato a convincerli a partire, senza riuscire. Loro sono rimasti lì, da dove raccontano che la situazione negli ultimi due giorni è leggermente migliorata. “Nessuno se lo aspettava, le ambasciate ritiravano il loro personale, ma non potevamo crederci, per questo non avevamo piani di fuga, poi un giorno mio fratello mi dice che non si può andare più da nessuno parta, per via dei carri armati e dei bombardamenti, e poi ci arriva un messaggio: state a casa”. Gregory insegna inglese, e continua a farlo anche in queste ore, on line, ai suoi ragazzi, ovunque siano, in Ucraina o altrove in Europa, in salvo, con i genitori. Nel Bok, capannone immenso, si svolgono le operazioni di registrazione, di smistamento, di aiuto. Un esercito di volontari al servizio di famiglie, soprattutto donne e bambini, gli uomini sono rimasti in Ucraina a combattere, Gregory non è stato richiamato, perché è un insegnante e ora spera di andare in Texas, a Lubbock, soprattutto però conta di rivedere presto i suoi.

La distribuzione del cibo a Bok
La distribuzione del cibo a Bok

Le sfide a medio e lungo termine

A Budapest, l’Ordine di Malta gestisce tre hot-spot, che presto diverranno cinque, sul modello di quello di Bok, dove quotidianamente transitano migliaia di rifugiati e che provvede a qualunque necessità, compreso il conforto religioso, con un angolo per pregare, un desk per chi è in cerca di un lavoro, una mensa e un punto accoglienza per chi viaggia con animali. Qui si riceve assistenza medica, legale e logistica, per chi deve raggiungere i parenti che si trovano in altre parti dell’Europa, oppure per chi decide di restare in Ungheria, nell’attesa di poter rientrare in Ucraina. Ed è questo uno degli aspetti fondamentali sui quali sta lavorando l’Ordine di Malta Ungheria, una delle principali organizzazioni umanitarie del Paese. A spiegarlo è Gyori-Dani Lajos, vice presidente nonché amministratore dell’Ordine. “Se prima l’aspetto più impegnativo era il servizio agli hot-spot (cinque in tutta l’Ungheria) oggi la situazione è cambiata, perché il numero di persone che arriva è sceso, a causa anche della difficoltà di movimento, con ponti e strade distrutte. La nuova sfida è aiutare le persone che sono qui e che decideranno di restare per un periodo medio-lungo, e che noi calcoliamo potranno essere tra le 200 e le 300 mila. Restano qui perché non vogliono allontanarsi dalle loro case, dal loro Paese, fin quando la situazione non cambierà e potranno rientrare. L’impegno ora è di programmare l’aiuto, I bambini dovranno andare a scuola a partire da settembre, gli adulti dovranno poter accedere ai servizi sanitari e al mondo del lavoro, per dare loro l’indipendenza che ogni famiglia deve avere”, senza dimenticare, avverte Gyori-Dani Lajos, che circa un milione di sfollati interni in Ucraina occidentale aspettano di entrare.

Monsignor Imre Kozma
Monsignor Imre Kozma

La testimonianza di monsignor Komza

Cifre enormi, snocciolate con la calma di chi conosce le difficoltà e le affronta con la forza dell’organizzazione, dell’impegno e della devozione. Dalla sua nascita, oltre trent’anni fa, le emergenze umanitarie vissute dell’organizzazione ungherese dell’Ordine di Malta sono state almeno quattro: nel 1989, anno di fondazione, quando nel giardino della parrocchia di monsignor Imre Kozma, il fondatore, furono ospitate circa 50 mila persone in arrivo dalla Germania dell’Est, poi nel 1991, la crisi seguita alla rivoluzione in Romania, successivamente la guerra in Jugoslavia, il passaggio nel 2015 di migliaia di profughi siriani diretti in Germania e ora la guerra in Ucraina. “Noi cerchiamo solo di aiutare e di salvare umane” spiega il l’82enne padre Kozma. “Queste crisi vengono spesso strumentalizzate a fini politici ma a noi non interessa”. Prova ne è il suo viaggio in queste ore in Polonia, assieme a volontari dell’Ordine, per portare un’ambulanza all’associazione polacca dell’Ordine anch’essa in prima linea nell’assistenza alle vittime di questa terribile crisi umanitaria.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

01 aprile 2022, 17:15