Giornata dell’olocausto di rom e sinti, a Prato il racconto del Museo della deportazione
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Nella notte fra il 2 e il 3 agosto del 1944 furono uccisi dai nazisti 4 mila rom e sinti nelle camere a gas dei campi di concentramento di Auschwitz. Ma sono almeno 500 mila le persone di etnia rom e sinti vittime del Terzo Reich e della deportazione, dettata come quella ebraica da motivazioni esclusivamente razziali. Il loro sterminio viene indicato con il termine Porrajmos, che in lingua romanes, parlata da alcune comunità rom e sinti, significa “divoramento”, “inghiottimento”, “devastazione”. Oggi a farne memoria è la Giornata europea del ricordo dell'olocausto di rom e sinti.
La minoranza rom ancora oggi discriminata
“Non potremo mai dimenticare la persecuzione dei rom durante l'Olocausto - affermano la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e le commissarie Vera Jourova e Helena Dalli -. Non possiamo nemmeno chiudere gli occhi di fronte alle sfide e alle discriminazioni che la minoranza rom deve ancora affrontare. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri Stati membri - aggiungono - per combattere l'antiziganismo”. I vertici della Commissione dell’Unione Europea intendono presentare quest’anno una valutazione delle strategie nazionali per i rom e assicurano il loro impegno per “l'apertura, la tolleranza e il rispetto della dignità umana per tutte le persone”. “Solo con questo spirito possiamo combattere il razzismo e la discriminazione” concludono von der Leyen Jourova e Dalli.
Un Museo che mantiene viva la memoria dell’olocausto
Tra le diverse iniziative per ricordare l’olocausto di rom e sinti, in Italia, a Figline di Prato, il Museo e centro di documentazione della deportazione e resistenza, che ha uno spazio proprio dedicato alla persecuzione e alla deportazione del popolo rom e sinti, propone l’evento “Porrajmos: la memoria negata”. Alle 20 è prevista una visita guidata gratuita e alle 21, presso il Circolo 29 martiri, dialogano e si confrontano alcuni studiosi, esperti e rappresentanti politici.
Fra gli interventi quello di Emanuele Piave, presidente dell’Associazione Porrajmos, che a Vatican News evidenzia quanto poco noto sia, ancora oggi, l’olocausto di rom e sinti e l’importanza di farlo conoscere ai giovani anche per contrastare la discriminazione delle minoranze etniche.
Come nasce la vostra iniziativa?
La nostra iniziativa nasce come volontà e come desiderio di ricordare il genocidio dei rom e dei sinti di cui è si parla poco, di cui se ne è quasi dimenticata l’esistenza. Durante il nazifascismo fu sterminato l'80% della popolazione di rom e sinti, tanto quanto quella degli ebrei, solo che i numeri di rom e di sinti erano minori a livello globale, quindi se ne parla meno. Sono state uccise oltre mezzo milione di persone di etnia rom e sinti e all'epoca corrispondevano all’80% della popolazione esistente. Parliamo, in percentuale, di numeri enormi, di numeri terrificanti. Però, ancora oggi, nel 2022, si fa fatica a raccontarlo. Nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, la notte fra il 2 e il 3 agosto del ‘44 ci fu l'eliminazione di 4 mila persone: morirono grandi, donne, uomini, bambini. Il 16 maggio c’era stato uno scontro tra le SS e rom e sinti (nella cosiddetta area per le famiglie zingare, ndr), perché le SS perché avevano deciso di sgomberare quella parte del campo di concentramento e tentarono di portare fuori, di portare a “gassare”, le persone presenti all'interno. Ci fu una grande rivolta, morirono anche delle guardie naziste, ma rom e sinti riuscirono a sopravvivere. La notte del 2 e 3 agosto ci fu, invece, una presa di posizione delle SS, che decisero di sgomberare il campo perché erano in arrivo dei prigionieri e c’era bisogno di uno spazio abbastanza grande per ospitarli e quello di rom e sinti era il campo scelto. Era una sorta di vendetta da parte delle guardie naziste. Così, di notte, le SS dissero che c’era da fare la consueta doccia e 4 mila rom e sinti vennero condotti tutte dentro una camera a gas, uccisi e poi cremati. I forni crematori non bastarono per smaltire quei corpi, sicché ne furono anche bruciati all'aperto. I dettagli di quella notte furono, poi, forniti grazie a un deportato polacco. Quando il campo fu liberato da parte dell'Armata russa, le guardie naziste, fuggendo, presero anche tutta la documentazione e i nomi di chi era dentro il campo e li misero dentro un sacco nascondendoli sotto terra. Ma questo deportato polacco vide la scena e dopo qualche anno riuscì a tornare dentro il campo, scavò in quel punto, ritrovò la documentazione di quello che era successo ed oggi il mondo conosce i fatti grazie proprio a questa persona.
Ci può parlare della giornata che avete organizzato? Esattamente, quali momenti prevede?
Per raccontare dettagliatamente quello che è successo quella notte, avremo con noi, in collegamento, con un video, registrato, Michele Andreola, la guida italiana di Auschwitz Luca Bravi, professore di storia dell’Università di Firenze, e ci sarà Enrico Iozzelli, guida del Museo della deportazione. La memoria, ogni tanto, deve essere richiamata alle coscienze, alle menti e ai cuori delle persone, quindi noi prevediamo una serata di incontro, di dialogo, di interventi. Una serata dove si crei anche conoscenza, perché ci saranno tante persone che tra loro non si conoscono. Quindi è un'occasione per intervenire, riuscire a creare qualche cosa di nuovo, qualcosa che unisca, che vada contro gli effetti di quello che è l'odio, la discriminazione.
Avete voluto intitolare l'evento “La memoria negata”: come far sì che quanto accaduto fra il 2 e il 3 agosto del 1944 non finisca nell’oblio?
Dico sempre che il conoscere e il sapere illuminano, perché la conoscenza getta luce sulle ombre. Quindi io credo che solo il conoscersi abbatta i muri del pregiudizio, i muri della divisione, della discriminazione. Siamo tutti uguali e condividiamo la quasi totalità del patrimonio genetico. Bisogna partire dalle proprie case, bisogna partire da sé stessi, facendo un lavoro su se stessi ed essendo disposti all'ascolto e alla conoscenza.
Il Museo e centro di documentazione della deportazione e resistenza di Figline di Prato ha una sezione dedicata proprio alla deportazione di rom e sinti…
È una bella cosa creata negli anni, perché hanno deciso di raccontare mostrando delle immagini e non solo. I responsabili, quando guidano le scolaresche o giovani studenti alla visita del museo, dedicano sempre una parte della loro esposizione, proiettando delle immagini e raccontando quello che è successo a rom e sinti in molto semplice, in modo molto chiaro, offrendo anche una documentazione. Credo che ci dovrebbero essere più musei della deportazione in più città che trattino l’argomento.
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