Nora e Giulio, famiglia nella vita e compagni nell’arte
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Nora e Giulio hanno iniziato ad amarsi 41 anni, fa, si sono sposati 5 anni dopo e ancora sono una coppia e una famiglia unita, con i figli Edoardo e Lucia, cosa che nel mondo dello spettacolo non è da tutti. Giulio Scarpati è un attore molto noto, protagonista della fortunata serie tv “Un medico in famiglia”, che ha interpretato tra gli altri il beato Rosario Livatino nel premiato film “Il giudice ragazzino”, don Luigi Di Liegro e don Zeno di Nomadelfia. Nora Venturini è registra teatrale, sceneggiatrice e scrittrice, con quattro romanzi noir dedicati alla tassista detective romana Debora Camilli. Ha firmato come sceneggiatrice molte serie televisive Rai e Mediaset, e il tv movie “L’uomo della Carità” sulla vita di don Di Liegro, interpretato da Giulio.
“Condividere delle passioni arricchisce il nostro rapporto”
Li abbiamo incontrati al festival Castiglione Cinema 2022, organizzato per la quinta volta, nei giorni scorsi, nel borgo sul Lago Trasimeno dalla Fondazione Ente dello Spettacolo della Cei, dove sono stati protagonisti dell’incontro con il pubblico “Artisti in famiglia”, nel Palazzo della Corgna. Animato dalla lettura recitata di Giulio di alcuni brani dell’ultimo romanzo della moglie “Paesaggio con ombre”. A chi chiede qual è il segreto di tanti anni di vita insieme, rispondono che non ci sono ricette, ma certo, spiega Nora “condividere delle passioni, la scrittura e il teatro per me, il cinema e il teatro per Giulio, avere uno scambio e poter parlare insieme anche di cinema, cultura, arte e libri, sicuramente è un arricchimento che rende più vivo il rapporto”. Aggiunge Giulio: “Quando ti senti felice per aver realizzato il tuo sogno da ragazzo, e perché fai una cosa che ti piace e che ami, è bello anche condividerla. E noi in questo ci capiamo”.
Giulio, il primo lettore dei romanzi di Nora
Si inserisce Nora, la scrittrice di successo: “Quando scrivo un libro nuovo, la prima persona che lo legge, prima ancora dell’editor e dell’agente, è lui. Ed è bello avere un lettore così attento dentro casa. E se a lui propongono un copione, me lo fa leggere e mi chiede cosa ne penso. C’è un confronto continuo tra noi”. Insieme hanno scoperto la figura di don Luigi Di Liegro, il fondatore della Caritas diocesana di Roma, che hanno portato sullo schermo tv Nora come sceneggiatrice e Giulio come attore.
Scarpati: la grande lezione di coerenza del beato Livatino
Scarpati poi si commuove quando pensa ai genitori del beato Rosario Livatino, che ha conosciuto per il film uscito nel 1994, quattro anni dopo il martirio del giovane giudice ucciso dalla mafia. “Mi sarebbe piaciuto che avessero potuto vedere la beatificazione del loro unico figlio, per loro sarebbe stata una consolazione”. Da cristiano, ci dice, “credo che il senso del nostro impegno sia nella frase di Rosario che mi piace di più: ‘Quando saremo morti, non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili’. Una grande lezione di coerenza, perché i valori vanno praticati nella realtà, non solo dichiarati”.
L’Ente dello spettacolo vi definisce una “factory family”: lavorare in famiglia che vantaggi ha e che svantaggi? Come si riflette questo sulla vita di coppia e della famiglia?
Nora Venturini: Vorrei precisare che abbiamo anche una vita professionale individuale. Ovviamente poi i nostri percorsi professionali in alcuni momenti si sono incontrati a teatro, ma la carriera cinematografica e televisiva di Giulio è indipendente dalla mia, quella mia di scrittrice è indipendente dalla sua. I punti di incontro professionalmente sono stati alcuni spettacoli teatrali che avevano lui come interprete principale ed io come regista Questa nostra professione si riverbera nella quotidianità, perché poi inevitabilmente e piacevolmente a casa se ne parla. Cioè si parla non solo quando lavoriamo insieme, visto che quando abbia fatto gli spettacoli insieme, ci portavamo un po' il lavoro a casa, ma anche nei nostri percorsi individuali c'è sempre un confronto poi con l'altro. Nel senso che io faccio sempre leggere a Giulio i miei romanzi freschi di scrittura, prima della stampa, e Giulio, quando gli propongono un copione me lo fa leggere, e mi chiede che ne penso, se mi piace. C'è un confronto costante tra noi nella nostra quotidianità di coppia.
Giulio Scarpati: avere una regista in casa e dover fare le prove di uno spettacolo e poi tornare, effettivamente è un vantaggio perché comunque continui il lavoro anche dopo a casa, però d'altra parte ogni tanto uno stacco è anche importante. Smettere il lavoro e poi avere altro a cui pensare. Anche se noi attori, quando stiamo in prova di uno spettacolo abbiamo in mente il percorso che dobbiamo fare, anche perché le prove sono limitate, quindi devi carburare, trovare subito la chiave del personaggio. Quindi in realtà noi lavoriamo sempre con una parte di noi stessi che sta sul lavoro che stiamo facendo. Quando lavoriamo insieme è perchè ci troviamo su un progetto che ci convince come è successo per “Una giornata particolare” tratto dal film di Ettore Scola, (…) e poi anche nella scelta del “Misantropo” di Moliere che abbiamo fatto subito dopo, con la stessa compagnia. E’ importante però che questa sia una scelta di volta in volta, e che non sia un'abitudine. Ecco non siamo una “factory” 24 ore su 24, perché sarebbe secondo me anche un po' troppo. Meglio invece che ci siamo degli incontri particolari, quando noi troviamo un testo, una storia che si combina bene con tutti e due.
Nei 41 anni di vita insieme e 36 di matrimonio, come c’entra la fede? VI ha aiutato anche quella a stare insieme, a superare le difficoltà?
(Giulio Scarpati) La fede ci ha aiutato soprattutto sulla cose che abbiamo condiviso insieme anche professionalmente, come il racconto della storia di Don Luigi Di Liegro, il fondatore della Caritas, che Nora ha sceneggiato insieme ad un altro nostro amico, e che io ho interpretato (“L’uomo della Carità”, tv movie, n.d.r.). E li abbiamo scoperto la parte forse più barricadera, più di azione sociale, della Chiesa. Perché Di Liegro era un prete molto “sui generis”. A me è capitato anche nella vita professionale, di fare parecchi incontri con figure così, come è successo anche con un film Tv su Ezechiele Ramin (il giovane missionario comboniano ucciso in Amazzonia nel 1985, n.d.r), che abbiamo girato in Venezuela e Colombia. O don Zeno (Il fondatore di Nomadelfia, n.d.r.) che è stata un'altra riflessione.
Lo stesso Rosario Livatino, alla fine, è diventato beato…
E’ beato, finalmente, e sono contentissimo, ovviamente. Mi sarebbe tanto piaciuto che questa proclamazione fosse arrivata quando i genitori erano ancora in vita, perché per loro, dato che era figlio unico, sarebbe stata una consolazione. Però come dico spesso, la frase di Rosario che mi piace di più è quella che dice: “Quando saremo morti non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”. E questo è un po' il senso dell’impegno di un cristiano a praticare nella realtà, nella vita certe cose, non semplicemente a dichiararle. E questa lezione di coerenza credo di averla imparata da lui.
(Nora Venturini) L’esperienza di aver scritto la vita di Don Luigi, insieme al mio co-sceneggiatore che è Fabrizio Bettelli, è stata così forte e mi è entrata così dentro che poi me lo sono portato dietro, nel secondo romanzo che ho scritto sulle avventure di Debora Camilli la tassista detective, dato che ogni romanzo è ambientato in un quartiere di Roma e in un ambiente sociale, “Lupo mangia cane” è ambientato nel quartiere multietnico dell'Esquilino e ruota tutto intorno al mondo del volontariato e della mensa della Caritas della stazione Termini. Mi era rimasta così dentro questa esperienza con i volontari della Caritas, il lavoro che loro fanno con gli immigrati, gli extracomunitari, i senzatetto che ho detto “Beh, allora il secondo romanzo, dopo aver ambientato il primo del mondo dorato dei Parioli e della Roma bene, adesso il secondo lo voglio lanciare dall'altra parte di Roma, la Roma dei poveri quella di Don Luigi” E alla fine del romanzo, nei ringraziamenti, c’è quello ai volontari della Caritas che mi hanno raccontato tanto della loro esperienza e delle loro vite.
Tornando alla domanda sulla fede, lei, Nora, pensa che vi abbia aiutato a superare i momenti difficili che, suppongo, in 41 anni ci saranno stati?
Quelli si vivono nel quotidiano, è sempre una barca che veleggia in un mare che a volte è tranquillo, a volte è un po' più burrascoso. E’ chiaro che uno cerca dentro di sé e anche nell'altro uno scopo più alto che c'è. Credo sia così.
Giulio, tra i tanti personaggi che ha interpretato, uno le manca e ha detto che l’affascinerebbe intrepretare: san Paolo VI. Perché?
(Giulio Scarpati) Perché è un personaggio molto particolare, e forse anche un Papa meno approfondito. Era meno eclatante esternamente, però credo che avesse una grande profondità interiore, e una grande capacità di sedimentare anche dei cambiamenti forti nella Chiesa. Quindi mi piaceva l'idea di poterlo interpretare, ma era così, un desiderio. Perché poi siamo sempre attirati da quello che un personaggio nasconde e dalla fantasia che ci chi ci stimola anche all'idea di approfondire quelle parti di lui che magari erano meno conosciute che invece secondo me costituirono anche la sua base. Cioè, lui ha messo le basi anche del grande cambiamento nel Vaticano, con la prosecuzione e la chiusura del Concilio. Insomma è stato un uomo importante.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui