Si allargano le proteste in Iran
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Si chiama Fahima Karimi l’iraniana condannata a morte con l’accusa di aver guidato le manifestazioni nella città di Parkdasht, non lontano da Teheran, secondo quanto reso noto dalla ong Women's Committee Ncri sul proprio sito. Era inizialmente detenuta nel carcere di Evin, ma era poi stata trasferita nella prigione di Khorin. Allenatrice di pallavolo, la donna ha tre figli e, come molte altre iraniane, ha protestato in reazione alla morte di Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre in seguito al suo arresto.
La provincia del Sistan-Baluchistan
Donne, vestite di nero, si sono unite alla protesta in corso in Iran anche nella provincia conservatrice del Sistan-Baluchistan, nel sud-est del Paese. Si tratta, secondo diversi osservatori, di un evento tutt’altro che prevedibile, considerata la natura conservatrice della regione. Tutto ciò accade pochi giorni dopo la prima dichiarazione ufficiale da parte di Teheran sul numero di vittime delle manifestazioni, iniziate ormai oltre due mesi fa. Il generale Amir Ali Hajizadeh, comandante della divisione aerospaziale dei Guardiani della rivoluzione, ha affermato infatti che nelle proteste contro il regime sono morte oltre 300 persone, tra le quali diversi uomini delle forze di sicurezza.
La situazione nelle carceri
Esperti delle Nazioni Unite hanno esortato l'Iran a rilasciare un attivista che si trova in prigione in quanto affetto da un grave tumore e hanno allo stesso tempo espresso preoccupazione per il destino di decine di persone arrestate durante le proteste delle ultime settimane. L'uomo si chiama Arash Sadeghi. Detenuto anni fa, è stato nuovamente arrestato a ottobre "per motivi sconosciuti e posto in detenzione a tempo indeterminato", come affermato dall'ufficio per i diritti delle Nazioni Unite.
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