L’Ucraina e il dramma delle mine
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Le autorità ucraine stimano che circa il 50 per cento del territorio del Paese (circa 300.000 chilometri quadrati) sia stato colpito da azioni militari che hanno messo ad alto rischio di esposizione a mine, esplosivi e munizioni inesplose i civili che tornano nelle aree non più occupate. Si intensifica l’impegno delle istituzioni ucraine e delle agenzie internazionali per assicurare operazioni di bonifica, ma gli scenari di combattimenti e ritirate sono in continua evoluzione e si moltiplicano i rischi. Gli intensi scontri continuano in prima linea nell'est del Paese, mentre le forze ucraine cercano di liberare la penisola di Kinburn, tra il fiume Dnepr e il Mar Nero. La punta della penisola ancora occupata dai russi consente l'accesso sia a Kherson che a Mykolaiv. Si tratta, dunque, di località assolutamente strategiche per entrambi gli eserciti. In ogni caso, la stima del tempo necessario per bonificare un territorio come quello ucraino, in assenza di combattimenti, sarebbe di 5-7 anni almeno.
Un impegno capillare
Progetti di rimozione delle mine e di educazione al rischio che comportano sono sempre più frequenti in Ucraina. Dall’inizio dell’invasione russa, nel Paese sono stati neutralizzati quasi 114.000 ordigni esplosivi, comprese quasi 2000 bombe aeree, su un’area di oltre 22.000 ettari. Su 300.000 metri quadrati di aree che necessitano di sminamento, 19.000 riguardano l’area idrica di bacini, fiumi e mari. Ma gli esplosivi possono essere trovati ovunque, non solo nei campi, nelle strade o nei cortili delle case private, ma anche nei mobili e persino nei giocattoli dei bambini. Il governo di Kyiv ha fatto sapere di aver istituito il Centro internazionale per lo sminamento umanitario con lo scopo, in particolare, di gestire l’assistenza internazionale: professionale, tecnica e finanziaria. Sembra che circa 20 organizzazioni straniere abbiano già risposto e stiano ottenendo la certificazione per lavorare in Ucraina.
Allarme mine già dal 2014
Non si può dimenticare che il problema delle mine era emerso già negli anni di conflitto nell’est dell’Ucraina a partire dal 2014, che hanno preceduto l’invasione russa a febbraio dell’anno scorso, come ricorda Giuseppe Schiavello, direttore della onlus Campagna italiana contro le mine:
Schiavello ricorda che negli otto anni di conflitto prima dell’invasione è stata pubblicata tanta documentazione relativa all’uso delle mine o delle bombe a grappolo, oltre a reportage giornalistici. Precisa però che l’evoluzione degli eventi non ha permesso di fare luce. Nella maggior parte dei casi si tratta di materiali attribuiti ai russi, ma c’è stato – ricorda Schiavello – un caso riportato dal New York Times di bombe a grappoli che potrebbero essere attribuite a forze ucraine.
Diversi ordigni diversi trattati
Bisogna distinguere tra mine e bombe a grappolo, avverte Schiavello. È importante farlo per capire l’adesione o meno alle diverse intese internazionali. Parla di passi in avanti ricordando che sono state firmate due intese che riguardano mine e ordigni inesplosi. Si tratta – ricorda – della Convenzione contro le mine antipersona firmata a Ottawa nel 1999 e sottoscritta ad oggi da 164 Stati, tra cui l’Ucraina ma non la Russia. E c’è poi la convenzione ONU sulle bombe a grappolo (cluster bomb), che proibisce – precisa Schiavello - l'uso di tali armi esplosive il cui effetto è la dispersione su una certa area di submunizioni (bomblets). Questa convenzione è entrata in vigore il 1º agosto 2010 ed è stata ratificata ad oggi da circa 100 Stati, ma tra questi non ci sono né l’Ucraina né la Russia.
Civili “cittadini del mondo”
Secondo il direttore della Campagna italiana contro le mine, se si considera il dramma di questo tipo di ordigni in particolare, bisognerebbe guardare ai civili senza definizioni di nazionalità. Schiavello suggerisce di parlare dei civili in tempo di guerra come di “cittadini del mondo”, di fronte alla priorità assoluta di salvare vite umane innocenti. A proposito di difesa del valore della vita umana e di contrasto a ogni logica di guerra e in particolare all’uso di ordigni che colpiscono innanzitutto i civili, Schiavello ricorda l’importanza degli appelli del Papa, che risvegliano le coscienze, e il ruolo che la Santa Sede ha svolto affinché a livello internazionale si arrivasse alle intese che ne prevedono la messa al bando.
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