Ucraina, 90 anni dell’Holodomor. Il ricordo del Papa delle vittime
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Nella lettera di ieri al popolo "nobile e martire" dell'Ucraina e nel corso dell’udienza generale di mercoledì 23 novembre, Papa Francesco ha voluto ricordare la tragedia dell’Holodomor, uno dei più grandi orrori vissuti dal popolo del Paese est-europeo, il cui anniversario ricorre nella giornata di oggi, 26 novembre. Il termine è stato coniato dalla stessa popolazione per indicare la grande carestia verificatasi nel Paese tra la fine del 1932 e l’estate del 1933, frutto delle scelte politiche dell’Unione Sovietica e causa di morte per milioni di ucraini. Ai microfoni di Vatican News, lo storico Andrea Graziosi spiega come “un’esperienza così forte e traumatica” abbia contribuito a forgiare l’identità nazionale del Paese.
L'origine del termine
“Il termine Holodomor circolava già negli anni ’30”, spiega Graziosi, ma è entrato in vigore definitivamente alla fine degli anni ’80. In poco meno di cinque mesi vennero uccise, secondo i dati più riconosciuti, circa quattro milioni di persone concentrate nella Repubblica ucraina. “Si tratta di una carestia che è stata molto presto considerata un genocidio, in quanto gli studi poi fatti hanno dimostrato come essa fosse la conseguenza di scelte politiche prese a Mosca da Stalin alla fine del ‘32”. Tali decisioni riguardavano la sottrazione di riserve alimentari alle famiglie e il successivo divieto di movimento, che ne impediva l’esodo verso le regioni dove c’era più grano e verso le città, dove “invece le razioni erano assicurate".
Carestia artificiale
Una carestia definita “artificiale” dallo storico, che portò ad un considerevole numero di vittime in un periodo storico di pace e che non risparmiò neanche l’élite politica ed intellettuale ucraina. “Da questo punto di vista anche l’autore della categoria di genocidio, poi approvata dall’Unione Europea, Rapahel Lemkin”, era convinto che l’Holodomor rientrasse nel novero.
Fame e miseria
Graziosi parla di condizioni terribili, di fame e di miseria generale. Mosca aveva paura che la Repubblica ucraina, che aveva già opposto resistenza alla campagna di collettivizzazione e al sequestro delle terre dei contadini, si staccasse dall’Unione Sovietica. Si puntava a “spezzare la spina dorsale del Paese e a liquidare l’élite”.
Testimonianze atroci
Le testimonianze giunte ai giorni nostri parlano di sofferenze indicibili. “Anche il cannibalismo fu molto diffuso”, afferma lo storico. “Le persone morivano sole, nelle loro case, in preda alla disperazione. Interi villaggi furono spazzati via”. In altri, invece, si registrava l’intervento di brigate speciali che privavano la popolazione di tutte le risorse alimentari, nello specifico tra dicembre e gennaio, a cavallo tra il 1932 e il 1933. “Una persona sopravvive circa 30, 40 giorni senza mangiare. Si calcola che a partire da marzo la stragrande maggioranza dei civili morì semplicemente di esaurimento e di fame. Le testimonianze sono talmente atroci che è difficilissimo anche solo leggerle”.
L'Holodomor e il sentimento nazionale
Arrivando ai giorni nostri, si può affermare come l’Holodomor abbia giocato un ruolo predominante nella formazione di un sentimento di identità nazionale all’interno del popolo ucraino. “C’è voluto del tempo, non è stato un processo semplice e breve”, afferma, però, Graziosi. Quando la nuova Ucraina e la nuova Federazione russa nacquero, nel 1991, c’era “bisogno di discorsi di legittimazione dei nuovi Stati”. Per l’Ucraina una delle grandi esperienze che accomunavano i cittadini era quella relativa alle sofferenze dell’Holodomor. Così, afferma lo storico, si comprese che uno dei fattori della “legittimazione fosse nell’avere sofferto una tragedia straordinaria”.
Il legame con ebrei e armeni
In ultimo, l’Holodomor può, secondo Graziosi, avere contribuito alla nascita di un sentimento di fratellanza con altre comunità storicamente oppresse come ebrei e armeni. Questo spiegherebbe anche perché “l’Ucraina ha già eletto un primo ministro ebraico” e il fatto che lo stesso attuale presidente, Volodymyr Zelensky, sia di origine ebraica. “Si tratta di un Paese che si riconosce come vittima, e questo spiega anche l’attuale resistenza. Un popolo vittima, forse, è anche deciso a non doverlo più essere”, conclude lo storico.
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