La Giornata per l’Africa e i 20 anni dell’Unione Africana
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Da 59 anni si celebra, il 25 maggio, la Giornata per l’Africa, da quando in quella data del 1963 nasceva l’Organizzazione dell’Unità Africana, con la firma dei leader di 30 dei 32 Stati indipendenti del continente. Poi nel 2002 è nata l’Unione Africana (UA) che oggi comprende i 55 Stati riconosciuti del continente.
20 anni di Unione Africana
L'Unione africana è un'organizzazione internazionale e un'area di libero scambio e ha sede ad Addis Abeba, in Etiopia. Per un bilancio dei suoi 20 anni dalla nascita, abbiamo intervistato Aldo Pigoli, docente di Storia dell'Africa Contemporanea all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
Il professor Pigoli ricorda che l’UA conta 55 membri. Non ne fanno parte i territori posseduti dagli Stati europei. Il Marocco, che si era ritirato dall'Organizzazione dell'Unità africana il 12 novembre 1984 a seguito all'ammissione nell'Organizzazione dell'Unità Africana della Repubblica democratica araba del Sarawi, è stato riammesso il 30 gennaio 2017.
I successi di un’integrazione regionale e continentale
Senza dubbio - riconosce lo studioso- si tratta di una sfida notevole: integrare un territorio vastissimo e variegato. Proprio considerando questo - sottolinea - si può dire che sono stati molto significativi i passi in avanti fatti. E fa riferimento ai vari livelli di integrazione che si possono constatare sul piano regionale e sul piano continentale su temi come la sicurezza e il sociale. Gli obiettivi non sono certo raggiunti ma i risultati si vedono - afferma - se si considera che si è riusciti ad evitare alcuni conflitti e che alcuni standard sul piano sociale si vanno affermando. Anche per quanto riguarda la cooperazione politico istituzionale contro il terrorismo si può dire che si è messa in moto una macchina importante.
Il più grande accordo di libero scambio
Il 21 marzo 2018, a Kigali, capitale del Rwanda - sottolinea Pigoli - 44 stati membri dell’Unione africana (UA) hanno firmato l’accordo che ha istituito l’area di libero scambio continentale africana, che nell’acronimo inglese viene definita AfCFTA. È previsto che l’accordo sia implementato nel corso di 10-15 anni e che includa circa il 90 per cento di tutti i beni. È il più grande accordo di libero scambio al mondo in quanto a numero di parti contraenti. La riduzione dei costi commerciali per gli esportatori è di estrema importanza dal momento in cui le imprese africane che commerciano con altri Paesi della regione devono sottostare a tariffe in media più alte (circa il 6,1 per cento) rispetto a quelle del commercio extra-regionale. L’accordo è congiunto a tre protocolli che regolano lo scambio dei beni e dei servizi ma anche la risoluzione delle dispute.
E’ indubbiamente un passo più che considerevole all’interno del processo d’integrazione africana, ribadisce Pigoli. La speranza – sottolinea – è che l’accordo dia il via a una nuova traiettoria di sviluppo. Se tutti gli stati membri UA implementano l’accordo, l’AfCFTA comprende un mercato di 1,2 miliardi di persone e di 2,5 trilioni di dollari. Questo mercato considerevole - spiega - offre opportunità enormi per la crescita del commercio intra-africano, che nel 2016 ammontava a circa il 20 per cento del commercio totale dell’Africa. In secondo luogo, l’AfCFTA mira a contrastare le barriere non tariffarie sul commercio intra-africano, con l’obiettivo di facilitare il commercio continentale delle imprese africane. Rappresenta anche - mette in luce lo storico - il progetto più importante nell’ambito dell’Agenda 2063 dell’UA, Agenda 2063: The Africa We Want, che stabilisce le aree prioritarie per lo sviluppo del continente nei prossimi cinquant’anni.
Un processo lungo con accelerazioni recenti
L’AfCFTA fa seguito a un altro enorme successo nel processo di integrazione africana, la zona di libero scambio tripartita (TFTA). La TFTA, lanciata nel giugno 2015, che ha connesso 26 Paesi da Cape Town al Cairo appartenenti a tre Regional Economic Communities (RECs), ovvero la Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA), l’East African Community (EAC) e la Southern African Development Community (SADC). La decisione di lanciare il TFTA – suggerisce Pigoli - dimostra il rinnovato consenso politico dei leader africani sull’importanza di un’integrazione profonda per il raggiungimento di obiettivi di crescita, sviluppo e riduzione della povertà.
L’Africa non più solo fonte di materie prime
L’AfCFTA – chiarisce Pigoli - potrebbe fornire uno slancio decisivo al processo di trasformazione strutturale del continente – ovvero alla sua industrializzazione. Il commercio intra-africano è già oggi più orientato alla manifattura rispetto al commercio verso il resto del mondo, che è ancora invece basato principalmente sull’esportazione di materie prime. È probabile che Paesi come il Sudafrica e il Kenya, dotati di basi manifatturiere ampie e migliori infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali, riusciranno a trarre maggiori benefici da questo accordo rispetto a economie più piccole. Ma Pigoli invita a riflettere su realtà che vengono poco raccontate, come ad esempio il livello di know how tecnologico che ha permesso al Rwanda di presentare sul mercato il primo smartphone interamente prodotto nel Paese africano.
Una struttura ricalcata sull’Unione Europea
Pigoli prende l’Unione europea come termine di confronto per parlare della struttura istituzionale dell’Unione Africana, anche se – sottolinea – ci sono ovviamente molte specificità e distinzioni. Indubbiamente però è al processo di integrazione europea – dice – che si sono ispirati i popoli africani. C’è – ricorda - una Assemblea dell'Unione africana composta da capi di Stato e di governo che si riunisce una volta all'anno in sessione ordinaria e ogni volta che lo richiedano i due terzi degli Stati membri. C’è la Commissione dell'Unione africana, con sede ad Addis Abeba, che rappresenta il segretariato dell'Unione. C’è il Consiglio esecutivo è composto dai ministri degli Esteri o dai loro delegati. Oltre ai vari comitati di rappresentanti o tecnici.
La ricchezza dell’antropologia africana oltre gli stereotipi
L’immagine dell’Africa come continente afflitto da povertà e conflitti persiste malgrado le sue grandi potenzialità politiche, economiche, culturali e scientifiche. E’ essenziale andare oltre i pregiudizi e cercare di scoprire e capire la ricchezza culturale dei popoli africani, come sottolinea Otto Bitjoka, presidente dell’Unione delle Comunità africane in Italia (UCAI) parlando del valore simbolico della giornata per l’Africa. Uno sguardo sull’andamento dell’economia africana mostra – sostiene Bitjoka - che, rispetto ad altri Stati del mondo, in diversi Paesi africani si assiste a una crescita molto elevata. Bitjoka cita la Nigeria, il SudAfrica e l’Egitto ma anche i Paesi del Golfo di Guinea, in particolare la Costa d’Avorio. Nonostante permangano notevoli differenze tra i singoli Paesi, negli ultimi due decenni ad esempio l’Africa subsahariana nel suo complesso ha registrato tassi di crescita annua che arrivano al 6,5 per cento.
Il valore dell’unità
Bitjoka spiega che a livello simbolico è importantissimo che si celebri una Giornata che richiama e rilancia il valore dell’unità di un continente dove – sottolinea – si fanno guerre per procura, le cosiddette proxy war volute e alimentate da Paesi terzi. Bitjoka ricorda che persistono gravi problemi come la povertà diffusa, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, che sono stati aggravati dalla pandemia da Covid-19 e poi dalla crisi alimentare legata alla guerra in Ucraina, ma a gran voce ribadisce che l’Africa non è tutta lì. Ricorda che si parla di 30 chilometri quadrati di territorio e di realtà diverse tra loro. Fa un esempio: nella capitale della Costa d’Avorio, Abidjan, sembra di stare in una città come Parigi.
Al di là delle logiche del Pil
Bitjoka invita a considerare l’eccezionale varietà di ecosistemi africani e il grandissimo capitale umano rappresentato dai giovani. E avverte: se si vuole parlare di sviluppo in Africa non si deve considerare quello che definisce il punto di vista privilegiato dell’Occidente e cioè la considerazione dei dati economici e del Prodotto Interno Lordo (Pil) di un Paese. Rivendica per gli africani una antropologia culturale diversa che considera altri aspetti prima di quelli prettamente economici. Bitjoka parla di popoli accomunati da un senso diverso di comunità, che mette l’accento – spiega – più sul destino della comunità e della persona che sugli scopi, che considera prioritari il senso della libertà nella comunità, il ruolo della donna piuttosto che l’arricchimento. Si tratta – ammette – di una ricchezza del subconscio collettivo che va rivalorizzata e riscoperta con un risveglio di Nuovo Umanesimo – dice – di cui si vedono alcuni segni importanti. Certamente – raccomanda - si dovrebbe riscoprire il più autentico spirito africano che prevede – racconta – un incontro sotto l’albero del baobab per dirimere le controversie. Le guerre – afferma – e la produzione delle armi non sono un fattore endemico in Africa.
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