Fede nel braccio della morte, l’attesa dell’esecuzione
di Dale S. Recinella
“Ho ascoltato la tua intervista su Radio Vaticana da Roma attraverso la radio inglese”, la persona che parla è un amico conosciuto in chiesa, che non è entusiasta del mio volontariato con i condannati a morte o dei nostri sforzi per diffondere l’insegnamento della Chiesa Cattolica che condanna l’uso della pena di morte. “Allora, cos’è tutto questo chiasso riguardo alla veglia in attesa della morte? E, comunque, cosa diavolo è la veglia in attesa della morte?”
“Di fatto, la veglia in attesa della morte è un argomento che ti è molto familiare, solo non te ne rendi conto.” Rispondo gentilmente, sapendo che il mio amico dovrà affrontare una battaglia interiore tremenda con questa realtà. “Leggiamo di questa veglia ogni anno il Giovedì e il Venerdì Santo. L’hai letta e ascoltata ogni anno dal momento che la Passione di Gesù Cristo è celebrata e commemorata nelle nostre funzioni religiose in chiesa.”
“Per esempio…?”
“Prendi il Vangelo secondo Matteo. Gesù va con i Suoi discepoli, dopo l’Ultima Cena, a pregare nell’Orto del Getsemani. Sa che Giuda Lo ha tradito ed è andato a cercare gli uomini che Lo cattureranno e Lo consegneranno all’esecuzione. La Scrittura ci dice che:
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: ‘Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare’. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: ‘La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me’. (Matteo 26:36-38)
“Quell’angoscia quando sta per morire e la richiesta che qualcuno che Gli vuole bene sia lì con Lui e vegli con Lui, quella è la veglia di Gesù in attesa della morte. Quella è la Sua richiesta di essere accompagnato da coloro che Lo amano mentre si prepara ad affrontare la Sua esecuzione.
“Però la veglia in attesa della morte è dura, e i discepoli di Gesù non ce la fanno. Matteo non ci dice perché accadde, ma i discepoli si addormentarono. Forse perché avevano appena mangiato un pasto sostanzioso ed erano stanchi, oppure perché coloro che vegliano con un condannato provano a loro volta una tremenda angoscia che li scuote. Matteo non ce lo dice. Ci dice però la risposta di Gesù al loro venir meno:
Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: ‘Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole’. (Matteo 26:40-41)
“Allora si allontanò e pregò ancora, ma i Suoi amici non erano davvero all’altezza del compito. Li ritrovò addormentati, proprio come prima. Allora si spostò e pregò una terza volta da solo.
Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: ‘Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora…’ (Matteo 26:45)
“L’autore del Vangelo di Luca, che si ritiene fosse un medico, riporta in dettaglio la sofferenza fisica che documenta la profondità del trauma emotivo e fisico di Gesù durante la Sua veglia in attesa della morte:
In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: ‘Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione’. (Luca 22:44-46)
“Il fenomeno di sudare sangue, l’ematidrosi, si ritiene avvenga in dipendenza di stress così acuto che i capillari si rompono e rilasciano sangue nelle ghiandole sudoripare, facendo sì che la persona sofferente sudi acqua mista a sangue. Tale era la profondità del dolore di Gesù durante la Sua veglia in attesa della morte.
“E Luca, che in qualità di medico probabilmente conosceva bene i sintomi di questo trauma secondario, ci racconta dell’incapacità dei discepoli di trattenersi dal venir meno. Basandoci sulla nostra medicina moderna, ciò potrebbe essere motivato dal loro trauma emotivo in presenza dell’agonia di Gesù. Questa è la veglia in attesa della morte di allora e di adesso. Non è molto cambiata.”
“Come osi bestemmiare Cristo confrontando la Sua agonia nell’Orto con i problemi che nella casa della morte può avere uno stupratore di bambini, l’assassino di un poliziotto, o l’autore di una strage…”, il mio amico è paonazzo di rabbia. “Come osi! Chi ti credi di essere?”
“Non è un’idea mia”, spiego sollevando le mani aperte come se mi stessi arrendendo a una forza inesorabile. “Non è un’idea mia. E’ un’idea Sua.”
“Di chi? L’idea di chi? L’idea del criminale?”
“No. Di Gesù. È l’idea di Gesù.”
“In nome di Dio, di cosa stai parlando? Da dove prendi queste storie?”
“Da Gesù. Lui ha detto molto chiaramente che quando veglio in attesa della morte di uno degli ultimi dei Suoi fratelli, io sto vegliando con Lui – proprio come i discepoli nel Getsemani. Lui ha detto:
‘Ero carcerato e siete venuti a trovarmi. … In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.’ (Matteo 25:36-40)
“No. No. No!” il mio amico è sconvolto dall’ira. “Gesù parlava solo degli innocenti in prigione. Non intendeva assolutamente dire che noi dovremmo fari visita ai detenuti colpevoli.”
“Amico mio, verifica sulla tua Bibbia. Gesù non ha mai affermato che la Sua dichiarazione riguarda solo gli innocenti in carcere. Infatti, Papa Giovanni Paolo I, quando era il Patriarca di Venezia Albino Luciani, confermò in modo lampante questo punto quando descrisse la sua visita al cosiddetto mostro di Marsala in un carcere italiano. Descrivendo la sua visita pastorale al detenuto odiato e disprezzato che aveva ucciso brutalmente tre bambine piccole, il Patriarca, futuro Papa, disse:
‘Andando a fargli visita, non potrò chiamarlo ‘Mostro’, ma dovrò trattarlo come se fosse Cristo, anche se è colpevole. ‘Ogni volta che fate visita un carcerato, voi fate visita a Me!’ L’amore per il mio prossimo, perfino se mi avesse fatto del male, perfino se fosse mio nemico, arriva a compiere anche questo…. Questo è il vero significato di essere Cristiani e di praticare la fratellanza.’[i]
Il mio caro amico sta farfugliando. Non riesce a formare le parole per rispondermi, tanto forte è la sua reazione emotiva. Sento il bisogno di prendere le distanze dalla mia risposta.
“Non è una mia idea, amico.” Muovo le mani con un gesto carezzevole, come per placare la rabbia del mio amico smorzandola. “È un'idea di Gesù. E poiché sono cristiano, qualunque cosa Lui dica va bene”.
Il mio amico sembra intuire l’immensità di questo incarico. Ci guardiamo sospirando con il capo chino mentre lui sussurra appena: “Nulla è impossibile con l’aiuto di Dio… vero?”
“E’ ciò che dice la Parola di Dio.”
Ma continuo impulsivamente a chiarire che questo compito non è stato deciso da me. "Anche se non è impossibile, ciò non significa che sia facile... o che qualcun altro penserà che sia una buona idea."
[i] Vescovo Robert J. Baker e Padre Benedict J. Groeschel, C.F.R., When Did We See You, Lord? (Huntington, IN: Our Sunday Visitor, 2005), 165.
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