Una docente di Mariupol: grazie Italia, ma voglio tornare in una Ucraina in pace
Alessandro Guarasci - Città del Vaticano
“Non voglio che mio figlio di 4 anni veda la guerra, la distruzione che ha sconvolto la mia città: Mariupol”. Hanna Tryfonova, preside della Facoltà di Lingue all’università della città ucraina occupata dai russi, è riuscita a fuggire a metà marzo. Dopo un lungo viaggio è arrivata in Italia e ha trovato rifugio e accoglienza grazie progetto “Housing sociale a Potenza”, sostenuto dalla Fondazione con il Sud. A Mariupol ha lasciato l’anziano padre e la sorella con le tre figlie. Nel momento in cui le parliamo non è riuscita ad avere informazioni da loro, perché le comunicazioni si sono interrotte. Nella parole di Hanna, la distruzione portata dalla guerra in Ucraina vissuta sulla propria pelle.
“Il dramma della nostra città ha colpito direttamente la mia famiglia, infatti il fratello di mio marito è stato ucciso. Per quanto riguarda i miei parenti, le informazioni che ho sono arrivate da mia nipote. So che stanno insieme a casa di mia sorella, hanno trovato l'acqua, lì riescono ad avere qualcosa da mangiare. Quindi dicono che riescono a sopravvivere, però i dettagli purtroppo non li conosco. Spero un giorno di sentire la voce di mio padre perché per ora non c'è la connessione, non c'è la linea telefonica".
Abbiamo visto in televisione una Mariupol assolutamente distrutta. Come è possibile per i suoi parenti riuscire a sopravvivere?
Si vive nell'incertezza più assoluta. Nessuno sa cosa possa succedere dopo un minuto o dopo un'ora. La situazione è sempre imprevedibile a Mariupol, ci ha aiutato la speranza di farcela. E poi la mia famiglia è stata molto fortunata, perché la nostra auto era funzionante, siamo riusciti a salvare i documenti, poi siamo riusciti a sopravvivere sotto i bombardamenti, siamo riusciti a raggiungere quella zona da dove partivano le macchine. Coincidenze a cui è difficile credere.
Come è arrivata in Italia, come è riuscita a lasciare la città che era sotto assedio?
I corridoi umanitari non funzionavano, non c'era più niente da mangiare, quindi la scelta era vivere o morire. Siamo andati in centro città per avere informazioni, perché il giorno prima avevamo sentito che 160 macchine erano uscite di Mariupol. Allora con la nostra piccola macchina, siamo usciti sotto i bombardamenti, e abbiamo fatto un lungo viaggio fino a Berdiansk. La strada era distrutta. A Berdiansk il nostro appartamento si trovava proprio davanti al porto che rischiava di essere colpito. Quindi abbiamo deciso di partire e siamo andati in Crimea, qui poi verso la Russia dai parenti di mio marito e poi in Georgia.
La preoccupa il fatto che adesso Mariupol faccia parte di una repubblica autonoma di Donetsk?
Sembra di sì, però la mia città resiste. Ovviamente prima, tutti noi eravamo molto felici a Mariupol in Ucraina, e la mia famiglia non vuole vivere in una repubblica non riconosciuta. La situazione è difficile e io spero che il nostro territorio un giorno sia liberato e inizi di nuovo a far parte dell'Ucraina.
Lei, dov'è ospitata e soprattutto che cosa vorrebbe fare in Italia?
Tutta la mia famiglia è stata ospitata qui a Potenza, grazie alla fondazione e all’associazione Insieme Onlus. Io vorrei starci per un periodo per capire la situazione in Ucraina perché la mia Università a Mariupol è distrutta, però solo fisicamente, noi continuiamo la nostra attività a distanza. Non è tanto facile però andiamo avanti pensando agli studenti e al loro futuro. Io vorrei qui trovare una borsa di ricerca, oppure una borsa di visiting professor presso un’università per essere sicura che noi si possa vivere qui senza problemi economici. E poi spero che un giorno finisca la guerra, arrivi la pace così da poter tornare a casa. Io ho un figlio di 4 anni e non è facile vivere sotto i bombardamenti. Io non voglio che lui veda quello che purtroppo ha visto e sentito a Mariupol
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