Casa Scalabrini 634 oltre la pandemia: dall’accoglienza all’integrazione dei migranti
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Una casa che è un piccolo villaggio, con un muro di cinta ma le porte sempre aperte, nel cuore del quartiere Casilino, a Roma est, da sette anni un punto di riferimento per richiedenti asilo e rifugiati, ma anche per tutti i cittadini di questa zona di prima periferia, tra Tor Pignattara e Centocelle. È Casa Scalabrini 634, un progetto dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (Ascs), per promuovere nella capitale “la cultura dell’accoglienza, dell’incontro e dell’integrazione tra migranti, rifugiati e la comunità locale, seguendo l’invito di Papa Francesco”.
In sette anni, accolti e integrati 260 migranti
In sette anni di vita, festeggiati il 17 giugno scorso, la Casa, voluta dai missionari scalabriniani, che prima qui avevano il loro seminario teologico, e che hanno risposto all’appello del Papa ad “aprire i conventi”, ha accolto finora 260 persone migranti da 38 Paesi diversi, che vivono tutte in autonomia in Italia. Ha incontrato 15 mila residenti e studenti romani ma non solo, negli eventi di sensibilizzazione e incontri organizzati sfruttando l’ampio giardino davanti all’edificio principale, color ocra. E infine formato più di 2500 persone, migranti e cittadini romani con i suoi corsi di lingua, informatica, web radio, sartoria e anche di guida, tutti gratuiti.
Un punto di riferimento e socialità per tutto il quartiere
L’obiettivo è di rendere possibile, per i migranti, il passaggio dalla vita comunitaria dei centri di accoglienza alla piena autonomia. Vengono ospitati in una trentina, per 6 mesi al massimo, e devono avere già un piccolo lavoro che grazie all’aiuto degli operatori e i volontari della Casa poi trasformeranno in qualcosa di più stabile. “Siamo una casa, non un centro di accoglienza, e abbiamo un numero civico nel nome – ci spiega uno dei fondatori, Emanuele Selleri, oggi direttore esecutivo dell'Ascs – proprio perché questo vuol essere un punto di bellezza, di riferimento e di socialità per tutto il quartiere. Non ci sono solo i 35 ospiti, ma vengono da fuori migranti e italiani, di tutte le età, per frequentare i corsi e perché qui trovano una ‘piazza’ dove incontrarsi”.
Il nuovo Museo di arte urbana sulle migrazioni
Bellezza che ora è anche nell’arte dei primi cinque murales realizzati a metà luglio all'interno del giardino di Casa Scalabrini 634. Si tratta del primo nucleo del MauMi, Museo di arte urbana sulle migrazioni, iniziativa dell’Ecomuseo Casilino e Ascs per la rigenerazione urbana attraverso attività culturali e creative. Ascs ha scelto dieci street artist per illustrare i simboli di una capitale aperta e accogliente.
La storia sacra e la Roma contemporanea
I primi cinque “muri” sono stati dedicati alla dimensione del sacro a Roma, dal Cristianesimo delle origini fino alle figure di Sant’Elena e Costantino, e realizzati da Nicola Verlato, David “Diavù” Vecchiato, Mr. Klevra, Croma e Mosa One. Da settembre saranno realizzati i restanti murales, che rappresenteranno il periodo moderno e contemporaneo di Roma e Roma Est. Così MauMi diventerà un vero e proprio museo aperto alla cittadinanza, luogo di bellezza per gli ospiti della casa, per il quartiere e per la città.
Progetti per ripartire dopo la pandemia
È uno dei progetti di Casa Scalabrini 634 pensati durante i lunghi mesi di chiusura per la pandemia e che ora vendono la luce. “I ragazzi erano chiusi in casa – ricorda Selleri - Le attività erano ferme. Però, vedere i giovani che ogni giorno giocavano a pallone in giardino significava che eravamo riusciti ad essere una casa per loro”. In quel periodo di grande difficoltà anche per il mondo del lavoro, sottolinea il direttore di Ascs, “le persone sono rimaste qui, non le abbiamo fatte uscire alla scadenza dei sei mesi, perché non c'era possibilità di andare in autonomia. Finite le limitazioni per la pandemia, adesso stiamo ricominciando a vedere la luce. I migranti, soprattutto in una città come Roma, trovano lavoro in quei settori che noi italiani non copriamo più, come la ristorazione e l'agricoltura”.
Qual’è la proposta di accoglienza per i migranti di Casa Scalabrini 634?
Fin dal 2015, quando abbiamo iniziato questo progetto, abbiamo voluto che questo non fosse un centro d'accoglienza ma una casa, infatti parliamo di Casa Scalabrini 634. In Italia, quando si parla di migranti e di rifugiati si ha sempre questa idea un po' ghettizzata di grandi centri di accoglienza, mentre noi avevamo un'idea diversa. Abbiamo una casa, mettiamola a disposizione dei rifugiati, al centro di un quartiere, per far cadere il pregiudizio che di solito c’è nei pensieri delle persone: che dove ci sono migranti e rifugiati ci sia disagio. Infatti qui, dove vivono oggi migranti e rifugiati, ci sono delle opportunità, ci sono belle proposte alle quali tutti possono accedere. Il 634 di Casa Scalabrini è il numero civico di via Casilina, dove ci troviamo, e quello che noi cerchiamo di fare qui è essere per questa zona un punto di bellezza, di riferimento, dove tutti possono venire, italiani, migranti e rifugiati e trovare uno spazio, una famiglia, una piazza.
Voi cercate di aiutarli ad integrarsi anche dal punto di vista lavorativo. Chiedete che quando arrivano, e nei sei mesi che sono qui, facciano piccoli lavoretti. Ma per trovarli la pandemia ha creato problemi?
È stata devastante, come è stata devastante per tutti, ancora di più per i migranti e le persone più vulnerabili. Quando arrivano qui noi cerchiamo di accompagnarli per un periodo, per rafforzare una situazione lavorativa ed economica fragile, affinché possano riuscire camminare con le proprie gambe. La pandemia è arrivata “dritto sulle caviglie”, con grande violenza, e quindi abbiamo dovuto tenere duro. Per un periodo le persone sono rimaste qui, non le abbiamo fatte uscire alla scadenza dei sei mesi perché non c'era possibilità di andare in autonomia. Finite le limitazioni per la pandemia, adesso stiamo ricominciando a vedere la luce. I migranti, soprattutto in una città come Roma, trovano lavoro in quei settori che noi italiani non copriamo più, come la ristorazione e l'agricoltura. E appena si è ricominciato un po' a vivere, si sono aperte molte opzioni lavorative per i migranti. affinché le persone potessero entrare di nuovo nel mondo del lavoro. Ora si comincia a respirare: i ragazzi e le famiglie della Casa cominciano avere delle opportunità e si sta rimettendo in moto la macchina.
In questi sette anni, com’è andata questa convivenza con il quartiere? Ci sono stati e ci sono anziani del quartiere che sono venuti a fare i volontari qui o hanno anche imparato qualcosa, partecipando ai vostri corsi e dopo rimasti amici dei compagni di corso migranti?
Sì, ed è una cosa che ci dà speranza e soddisfazione. Noi abbiamo iniziato qui nel 2015, quando eravamo intorno alla quando a Roma c'è “mafia capitale” e si parlava di migranti come business e come “invasione”. Prima ancora di aprire casa Scalabrini 634, sono venute diverse persone del posto che ci chiedevano di non aprire, perché di migranti non ne volevano sapere. Dopo 7 anni, come avete potuto vedere adesso, entra gente del quartiere, e oggi questo è diventato un posto non solo tollerato, ma che fa parte del quartiere, è una sua ricchezza e tante persone anziane della zona passano delle ore qua, per avere compagnia e supporto. Noi vogliamo offrire uno spazio di tranquillità, di buona convivenza. Parole come integrazione e inclusione, sono un pò complicate. Proponiamo uno spazio dove le persone si possono incontrare e poi si possono anche scegliere, come non scegliersi, dove le persone sono tutte allo stesso livello. Tutti possono venire a fare un corso di italiano o di inglese, la scuola guida, le pratiche per la patente. Così un italiano e uno straniero si possono incontrare, a volte nascono anche delle amicizie. E da lì poi continuano a crescere legami all’ esterno della Casa.
Dalla grande solidarietà nata per la guerra in Ucraina e anche dall'emozione che ha spinto all'accoglienza dei profughi del conflitto, pensate che potrà esserci una ricaduta positiva sulla disponibilità all'accoglienza dei migranti non ucraini?
In questo momento non saprei cosa rispondere. Mi ha un po' spaventato questa apertura di cuore che è bellissima, ma non capivo il perché di questa disparità. Ho il timore che questa grande apertura di cuore piano piano svanisca e si torni alla normalità, e alla scarsa accettazione del migrante. La speranza è che questo possa aver toccato veramente il cuore delle persone a livello globale, però non sono così ottimista. Lo vedremo già nei prossimi mesi, quando la presenza dei cittadini ucraini in questo territorio diventerà più stabile, non sarà più emergenziale, e lì si capirà se è stata veramente un’accoglienza di cuore, o se è stata frutto della grande empatia, della grande emozione che un conflitto così vicino ha causato.
Voi avete qui profughi ucraini?
Noi abbiamo avuto tre famiglie fin dall'inizio della guerra. Due di queste sono volute tornare in Ucraina dopo 2-3 mesi che stavano qui da noi. Seguiamo anche altre persone ucraine che non vivono nella Casa, facendo supporto psicologico, però la difficoltà che abbiamo adesso è poter fare un progetto con loro: le persone che abbiamo incontrato, almeno fino ad ora, non hanno nessuna intenzione di immaginare una loro permanenza qui. Stanno in Italia in attesa che il conflitto finisca e di poter tornare. Quindi siamo in una fase di transizione aspettando che il conflitto finisca il prima possibile, e poi capire chi vorrà fermarsi, chi vorrà integrarsi qui e chi vorrà davvero tornare a casa.
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