Naufragio a Cutro, il numero delle vittime sale a 66. Save the Children: grande dolore
Michele Raviart - Città del Vaticano
Sono andate avanti anche questa notte le operazioni di ricerca a Steccato di Cutro, dove domenica è affondato un barcone che trasportava almeno 180 persone. Sono 66, al momento, le vittime accertate del naufragio, l’ultima delle quali è quella di un bambino di 5-6 anni. Le salme al momento identificate sono 28, la maggior parte dei morti è di origine afghana. Da poche ore è stata aperta la camera ardente al Palazzetto dello sport di Crotone.
Zuppi: avevano il diritto di essere accolti
Intanto sembra ormai certo intanto che dalla barca non sarebbe arrivato alcun Sos, mentre Frontex non avrebbe lanciato un allarme, ma un avvertimento di un possibile passaggio di clandestini, cosa che non avrebbe dato origine, a quel punto, alle operazioni di soccorso e ritardato l’intervento della Guardia Costiera. Alle tante voci di dolore per la morte di così tanti innocenti si aggiunge quella del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana: “Scappavano da una guerra, avevano il diritto di essere accolti”.
Oltre sessanta i superstiti
I sopravvissuti, intanto sono una sessantina, tra cui una decina di minori, provenienti principalmente dall’Afghanistan e qualcuno da Pakistan, Somalia e Siria. “Sono i luoghi più difficili al mondo in cui essere bambini”, spiega Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save The Children, una delle associazioni che sta aiutando i superstiti al Cara di Crotone. "La situazione come si può immaginare è molto difficile”, dice Di Benedetto, intervenuta questa mattina a Radio Vaticana con Voi. “C’è un grandissimo dolore perché erano tutti nuclei famigliari su quel barcone. Ognuno ha perso qualche persona cara, chi l’intera famiglia chi un fratello, un padre o una madre. C’è un grandissimo dolore”.
Superare il dolore con il disegno
Alcuni bambini hanno provato a superare questo dolore giocando con gli operatori e gli adulti o disegnando. Molti non lo facevano da due anni. “Non siamo noi a raccontare quanto è avvenuto”, continua la portavoce di Save The Children. “Aspettiamo in attesa dei loro tempi e che siano loro ad elaborare il loro vissuto, perché c’è chi desidera di non parlare per il dolore, chi si chiude e non vuole partecipare neanche alle attività. Altri, soprattutto adulti, hanno raccontato il naufragio attraverso i disegni. Non siamo noi a imporre o a fare domande in questo momento di grande delicatezza perché hanno tutti una grande sofferenza emotiva e uno shock. Aspettiamo che siano loro ad avvicinarsi a noi”.
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