Mafia, il giurista Elia Minari incontra i detenuti: la legalità conviene
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Abbandonare la retorica e il moralismo; affrontare il tema che ha a cuore più di tutti – la legalità – in modo semplice e diretto, che è poi l’unico che si può adottare davanti a un pubblico di ristretti: con questi obiettivi il giurista reggiano Elia Minari ha incontrato qualche giorno fa una sessantina di detenuti della casa circondariale di Modena nell’ambito della presentazione della mostra “Artisti dietro le sbarre. Una fuga per la legalità” nel corso della quale i detenuti artisti gli hanno donato l’opera “Guardare la mafia negli occhi”, titolo tratto dall’omonimo libro inchiesta di Minari pubblicato nel 2017.
Migliorare se stessi: un dovere “dentro” e “fuori”
Si parte dalle cose semplici per capire le grandi verità: “Ho cercato di far capire a queste persone che la legalità conviene a tutti, è delinquere che non conviene – riferisce Minari a Vatican News – e ho cercato di spiegare i danni che le mafie, al nord come al sud, arrecano all’economia italiana, ai lavoratori che vengono sfruttati e all’ambiente che viene sporcato. Ognuno di noi può fare qualcosa: migliorando se stessi, mettendosi in discussione si migliora la società; il mio modo per farlo è iniziato con queste inchieste nel 2009 e anche se è stata dura scoprire certe cose, è anche stato utile”. Le inchieste condotte da Elia Minari a partire dal 2009 sono servite, infatti, a denunciare le infiltrazioni della ’ndrangheta nel nord Italia e sono state utilizzate in almeno cinque indagini e citate nel maxi processo “Aemilia”, ad ora il più grande mai realizzato al nord che ha condotto, tra l’altro, allo scioglimento del Comune di Brescello.
La giustizia: un concetto enorme e spesso frainteso
Anche la giustizia è un tema da approfondire con i detenuti: “Spesso loro vedono il sistema giudiziario da una parte sola, quella che li ha condannati, invece il concetto è naturalmente molto più alto e meritevole di essere approfondito – continua Minari – ad esempio va considerato il tema dell’investimento su se stessi, in formazione e lavoro, che i detenuti possono fare già all’interno del carcere e che ci fa tornare alla questione del migliorarsi, ma anche dell’immaginare un mondo oltre le sbarre, un mondo possibile e anche, perché no, più giusto, da costruire e in cui vivere in futuro”.
Guardare la mafia negli occhi: un dovere che fa male al cuore
Da ottobre scorso Elia Minari, a causa del suo lavoro, vive sotto protezione: “È stata disposta questa misura per la mia sicurezza in seguito a un’intercettazione in carcere – racconta – per questo l’incontro con i detenuti è stato ancora più commovente e la mia testimonianza in questo contesto l’ho sentita come un dovere, urgente, per far capire che comunque il mio lavoro prosegue”. Minari nel 2009 ha fondato anche un’associazione, Cortocircuito, attiva nel territorio di Reggio Emilia ma non solo, che si occupa di sradicare la cultura mafiosa e proporre un’alternativa. Il giurista, in questi ultimi anni, ha ricevuto diversi riconoscimenti importanti, tra cui ricordiamo il primo e l’ultimo in ordine cronologico: nel 2014 il Premio Scomodo conferitogli dall’allora Presidente del Senato Pietro Grasso in occasione del 20.mo Vertice Nazionale Antimafia, nell’ottobre 2022 in Calabria, infine, ha ricevuto il premio intitolato al giornalista Peppino Impastato ucciso da Cosa Nostra, e al politico Giuseppe Valarioti ucciso dalla ‘ndrangheta.
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