Stati Uniti al voto sulla questione ambientale
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Negli Stati Uniti è in discussione in questi giorni alla Camera dei Rappresentanti il pacchetto di misure per il clima e la sanità che ha ottenuto il via libera del Senato, pochi giorni fa, con 51 voti a favore e 50 contrari. Frutto di oltre 18 mesi di duri negoziati, il piano promosso da Joe Biden dovrebbe passare senza problemi il voto finale per poi essere firmato dallo stesso presidente. Le spese previste saranno finanziate con una minimum tax del 15 per cento sulle aziende che realizzano utili annuali superiori al miliardo di dollari, una tassa dell'1 per cento sulle società che riacquistano azioni proprie e con un rafforzamento dell'Internal Revenue Service, l'agenzia delle entrate statunitense.
Salute e clima
Anche se decisamente inferiore ai 3.500 miliardi inizialmente proposti da Biden, il provvedimento da 740 miliardi di dollari è un passo significativo. Ha l’obiettivo di ridurre il deficit e i costi per le famiglie, tagliando i prezzi dei medicinali e prevedendo l’investimento di 369 miliardi di dollari in programmi per l’energia. E’ previsto uno stanziamento da circa 370 miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico.
Dell’importanza di agire di fronte alle conseguenze sempre più gravi dei cambiamenti climatici, parla Marco Capellini, esperto di innovazione sostenibile del network Alleanza per l’economia circolare:
Capellini ci tiene a sottolineare che la questione ambientale va affrontata da subito e in modo costante e progressivo, con la consapevolezza che siamo già in ritardo nel raggiungere gli obiettivi. Della volontà di Biden di riprendere il cammino che a suo tempo aveva iniziato Obama, ma che era stato interrotto da Trump, Capellini rimarca l'importanza perché è davvero urgente intraprendere azioni finalizzate a migliorare la qualità ambientale e a ridurre le emissioni CO2. Si tratta – spiega - di tutelare l’ecosistema con urgenza. Dunque, l’auspicio che il programma di Biden sia efficace fin da subito con azioni dirette e mirate, un po' come – sottolinea - sta facendo l'Europa.
Stati pilota ma isolati
Secondo Capellini non si può parlare degli Stati Uniti come di un Paese che non è sensibile sulla questione ambientale. Si registra - nota - molta sensibilità da parte dei consumatori ed è indubbio che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa) abbia prodotto finora regolamenti sempre più stringenti. Manca - mette in luce Capellini - un forte coordinamento nazionale che può arrivare nel momento in cui è il presidente ad esprimere con convinzione la volontà di intraprendere iniziative forti e che siano trasversali per tutti gli Stati. Altrimenti, resta proprio questo scollamento tra diverse scelte di Stati o diverse strategie portate avanti. Esemplare il caso della California - dice - che è stata la prima a livello mondiale a votare stanziamenti e normative su questi temi, ma - precisa Capellini - sono circa dieci gli Stati che hanno norme ad hoc.
Tra California e Texas
In California, l'ultimo progetto di legge al voto prevede di soddisfare la domanda elettrica nello Stato esclusivamente grazie alle rinnovabili: entro il 2045, infatti le utility elettriche dovranno rifornirsi solo da eolico, fotovoltaico e idroelettrico. Ma c'è anche il caso del Texas dove le aziende per il gas naturale liquefatto (Gnl) spiegano di contribuire a migliorare la qualità dell'aria locale nelle comunità di tutto il mondo, perché il combustibile più pulito che trasportano sostituisce il carbone nelle centrali elettriche. Ma nella regione di Corpus Christi, in Texas, dove il carburante viene preparato per la spedizione, sta peggiorando la qualità dell'aria, con il consenso delle autorità di regolamentazione statali che hanno progressivamente allentato le restrizioni. Dal 2018 la Texas Commission on Environmental Quality (TCEQ) ha concesso aumenti dei limiti di inquinamento degli impianti autorizzati a emettere circa 353 tonnellate all'anno di COV, il doppio del limite stabilito nel permesso originale di otto anni fa. Lo Stato ha aumentato i limiti di altri quattro inquinanti di oltre il 40 per cento. I residenti hanno presentato una petizione allo Stato per ridurre l'inquinamento. La capacità di esportazione di GNL negli Stati Uniti è destinata ad aumentare del 40 per cento nei prossimi due anni, secondo il Dipartimento dell'Energia, e le aziende del settore stanno studiando nuovi progetti. Il coordinamento a livello federale è necessario anche perché – sottolinea Capellini – bisogna definire una strategia a lungo termine, coinvolgendo necessariamente il sistema imprese. Quello che è accaduto finora negli Stati Uniti si può definire – afferma Capellini - a ‘corrente alternata’ e non può portare a nessun risultato.
A luglio la sentenza sull’Epa
La Corte Suprema a Washington, con una sentenza annunciata a metà luglio scorso, ha tolto all’Agenzia per la protezione dell'ambiente (EPA) la prerogativa di fissare limiti alle emissioni industriali, smontando quel Clean Air Act su cui si è basata dai tempi di Obama gran parte della politica climatica statunitense. La sentenza della Corte Suprema ha stabilito che le agenzie federali non possano estendere troppo le loro competenze senza una apposita legge del Congresso. L’EPA potrà ancora regolare alcune delle attività delle centrali, ma in modo molto più limitato di prima. Togliere all’EPA l'autorità di imporre standard di emissioni vincolanti per tutte le centrali elettriche degli Stati Uniti senza che ci siano altre normative federali vincolanti significherebbe rinunciare agli obiettivi 2030 sulle emissioni di gas serra. La sentenza dunque è stata una vittoria per l’industria fossile e una sconfitta per l'amministrazione Biden, che puntava sulla capacità regolatoria dell’EPA per implementare le proprie politiche di transizione energetica e lotta al cambiamento climatico.
Gli Stati Uniti sono il secondo maggior produttore al mondo di gas serra, dopo la Cina. Le emissioni statunitensi sono calate del 5 per cento dal 1990, ma sempre molto meno di quanto sia riuscita a fare l’Unione europea che ha registrato -27 per cento. E il 25 per cento circa di tutte le emissioni di gas serra statunitensi provengono dalla produzione di elettricità, che adesso non potrà più essere facilmente regolata dall’EPA. Dunque, si capisce ancora di più l’importanza di una regolamentazione federale.
Dalla parte del consumatore in Usa e Ue
Capellini ricorda che circa una decina di Stati Usa hanno già introdotto regolamenti ad hoc sul diritto del consumatore alla riparazione, soprattutto di quelli che sono i prodotti elettronici, nel senso che si obbligano le aziende a scrivere sulle etichette le modalità di produzione e i tempi di obsolescenza previsti, per evitare il fenomeno della cosiddetta “obsolescenza programmata”, cioè la produzione di prodotti fatti per rompersi presto. Capellini ricorda che senza dubbio è estremamente interessante questo tipo di approccio che – ricorda – è già emerso in Europa, in particolare dopo che la Francia – diciamo così – ha fatto strada con una legge del 2020. In sostanza, il consumatore ha la possibilità, andando ad acquistare un personal computer, una lavatrice, un cellulare, di vedere quanto sia riparabile. E Capellini spiega che, dopo la legge in Francia, la Commissione Europea (Ce) stessa si è attivata su questo fronte elaborando testi che rivendicano massima trasparenza. In particolare, si punta al Digital Product Passport – chiarisce Capellini - praticamente un passaporto digitale che accompagnerà tutto il ciclo di vita del prodotto e quindi porterà con sé tutte le informazioni sui materiali che vengono impiegati e spiegando quanto sia riparabile. Chiarirà qualcosa di più sul rapporto qualità prezzo e anche per quanto riguarda l'impatto ambientale.
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