De Gasperi e una difesa comune europea della pace
Fausta Speranza - Città del Vaticano
Di fronte allo choc della guerra alle porte dell’Unione europea, tornano drammaticamente attuali le pagine di Alcide De Gasperi sulla necessità di un’unione delle forze difensive dei Paesi Ue. A 70 anni dalla firma – il 27 maggio del 1952 - del Trattato per la Difesa comune europea (CED) che però non è mai stato ratificato dopo la bocciatura nel 1954 da parte della Francia, si parla di un’occasione persa da rivalutare.
La visione di De Gasperi e Spinelli
Nel convegno organizzato giovedì scorso all’Istituto Luigi Sturzo si è parlato di “Sicurezza quale base di ogni comunità politica: l’Unione di difesa europea per un nuovo ordine internazionale”. Ne abbiamo parlato con il politologo Sergio Fabbrini, direttore della School of Government dell’Università Luiss:
Fabbrini ricorda il grande contributo in termini di idealità offerto dallo statista italiano Alcide De Gasperi e dal politico e scrittore Altiero Spinelli, altro padre fondatore dell’Europa unita, per l’elaborazione dei 132 articoli che con diversi protocolli formavano lo sfortunato trattato Ced. Un testo che non offriva solo l’idea di un insieme di truppe ma che concepiva la sicurezza come base di ogni comunità politica e, dunque, quale garanzia della democrazia. Ma – sottolinea Fabbrini citando brani delle raccomandazioni dello statista italiano – il messaggio che emerge è chiarissimo: superare egoismi e interessi nazionali per il bene dei popoli.
Il contesto di 70 anni fa che torna attuale
Fondamentale ricordare il contesto dei primi anni cinquanta in cui emergevano gli equilibri della cosiddetta guerra fredda. Dopo il dramma dei conflitti mondiali era fortissima la spinta a difendere la pace, la cooperazione tra i popoli, sottolinea Fabbrini. Nel 1949 nascevano il Consiglio d’Europa e la Nato. Nel 1951, su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman e del cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del primo ministro italiano Alcide De Gasperi nasceva la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA). Fabbrini chiarisce che la CECA era pensata come passo iniziale di un processo federale europeo e soprattutto mette in luce un punto importante: la CECA era concepita in parallelo con il Trattato CED che – dice – doveva essere la gamba politico militare della costruzione.
Sicurezza al di là degli Stati
In particolare è il capitolo 38 del CED che tradisce la caratteristica di un trattato che sarebbe stato il più avanzato. Assicurare infatti una sicurezza per i popoli europei con un meccanismo sovranazionale in grado di andare al di là del campo di azione militare degli Stati avrebbe significato, e significherebbe oggi, blindare la pace: difenderla in modo indubitabilmente più efficace da attacchi esterni ma anche dagli interessi stessi dei singoli governi o Stati. In particolare, l’attualità di questo principio emerge nell'intervista con il costituzionalista Stefano Ceccanti, professore ordinario di diritto pubblico comparato all'Università “Sapienza":
Ceccanti offre una riflessione a breve e a lungo termine. Suggerisce di agire su due livelli. Il primo – spiega – è quello delle scelte immediate: un Paese aggredito va sostenuto, dice. Ma c’è anche un altro piano di intervento possibile e doveroso: quello di lavorare per un multilateralismo che eviti altre situazioni simili. Parla di impegno ineludibile. Se l’ordine mondiale vacilla – commenta – e se il ruolo del Consiglio di Sicurezza viene ridimensionato in un contesto di necessità di riforma della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, diventa davvero importante investire in una difesa comune europea che – sottolinea – abbia anche un addentellato di federalismo politico. E in questo senso – ribadisce Ceccanti – il richiamo alla concezione del Trattato CED è attualissimo.
Alla base i valori
A sottolineare la dimensione culturale della sfida che si pone è l’accademica e filosofa Claudia Mancina:
Mancina parla di contrapposizione concettuale tra democrazie e autocrazie e sottolinea l’importanza di difendere e valorizzare quello che viene definito “universalismo”, raccomandando però che sia universalismo dei valori. Spiega che si tratta di un’impostazione che ha fondamento nel messaggio cristiano che ha nei suoi presupposti l’orizzonte del bene comune di tutta la famiglia umana. Ricorda che in Occidente si è assistito a una parabola attraverso l’Illuminismo o il liberalismo. Ovviamente – ricorda – non sono mancati attriti, incongruenze, ma il punto non è questo: è importante - afferma - riconoscere un cammino concettuale che ha conservato valori come la libertà, la democrazia. E poi mette in luce l'importanza di ricordare tutto questo perché si deve riconoscere oggi più che mai che c’è chi sostiene un’impostazione di pensiero ostile all’universalismo così inteso. Il fondamento teorico che si contrappone all’universalismo così inteso – spiega Mancina - si nutre di termini come nazionalismi o imperialismi.
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