Lima-Perù, il “muro della vergogna” abbattuto da un altro muro
di Domitia Caramazza
A Lima esiste “il muro della vergogna”, segno di demarcazione netta tra ricchi e poveri, in Perù. Dieci km di cemento e filo spinato, in cima a una collina invalicabile, nascondono la baraccopoli della Peruanidad, in Pamplona, al ricco quartiere Las Casuarinas, nel distretto Santiago del Surco.
Juana Gutierrez Gallardo, madre di famiglia, ex dirigente in Pamplona - “Non esiste nessuna via di accesso. Ci viene impedito di oltrepassarlo – mi spiega Juana - Inizialmente, trent’anni fa, si è cercato di arrivare a un compromesso con una separazione di alberi, ma non ci si è riusciti. È un muro fatto per proteggersi dalle invasioni, comunque segna la grande differenza tra chi ha e chi non ha, come noi”. Da una delle estremità del muro che raggiungiamo scalando e respirando terra, vedo spegnarsi i colori folkloristici peruviani, lì dove vive la popolazione povera originaria delle Ande, dell’Amazzonia o di alcune zone della Costa. “Peruanidad”, termine usato dai più colti per la riflessione su quanto unisce i peruviani, qui, invece, definisce la zona di estrema povertà dalla quale si può toccare il segno della piaga della disuguaglianza. Disuguaglianza soprattutto di opportunità.
La risposta al "muro della vergogna"
A Lima, però, è in costruzione un altro muro. Un muro che abbatte il “muro della vergogna”. È Juana a mostrarmelo, arrivando in un altro insediamento umano di Pamplona: “Questo muro ci aiuta, ci protegge; il ‘muro della vergogna’, invece, ci divide. Grazie a Dio e ai missionari, stiamo collaborando alla costruzione del muro di contenimento di Portada del Sol. I missionari sono venuti tutti gli anni. Dopo la pandemia hanno ripreso a venire, contattati dal fratello Alejandro Molina, responsabile della ONG Bridges. Grazie a lui possiamo contare sull'aiuto di molti missionari, ogni anno, per realizzare opere di infrastruttura, scale, campi sportivi e muri di contenimento come quello che stiamo costruendo. Mi riempie di gioia lavorare con loro e aiutare i miei vicini. Da soli non potremmo fare quello che loro ci aiutano a realizzare”. Il suo viso si apre a un sorriso. È un istante, prima che continui a raccontarsi. “Non abbiamo acqua e scarichi in tutta la Nueva Rinconada. Solo alcuni settori hanno la luce. Dove io vivo non c'è luce, per esempio. Devo comprarla dal proprietario e ogni mese spendo 150, 160 soles. È molto caro per me. Guadagniamo il minimo indispensabile a sopravvivere giorno per giorno. Niente di più”.
Il ruolo dei missionari: vicinanza e "cuore"
Diego Vega, missionario Bridges - “La prima volta è stato scioccante incontrare persone che sopravvivono senza acqua ed elettricità”. Lo confida Diego, 23enne limeño che vive dall’altra parte del “muro della vergogna”, quella ricca. Le sue parole di denuncia più significative non sono espresse in frasi come “Quel muro è vergognoso perché le disuguaglianze economiche non dovrebbero porre barriere… Siamo tutti persone, abbiamo tutti gli stessi diritti… Quel muro in cima a una collina nasconde ciò che non si vuole vedere, ma che esiste”. La denuncia più significativa e costruttiva è la sintesi descrittiva, il cuore della sua esperienza: “Da queste persone mi sono sentito amato. Al di là del supporto materiale, in Bridges è fondamentale la condivisione e l’ascolto, la prossimità e la costruzione di relazioni. Al mattino lavoriamo, chiacchierando; nel pomeriggio giochiamo con i bambini, visitiamo le famiglie, facciamo catechesi, preghiamo, e la sera vediamo un film. Cerchiamo di costruire ponti - lo dice il nome della ONG - ponti tra i missionari universitari di diverse parti del mondo, i nostri vicini e i volontari peruviani”.
Il dramma della povertà senza risposte
Alejandro Molina, consacrato del Sodalizio e direttore della ONG di ispirazione cattolica Bridges - “In Bridges, persone della parte ricca e della parte povera del Perù si incontrano. Bridges diventa spazio di riconciliazione anche attraverso la realizzazione di muri di contenimento come quello che stiamo costruendo”. Alejandro, colombiano 39enne, è il primo a sporcarsi le mani da quando ne aveva 19. “Devo essere onesto: non è sempre facile aiutare i poveri. La prima cosa che ho fatto in questi venti anni a Lima, è conoscere le persone. Incontrarle e ascoltarle per poter capire come mettermi al loro servizio. Le dinamiche interne a questa zona sono molto complesse. La comunità in cui lavoriamo, l'insediamento umano chiamato Portada del Sol, negli ultimi due anni si è divisa a causa dei diversi interessi economici che hanno impedito anche di portare a termine alcune opere da noi iniziate. Credo che in questo senso parte della nostra missione consista nel favorire la riconciliazione interna della comunità. Essendo originario della Colombia, so che i poveri possono anche uccidere per soldi. È molto doloroso dirlo, ma è così. Una piaga peruviana è la corruzione. A Pamplona, in particolare, c’è il problema dei trafficanti di terreni, mafiosi locali che vendono terra incolta, che dovrebbe appartenere allo Stato, non a loro. Possono farlo attraverso i loro tentacoli all'interno dei comuni e della polizia con i quali si spartiscono i benefici economici”. Alejandro denuncia con coraggio anche un'altra scioccante ingiustizia ai danni dei poveri: “Pagano l'acqua più dei ricchi, a volte fino a quattro volte di più, perché il sistema di distribuzione è privato. Il Servicio de agua potable y alcantarillado de Lima invia una cisterna una sola volta alla settimana. Non possono lavarsi, si limitano a bagnarsi testa e viso”.
C'è Cristo nella carne ferita degli ultimi
Nel cuore porto l’immagine di un viso, quello di una bimba di pochi mesi in braccio al padre, a pochi metri dal “muro della vergogna”. M., padre di famiglia e artigiano della Peruanidad- “Non abbiamo la possibilità di avere una casa degna, per questo stiamo qui. Io confeziono bambole – lo dice stringendo tra le braccia la figlia - Chiediamo che venga il Governo e che si preoccupi di noi, per poter avere strade, acqua potabile, scarichi e luce. Il mio sogno? Una vita migliore”.
Su questo spaccato di umanità vedo aprirsi una finestra, quella di una baracca. Intravedo un ostensorio con il Santissimo di fronte al quale pregano missionari e parte della comunità locale. Riconosco la “scandalosa” presenza reale di Gesù Cristo anche lì.
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