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Don Ferrari a bordo della 'Mare Jonio' con i migranti soccorsi la sera precedente, alle porte di Lampedusa Don Ferrari a bordo della 'Mare Jonio' con i migranti soccorsi la sera precedente, alle porte di Lampedusa  

Il cappellano di Mediterranea: indagare sulla mafia libica per un mare di pace

Don Mattia Ferrari, assistente della Ong italiana che soccorre i migranti, sottolinea l'importanza di fare verità e giustizia sulle modalità con cui opera la guardia costiera del Paese africano, nei cui lager migliaia di persone sono intrappolate. Tra coloro che hanno espresso solidarietà al prete che ha subito minacce, che per la Procura di Modena non sono di rilievo penale, anche il cardinale Zuppi, presidente della CEI: chi organizza gli scafisti sia identificato e perseguito

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Sta suscitando polemiche la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Modena dell'inchiesta sulle minacce nei confronti di don Mattia Ferrari, cappellano della ong Mediterranea Saving Humans, provenienti da un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi. Secondo la Procura non sarebbero di rilievo penale. 

Lo stile di don Mattia

Don Mattia è da tempo sotto "radiosorveglianza" decisa dal Comitato provinciale per la sicurezza dei cittadini, proprio sulla base di quelle minacce. Nel documento del pm si sottolinea che "se il prete esercita in questo modo, diverso dal magistero tradizionale", deve in un certo senso aspettarsi reazione contrarie e fra queste di essere bersagliato. In un passaggio del testo, si suggerisce che l'esposizione sui social network naturalmente provoca reazioni, specie se "chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco - ben diverso dagli ambiti tradizionali, riservati e silenziosi, di estrinsecazione del mandato pastorale - lo fa propagando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti".

Zuppi: importante verificare sulle responsabilità libiche

"Devo leggere la motivazione. Ma credo che sia importante che se ci sono dei motivi di preoccupazione ulteriore si continui a verificare sulle responsabilità libiche e sulle responsabilità di coloro che minacciavano e che hanno minacciato". Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Matteo Zuppi, a margine del conferimento della cittadinanza onoraria a Bologna, commenta così il caso. "Al di là di qualsiasi provvedimento - osserva il porporato - è importante che ci sia un’attenzione della giustizia perché coloro che detengono o organizzano gli scafisti siano identificati e perseguiti. Don Mattia lo conosco, è una persona che ha sempre avuto molta attenzione per il problema di chi muore in mare e anche di chi viene trattato come un animale in quelli che, come ha più volte detto il Papa, sono dei veri e propri campi di concentramento e di violenza".

Don Mattia Ferrari, prete trentenne, il 9 maggio 2019 è con i volontari sulla Mare Jonio, la nave della piattaforma di Mediterranea (finora ha soccorso 680 naufraghi), nel tratto di mare tra la Sicilia e la Libia, quando viene avvistato un gommone in avaria con trenta persone migranti che, come avrebbero poi raccontato, provenivano dall'inferno. Una storia che è confluita nel libro "Pescatori di uomini", scritto con l'inviato di Avvenire Nello Scavo. Lo abbiamo chiamato alla fine di una lezione alla Pontificia Università Gregoriana:

Ascolta l'intervista a don Mattia Ferrari

Con che stato d'animo apprende di questa decisione?

Dispiace, non tanto per me, quanto per la vera questione che sappiamo essere quella delle persone migranti che scappano dalla Libia. Le minacce sono legate al fatto che noi siamo accanto a queste persone. La mafia libica cerca di eliminare noi per lasciare soli i protagonisti, che sono i migranti. Se non si indaga sulla mafia libica non riusciremo ad andare a fondo e a fare una grande operazione di verità e di giustizia, presupposto indispensabile perché finalmente si affermi la fraternità e perché il Mediterraneo sia finalmente un mare di pace.

Che è poi il grande auspicio più volte ripetuto da Papa Francesco…

Sì, oggi il grande problema è proprio questo: si parla tanto di Mediterraneo di pace ma, fintanto che resta segnato dai respingimenti e dai naufragi, nel nostro mare c'è una rottura radicale della fraternità. Ogni settimana, ormai, ci sono persone che annegano perché non vengono soccorse. Quasi ogni giorno ci sono persone migranti che vengono catturate dalla cosiddetta guardia costiera libica, che in larga parte è costituita dalle mafie libiche finanziate dall’Italia e dall’Europa, e deportate nei lager. Questo è l’apice della disumanità: che chi sta chiedendo aiuto - e sta scappando da quel sud del mondo depredato tuttora dall’Occidente attraverso il neocolonialismo, oppure dalle catastrofi ambientali - e semplicemente chiede di essere riconosciuto come fratello e come sorella, viene fatto catturare dalla mafia e mandato nei lager dove avvengono orrori indicibili.

Noi – Mediterranea e tutte le altre organizzazioni che operano nel mare – vogliamo continuare a operare. Il Mediterraneo lo abbiamo reso così noi uomini e quello che noi facciamo è proprio questo: con i nostri corpi, con le nostre relazioni farci prossimi per ricostruire concretamente, attraverso la nostra carne, quella fraternità che abbiamo gravemente rotto.

Cosa sente di dover rispondere a chi da più parti solleva da tempo qualche perplessità circa l'operato delle ong e delle navi di soccorso dei migranti?

La società civile che opera in mare è un grandissimo disturbo per la mafia libica che lucra tantissimo sui respingimenti e che desidera proprio eliminare le ong di soccorso. Infangare le ong è in questo momento il favore più grande che possiamo fare alla mafia libica. Per questo è gravissima la campagna che viene fatta. perché indirettamente finisce per far contenta la mafia libica. Oltretutto non c’è stata finora nessuna indagine che abbia detto che la mafia libica e le ong collaborano. Mai nessuna dimostrazione di ciò.

Con l’Arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia e David Yambio, portavoce di “Refugees in Libya”, ricercato dalle milizie libiche
Con l’Arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia e David Yambio, portavoce di “Refugees in Libya”, ricercato dalle milizie libiche

Lei sente, come sacerdote, di essersi esposto troppo?

Io conosco tanti sacerdoti, religiosi e religiose e persone laiche che operano più coraggiosamente di me, che fanno più di me e meglio di me. Non sono certamente il prete che disturba di più. A volte certe critiche che si fanno ai cristiani e alla Chiesa bisognerebbe farle a Gesù di Nazareth invece che a noi. Ciò che noi facciamo lo facciamo perché lo sentiamo nel nostro cuore e perché ce lo ha insegnato Gesù. Noi proviamo semplicemente a seguire il nostro maestro. Quello che a me preoccupa è il ritorno talvolta nella popolazione di quella che alcuni vescovi hanno definito con una efficace metafora la ‘peste’ del cuore: a un certo punto noi iniziamo a non ritenere più l’altro che viene da un altro Paese, e ha caratteristiche diverse da quelle nostre, degno di essere riconosciuto come fratello e sorella. Cominciamo a scartare. È una pandemia spirituale che ha delle ondate.

Scartare le persone, ricordiamocelo, è qualcosa che fa soffrire loro ma anche loro. Se c’è qualcosa che può rendere piena e viva la nostra vita è donarla e viverla in fraternità. È uno sguardo che dobbiamo avere sempre. Il fenomeno migratorio è complesso, certo, e la vera soluzione è costruire la giustizia che, a sua volta, si edifica a partire dai movimenti popolari e da una fraternità incarnata. Richiede tempo, ma è necessario muoversi in questa direzione. Alle persone bloccate in Libia devono essere dati canali legali e sicuri di accesso. Sarebbe l’unico vero scacco ai trafficanti. In Italia siamo pieni di esperienze bellissime di comunità che accolgono: è questa la grande sfida, devono moltiplicarsi. Anche per il nostro bene, la nostra gioia.

C’è una storia su tutte che si porta dentro dalla sua esperienza a bordo di Mare Jonio?

La notte del salvataggio. Io ho veramente visto, attraverso gli occhi dei miei compagni, che la storia può cambiare grazie alle persone che scelgono di amare visceralmente. Io ho visto trenta persone, emblema di tutti gli scartati in mezzo al mare, destinati ad annegare. Ma hanno incontrato giovani che gratuitamente hanno scelto di donare la loro vita andando, anche a costo di esporsi a denunce, a rischiare per salvare la vita di queste altre persone. Ora vivono in Europa. Quella notte ho avuto la prova che l’amore può cambiare la storia. La mia missione comprende fare assistenza spirituale a questa grande famiglia di Mediterranea, di tutte le religioni o anche atei. Tutti cercano una relazione di fraternità con la Chiesa, perché riconoscono nella Chiesa una madre, una sorella che cammina con loro. Poi sono in contatto con le persone migranti in Libia, loro ci chiamano e io mi sono trovato a dare la benedizione finale ad esempio ad uno dei ragazzi che è stato ucciso, dopo sette mesi di detenzione nei lager, dalla mafia libica. I suoi compagni ci hanno chiamato perché desiderava, Sami, ricevere la benedizione. Ho avuto l’onore, mi permetto di dire, di dargliela. Io, più che evangelizzatore, mi sento veramente evangelizzato. Attraverso la loro testimonianza mi rendo conto di quanto è vero il Vangelo. Più sto con loro, più loro mi evangelizzano.  

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16 dicembre 2022, 12:48