Ucraina, l’effetto domino della guerra del grano sui Paesi poveri
Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano
Usare il grano come arma da guerra. E’ la denuncia di Papa Francesco, ieri al termine dell’udienza generale, nella quale ha ricordato che proprio dal grano “dipende la vita di milioni di persone, specialmente i Paesi più poveri”. Il Pontefice, pensando alla guerra in Ucraina, ha poi rivolto un accorato appello “per garantire il diritto umano universale a nutrirsi”. Su questo tema si sofferma Zinoviy Svereda, studioso di scienze sociali e politiche:
Papa Francesco ha chiesto con forza che la guerra in corso non arrivi ad amare le nazioni più povere. Qual è la sua opinione a riguardo?
Per risolvere il problema dobbiamo capire chi lo ha creato. Se consideriamo la storia dei Paesi dell'Europa orientale possiamo dire che è la quinta volta che accade. La prima è avvenuta nella metà del secolo XIX, quando i bolscevichi sovietici hanno confiscato il grano ai contadini ucraini e kazaki poi dopo la Prima Guerra Mondiale con le occupazioni di questi Paesi e infine ricordiamo la legge comunista sul grano quando per alcuni grammi la gente rischiava 10 o 15 anni di gulag. Dal 1929 fino al 1933 c’è stato il periodo di confisca del grano ai contadini, una situazione che causò una carestia nella quale morirono quasi 7 milioni di persone. L’ultima confisca risale al 1944-1946 che causò 500mila morti nella parte dell'Ucraina centrale e occidentale nel periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale. L'impero Russo ha sempre usato il grano come arma, oggi la storia si ripete perché il grano ucraino di solito era esportato nei Paesi cosiddetti poveri, cioè in Asia e in Africa. Noi avremo non soltanto la crisi alimentare ma la carestia perché in questi Paesi la guerra ha creato un effetto domino. Abbiamo visto come le economie mondiali, le economie di diversi Paesi dipendono l’uno dall'altro e la soluzione è unica, è la solidarietà, è la condivisione del pane, la condivisione del grano. Dobbiamo collaborare tutti, la Chiesa, la società, i partiti politici, la cittadinanza attiva.
La crisi del grano è un segnale che rende ancora più urgente la ricerca di soluzioni sostenibili. A suo parere qual è la strada da percorrere per trovare una soluzione a questo problema sul lungo periodo?
Spesso noi dimentichiamo gli esempi nella storia quando la Chiesa ha dimostrato, ad esempio, la forza del proprio insegnamento sociale. Io direi che noi dobbiamo dare nuovo spirito all’evangelizzazione sociale e all’insegnamento del magistero sociale della Chiesa. Prima di tutto, dobbiamo ripensare la cultura del risparmio perché circa il 36% di prodotti alimentari nei Paesi ricchi si buttano nella spazzatura, inoltre non usiamo ancora tutte le innovazioni tecnologiche che sarebbero utili per dare da mangiare alla gente. Spesso per il desiderio di ottenere un profitto veloce non si rispettano tutte le leggi. La riforma vera dell'agricoltura passa nell’avere la terra che si lavora, così si crea la cosiddetta classe media. Dobbiamo anche ripensare la produzione di prodotti alimentari e creare prodotti locali. Vediamo che i principi da sempre proclamati dalla Chiesa quando dice di non dimenticare l'etica nell'economia, sono sempre validi.
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