L’Ordine al Merito della Repubblica premia l’economia carceraria
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Quest’anno le onorificenze al Merito della Repubblica Italiana, conferite a cittadini particolarmente meritevoli, hanno il profumo fragrante del caffè appena tostato e i colori vivaci dei tessuti rigenerati ai quali è stata data una seconda vita. In effetti, è proprio questa la parola chiave di storie del genere: dare una seconda opportunità, a prodotti e persone. Per molte di queste persone in verità è stata l’unica opportunità mai avuta, ma l’hanno saputa cogliere al volo.
Donne per le donne, con un occhio di riguardo alla fragilità
Il 31 marzo si presenteranno, dunque, al cospetto del Presidente Mattarella Immacolata Carpiniello, che nel 2010 ha aperto la prima torrefazione completamente rosa nel carcere femminile di Pozzuoli, Napoli, e ora diventa Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica; e Luciana Delle Donne, che nel 2007 ha fondato il marchio Made in Carcere, abbigliamento e accessori confezionati nei principali istituti di pena pugliesi, e ora sarà insignita del titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. “Una vittoria collettiva”, la definisce Carpiniello dedicandola a tutte le donne che sono passate per la torrefazione. “Una vittoria del buon senso che recupera stoffe e persone”, è l’emozione espressa da Delle Donne alla vigilia di questo grande evento.
Immacolata Carpiniello e quelle donne che possono fare tutto
Sono passati dieci anni da quell’idea, già di per sé un po’ audace: aprire una torrefazione nella Casa circondariale femminile di Pozzuoli, a Napoli, dove il caffè è un’istituzione, ma è anche appannaggio totalmente maschile: “Abbiamo iniziato allora ad abbattere il pregiudizio di una professione che era riservata agli uomini, inventando la figura della ‘mastra torrefattrice’ – ricorda Immacolata Carpiniello – e questo dimostra che le donne, anche quelle in difficoltà, possono fare tutto”. L’idea era chiara: proporre un prodotto che fosse equo, garantito, e buono e che queste tre caratteristiche fossero i motivi per comprarlo; per questo le Lazzarelle – è il nome scelto per l’impresa – si riforniscono solo di miscele pregiate da piccoli produttori. Una volta a Pozzuoli, il caffè viene tostato nella torrefazione interna al carcere chiudendo così un cerchio virtuoso di economia sociale. “Le donne sono coinvolte in tutti i processi, dall’inizio alla fine – continua – ed è giusto così perché dobbiamo combattere l’infantilizzazione del carcere, che senza lavoro deresponsabilizza e nuoce. Il lavoro è la chiave: tutte le donne che ho conosciuto ‘dentro’ non ci sarebbero mai finite se avessero avuto un percorso diverso a partire da quello scolastico e lavorativo”. E siccome la follia, quella sana, quella buona che fa realizzare i sogni, a Pozzuoli abbonda, Immacolata e le sue Lazzarelle non si sono fermate: oltre a vendere caffè fanno catering, bomboniere e hanno perfino aperto, in piena pandemia – parliamo del luglio 2020 – un bistrot nella splendida cornice della Galleria Principe a Napoli: “Sentivamo la necessità di aprirci verso l’esterno, anche per coinvolgere sempre più detenute – conclude Carpiniello – ci piacerebbe proprio che il Presidente Mattarella venisse a Napoli a prendersi un caffè da noi”.
Luciana Delle Donne e la filosofia della “seconda chance”
La storia di “Made in Carcere” ha dello straordinario perché parte dalla storia di una fondatrice straordinaria: Luciana Delle Donne nella sua vecchia vita era un dirigente di banca, creatrice agli albori di internet della prima banca on line. Poi in lei è scattato qualcosa. “Ho smesso di occuparmi di Pil e ho inventato il Bil, il benessere interno lordo che non guarda al profitto, ma comprende una serie di valori che Made in Carcere veicola sotto traccia – spiega in tono scherzoso – il nostro è un modello di economia riparativa e rigenerativa di cose e persone che chiunque può replicare, per questo è vincente”. Inizia tutto con la filosofia della seconda opportunità, infatti, in cui Luciana crede fermamente perché l’ha data prima di tutto a se stessa: “Credo nel rispetto della diversità e nella possibilità di crescita personale; la valorizzazione è la vera competitività”. Così sono iniziati ad arrivare i primi tessuti, catalogati e smistati prima negli istituti di pena di Lecce, Taranto, Bari e Matera e oggi anche in diverse sartorie sociali sparse in tutta Italia, dove vengono riutilizzati per fare borse, portafogli, abiti, accessori per la scuola e gadget, fino a quei variopinti braccialetti che Luciana ha fatto indossare a Papa Francesco e ora vorrebbe portare anche al Presidente Mattarella: “In regalo, però, gli porteremo il nostro kit: uno zaino pieno di strumenti per ricostruire una vita”. E sono progetti di vita, infatti, più che prodotti, quelli che vende Made in Carcere, una realtà che ha saputo mettersi anche a servizio della comunità durante i mesi più difficili della pandemia, realizzando mascherine per senzatetto, contadini e detenuti stessi, in un periodo in cui erano pressoché introvabili: “Ne abbiamo fatte oltre diecimila – ricorda Delle Donne – ma per noi è stato naturale: solo così si genera un cambiamento sistemico nella società… sarà per questo che ci chiamano i Montessori degli adulti?”.
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