Cesare Zavattini tra Italia e Cuba, l'eredità di un maestro di cinema
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Scorrere le pagine di Cesare Zavattini e l’eredità culturale tra Italia e Cuba, tuffare gli occhi nelle foto e nei fotogrammi in bianco e nero che accompagnano i saggi sull’opera dello sceneggiatore dà la sensazione di avere tra le mani la storia del Neorealismo, del Cinema. Il libro è stato presentato lo scorso 29 marzo in Campidoglio e una significativa coincidenza ha fatto da cornice all’incontro. Mentre il curatore del volume e presidente del Centro Internazionale di Ricerca Catholicism and Audiovisual Studies, monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia della Scienze, raccontava insieme ad altri relatori l’opera e l’importanza di Cesare Zavattini anche per l’ispirazione offerta al cinema cubano, a poca distanza, sempre in Campidoglio, la città salutava un altro grande intellettuale, amante di Cuba: il giornalista Gianni Minà. L’emozione di questa circostanza ha attraversato gli interventi dei relatori e la partecipazione del pubblico.
Occhi di poeta sulla realtà
Basta citare titoli come I bambini ci guardano, Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D., La ciociara, frutto del sodalizio con Vittorio De Sica, per comprendere la portata del ruolo di Cesare Zavattini e della sua rivoluzione nella Settima arte. Le sue sceneggiature hanno permesso a registi come Luchino Visconti, Giuseppe De Santis, Luciano Emmer, Alessandro Blasetti, Alberto Lattuada, e l’elenco potrebbe continuare, di creare pietre miliari di quel Cinema italiano cui ancora guardano molti registi nel mondo.
L’eredità culturale e il rapporto con Cuba
Zavattini lascia un patrimonio culturale di valore unico. Monsignor Viganò osserva che l’eredità dello sceneggiatore è molto complessa e che si pubblica un ulteriore libro su questo artista, perché le discipline accademiche si sono trasformate e oggi c’è un punto di vista poliedrico sulla sua figura e la sua opera. Aggiunge il curatore: “Il rapporto con Cuba è segnato da tre grandi viaggi: nel 1953, nel 1956 e nel biennio 1959-60, dopo cui Zavattini torna in Italia per scrivere la sceneggiatura della Ciociara. Un rapporto molto intenso quello che si è instaurato tra Zavattini e i giovani autori cubani, come forte è la vicinanza tra il Neorealismo dell’autore e la società cubana di quegli anni”. Monsignor Viganò parla di “catechesi di umanità” e alla domanda su quale sia il fascino esercitato dallo sceneggiatore sui giovani registi cubani, asserisce: “La capacità di uno sguardo che pur mostrando il reale, denunciando le sue problematiche, la povertà, era sempre aperto alla speranza. Questo non vuol dire che tutto si traducesse in una sceneggiatura a lieto fine, ma significa che quello sguardo era capace di restituire dignità. Penso ad esempio a dei protagonisti che per lui furono speciali, i bambini, e a quanto lui pensasse che l’immagine avesse anche un dovere pedagogico”.
Un autore della modernità
Tra i molti intervenuti alla presentazione del libro, il regista Mimmo Calopresti ha sottolineato il binomio umanità e modernità che caratterizza Zavattini, testimone di un Neorealismo immerso nella società italiana e in dialogo con le difficoltà e le speranze vissute dal Paese. Afferma Calopresti: “Zavattini ha portato il nostro cinema nella modernità. È veramente il cantore del nuovo cinema italiano nel Dopoguerra. La cosa più importante è che Zavattini è moderno anche oggi. Ci sono i cambiamenti, le trasformazioni, ma il suo insegnamento permette di raccontare il futuro e questo momento, perché ci ha insegnato a stare tra le gente, soprattutto a usare come modello di scrittura e di racconto del mondo l’umanità delle persone”. Tra i film cui Calopresti si sente più legato, anche come regista, Miracolo a Milano: “È un film che ha la capacità di raccontare il mondo nel suo divenire. Tutto è molto reale, ma improvvisamente diventa fantastico. Forse abbiamo bisogno di miracoli nella vita e lui li faceva accadere”.
Un archivio d’immagini e una grande scuola
Il volume, pubblicato da Magale edizioni in italiano e spagnolo, è stato realizzato anche grazie all’impegno comune di tre istituzioni, il già citato CAST - Catholicism and Audiovisual Studies presso l’Università UniNettuno, il CSC - Centro Sperimentale di Cinematografia e l’ICAIC Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos. Marta Donzelli, presidente della fondazione CSC, ha sottolineato l’importanza, anche pedagogica, dell’opera di Zavattini, tra gli autori fondamentali nell’insegnamento del CSC. Importante anche l’apporto al volume dato dall’altra anima del Centro Sperimentale, la Cineteca Nazionale, che ha fornito moltissime immagini, arricchendo la narrazione dell’imprescindibile elemento iconografico, anche in relazione al rapporto di Zavattini con Cuba. E sull’importanza dello sceneggiatore per le nuove generazioni in formazione al CSC, Donzelli richiama un particolare aspetto: “La capacità di raccontare l’essere umano in maniera semplice ma profonda, credo fosse una delle caratteristiche dell’autore, che nel suo sodalizio con De Sica ha trovato l’espressione migliore”.
La porta del cielo: Zavattini e l’“evangelismo laico”
Tra i saggi presentati, quello di Anastasia Valecce dello Spelman College di Atlanta, in collegamento, Neorealismo “alla cubana”: Reyna y Rey come traduzione visuale di Umberto D. ha offerto un esempio concreto dell’influenza dello sceneggiatore sul cinema cubano, influenza che si estende più in generale al cinema centro e sudamericano.
Di particolare rilievo l’intervento, e il saggio, di Gianluca della Maggiore, direttore del CAST e docente di UniNettuno, autore del contributo Zavattini, Roma in guerra e La porta del cielo. Il ricercatore ripercorre l’avventurosa storia di questa pellicola del 1945, a torto dimenticata e considerata minore, ma tornata in evidenza di recente grazie a un sapiente restauro. Spiega della Maggiore: “Zavattini ha partecipato alla sceneggiatura de La porta del cielo, dove emerge in maniera forte il contrasto tra una produzione che era voluta in quel momento da una figura come quella del dirigente cattolico Luigi Gedda, allora presidente del CCC - Centro Cattolico Cinematografico, uomo della mobilitazione delle masse attorno a Pio XII, negli anni della chiesa dei comitati civici, e, dall’altra parte, il tipo di sguardo cinematografico di Zavattini, che potremmo definire come un evangelismo laico, perché nel Dopoguerra, e anche in questo film, voluto dalla casa di produzione Orbis, quindi dall’Azione Cattolica, emerge lo sguardo del cantore dei poveri, dei matti, degli innocenti del Neorealismo. Questa è la cifra che Zavattini trasporta anche nel suo rapporto con i cattolici”.
Un volume corale
La presentazione, moderata dalla giornalista Maria Rosaria Gianni, aperta dall’Assessore alla Cultura di Roma Miguel Gotor e dalla Presidente XI Commissione Consiliare - Scuola del Comune di Roma Carla Consuelo Fermariello, ha dato conto della coralità del volume curato da monsignor Viganò, un’opera che oltre alla coedizione di CAST, CSC e ICAIC, ha visto il sostegno della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del MIC e si inscrive nelle iniziative di Orizzonti Italia - Cuba. Il maestro del Cinema italiano è raccontato in questo volume, oltre che dagli autori già menzionati, anche da Orion Caldiron, ordinario di Storia e critica del cinema all’università Sapienza di Roma, Luciano Castillo Rodriguez, Direttore della Cineteca di Cuba - ICAIC, Gualtiero De Santi, critico letterario e cinematografico, già docente dell’Università di Urbino, Rosanna Scatamacchia, docente di UniNettuno, Simone Terzi, direttore della Fondazione Un Paese e coordinatore del Centro Cuturale Zavattini.
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