Naufragio nel Mediterraneo orientale. Ripamonti: rivedere le politiche di accoglienza
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Sono subito scattati i soccorsi quando due notti fa si è avuta notizie del naufragio di un barcone, che stava trasportando dai 60 agli 80 migranti. Una trentina di loro sono stati salvati dalle unità marittime elleniche, impiegato anche un elicottero, ma il resto del gruppo risulta per ora disperso. L’incidente è avvenuto nel tratto di mare tra Rodi, Karpathos e Creta. I soccorritori hanno riferito che la barca era salpata dalla zona di Antalya, sulla costa meridionale della Turchia, e puntava all'Italia, quando ha avuto problemi durante la notte. Molti dei naufraghi non indossavano i giubbotti di salvataggio. Le ricerche continuano.
La rotta balcanica
La traversata dalla Turchia alla Grecia, via alternativa a quella che dall’Africa porta a Lampedusa e alla Sicilia, sta costando la vita a molti in fuga da guerre e miseria. Secondo i dati dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dal gennaio dell’anno in corso sono morte 64 persone nel Mediterraneo orientale. Sull’isola greca di Samos il centro sanitario di Medici senza Frontiere ha fornito soccorso d’urgenza e psicologico quest’anno almeno 570 migranti. Molti dei profughi, appena sbarcati, si nascondono nella boscaglia, per evitare di essere forzatamente riportate in Turchia, e quindi rimangono per giorni senza cibo e acqua.
Sbarchi anche a Lampedusa
Continuano gli sbarchi anche nella più grande isola delle Pelagie, primo approdo europeo per chi parte dall’Africa. Nove gli sbarchi avvenuti nelle ultime ore a bordo di natanti spesso fatiscenti con 71 persone a bordo, tra cui 9 donne e 7 minori. Intercettate dagli uomini della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza, sono state condotte nell'hotspot di Contrada Imbriacola, dove, prima degli ultimi arrivi, erano accolte circa 300 persone. Salvataggi anche in Tunisia, dove la Guardia Costiera locale nei giorni scorsi è intervenuta bloccando dieci tentativi di attraversamento del Mediterraneo, traendo in salvo 138 migranti.
Accoglienza: non solo cibo e acqua
L'ennesimo naufragio sulle rotte del Mediterraneo inevitabilmente fa capire che ci si trova ancora una volta di fronte al medesimo copione: il doveroso salvataggio in mare, la prima accoglienza e poi il rimpatrio o la permanenza nel Paese di arrivo, ma senza nessuna prospettiva futura. Padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli per i rifugiati, nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News, sottolinea come ormai il fenomeno migratorio è qualcosa di strutturale e e va seriamente affrontato da tutta l'Europa.
Come ogni estate si moltiplicano gli sbarchi di migranti sulle coste europee, ma purtroppo aumentano anche i naufragi e le vittime. Oltre all’attività doverosa di salvataggio e di accoglienza c'è bisogno di fare qualcosa di più?
Credo che, dopo anni ormai in cui si assiste ad arrivi e naufragi, sia giunto il momento di mettere a sistema tutto questo processo, evitando di considerarlo un fatto eccezionale, ma prendendo consapevolezza che il fenomeno migratorio è fenomeno strutturale. Quindi bisogna affrontarlo come tale e organizzarsi di conseguenza come Europa, non lasciando ai singoli Stati la gestione del fenomeno, ma appunto assumendolo come Europa e ognuno poi assumendosi la propria parte di responsabilità.
C'è bisogno anche di politiche più decise mirate all'inserimento nel lavoro, all'inserimento sociale dei migranti che arrivano e che vengono regolarizzati? Tutto questo sembra essere ancora in fase abbastanza embrionale…
Anche su questo non c'è ancora la consapevolezza o la volontà politica di considerare che il fenomeno migratorio consta di diverse parti: la partenza delle persone, e quindi la sicurezza nei viaggi; poi, quando queste persone arrivano, anche dei processi di accompagnamento, di integrazione e di inclusione nel territorio in cui queste persone arrivano. Abbiamo visto nei mesi scorsi come ci sia anche necessità di persone che aiutino gli italiani nel lavoro. Quindi diciamo basta alla retorica dell'invasione e affrontiamo invece il problema di un’integrazione, di una società sempre più plurale, nella quale le persone che arrivano devono integrarsi, ma anche chi accoglie deve avere una prospettiva inclusiva.
La guerra in Ucraina, come anche la crisi dovuta al Covid, come hanno influito sul fenomeno migratorio?
La pandemia in questi anni ha creato situazioni di difficoltà maggiore in quelle sacche di marginalità. In più, appunto, la questione della guerra in Ucraina non ha fatto altro che darci consapevolezza del fatto che le guerre ci sono, ci sono in tutto il mondo, e ora ne è scoppiata una all'interno del territorio europeo e noi siamo stati in grado di gestire il movimento di popolazione. Certo, potevamo anche fare meglio, ma, anche con numeri alti di arrivi, in Italia la diaspora ucraina ha permesso appunto l'accoglienza di queste persone. Tutto questo ci deve in qualche modo far comprendere come in situazioni di crisi le popolazioni migranti, le popolazioni ai margini rischiano di subire maggiormente. E poi noi abbiamo le risorse come Paese e come Europa di far fronte a quel flussi migratori che appunto invece molto spesso la retorica ci spinge a dire: non siamo in grado di accoglierli o bisogna mandarli nei propri Paesi o, ancora, bisogna difendersi da queste invasioni. Invasioni non ce ne sono. Ci sono solo persone che fuggono e che hanno bisogno di essere accolte e integrate.
Tutto questo rischia di creare migranti di serie A, che fuggono dalle guerre e non c’è solo quella in Ucraina, e migranti di serie B, che sono poi quelli economici?
Sì, il rischio è che si dimentichi che anche quelli, che noi definiamo migranti economici, fuggono da quella grave situazione di disuguaglianza che mette in ginocchio molta parte della popolazione nel mondo, mette di fronte a quella crisi climatica, alla desertificazione, a quelle disuguaglianze economiche legate alla privazione di molti territori delle risorse necessarie. Quindi in realtà non esistono migranti di serie A o, comunque, delle persone, che hanno diritto ad essere accolte, e altre che non hanno diritto di essere accolte, ma tutti i migranti che fuggono, appunto perché nel proprio Paese non riescono a sopravvivere in modo dignitoso, dovrebbero avere la possibilità di essere accolti ed avere una vita nuova in altre parti del mondo.
Padre Ripamonti, accogliere vuol dire anche andare incontro ai migranti nei loro Paesi di origine, creare processi di sviluppo in loco, laddove è possibile chiaramente?
Sì, certo, Papa Francesco lo ha ripetuto anche diverse volte: c'è anche un diritto a restare nella propria terra. Noi troppo spesso ci dimentichiamo di quei Paesi, che molte volte deprediamo. Dovremmo invece garantire a tutti il diritto di poter restare a casa propria senza dover essere costretti dall'ingiustizia, dalle crisi climatiche, dalle guerre a lasciare il territorio d’origine e a partire per andare in un altrove che molto spesso non vuole accogliere queste persone.
Al contrario, ne deriverebbe anche una ricchezza per i Paesi investitori?
Certamente, dimentichiamo troppo spesso che siamo tutti interconnessi, quindi un Paese che è in difficoltà è che appunto non riesce a stare al passo con gli altri rappresenta una ferita per tutti gli altri. Quindi l'investimento sia economico, ma anche in termini culturali, in molti Paesi avrebbe delle ripercussioni positive in molte altre parti del mondo.
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