Cutro, la spiaggia del dolore. Il pescatore Vincenzo: “Penso ai bambini e non dormo più"
Salvatore Cernuzio – Inviato a Crotone
“Là, là, dove c’è quella cosa nera”. Vincenzo indica un punto a destra della spiaggia di Steccato di Cutro: alle 6.30 di questa mattina è stato ritrovato il corpo di un bambino di 2 anni e mezzo, avvistato a pochi metri dalla riva. “Aveva la testa gonfia... Adesso i corpi sono tutti sfigurati, si fa ancora più fatica a recuperarli. Sono in condizioni che è meglio non dire”. Il piccolo era in acqua da domenica scorsa, da quando è avvenuta la tragedia che ha sconvolto la città di Crotone, la Calabria, l’Italia, il mondo: il naufragio di un barcone proveniente dalla Turchia che si è andato a sfracellare su una secca, buttando a mare circa 180 persone mentre le acque erano agitate e le onde raggiungevano anche i quattro metri. “La barca sembrava finita in una lavatrice. Pezzi su pezzi, tavole distrutte”, raccontano i testimoni.
Sessantanove i morti ritrovati finora con il bimbo riemerso in mattinata dallo Ionio, divenuti poche ore dopo 70 con il recupero del corpo di un altro bambino, dall'età apparente di 12-13 anni, su una spiaggia della vicina Botricello. Si presume che i dispersi siano oltre una quarantina, forse incagliati negli scogli al lato opposto del punto del naufragio. Il vento e la pioggia fina ma battente che da ieri ha intorpidito l’acqua stanno ostacolando il lavoro di sommozzatori e Protezione Civile.
La testimonianza di Vincenzo
Vincenzio Luciani, 50 anni, pescatore, era presente oggi al nuovo ritrovamento. C’era anche all’alba del 26 febbraio, il momento più drammatico quando le onde hanno iniziato a restituire cadaveri. “Stavo dormendo e mi è arrivata la telefonata di un amico che mi dice: ‘Vincé, corri, sento delle urla, non so cosa sta succedendo!’. Abito vicino, mi sono vestito e dopo cinque minuti ero qui. Quando sono arrivato ho visto delle immagini paurose ma non ho avuto tempo di pensare a niente perché mi sono buttato in acqua a prendere i corpi. Pensavo che erano vivi ma erano tutti morti. C’era il mare forte, facevo fatica a prenderli perché la risacca li riportava di nuovo indietro. Li portavo sulla spiaggia e il mare se lì riprendeva… Una fatica immane”.
Il bambino che non è riuscito a salvare
Il pescatore si stropiccia gli occhi azzurri arrossati dal poco sonno e dalla salsedine: “Più alzavo la testa e più sulla spiaggia vedevo una distesa di cadaveri”, racconta, “anche bambini”. E l’immagine di un bambino lo ha così scioccato da avergli levato il sonno e l’appetito da giorni, come dice: “Era piccolo, l’ho preso in acqua in braccio, aveva gli occhi aperti, sembrava che mi guardasse. Ho gridato: questo è vivo, questo lo salviamo! Invece quando l’ho messo a riva, ho visto che non respirava più e gli ho chiuso gli occhi. È una settimana che non riesco a dimenticare quella scena”.
Scenario spettrale
Da quel giorno il pescatore vive praticamente sulla spiaggia, dove lo scenario, dopo una settimana dal naufragio, è ancora spettrale. Quasi di guerra. Ci sono scarpe - spaiate, distrutte, impregnate di sabbia, oppure sistemate sotto una croce accroccata con due canne di legno e un filo d’acciaio – lungo tutta la costa. Poi calzini, pacchi di crackers, un giubbotto salvagente, un flacone di medicine, una lattina di Red Bull, un mazzo di mimose sistemato sotto un pezzo della fiancata del barcone, forse a voler celebrare l’8 marzo che le donne annegate non potranno festeggiare. Nessuno ha toccato niente da domenica, la spiaggia è rimasta cristallizzata in quell’ora di morte e disperazione. E non sono pochi i crotonesi che, nonostante il maltempo e le strade quasi inagibili per le buche e il fango, vi si stanno recando quasi come in un pellegrinaggio in questo luogo ribattezzato la "spiaggia del dolore". Molti hanno partecipato ieri sera alla Via Crucis organizzata dall’Arcidiocesi di Crotone nel locale Duomo, scandita da meditazioni tratte dalle parole di Papa Francesco sulle migrazioni. Un'altra Via Crucis si terrà domani, 5 marzo, lungo la stessa spiaggia con il titolo "Con Cristo tra i migranti dinanzi all'indifferenza del potenti".
Ricerche continue dei dispersi
Vincenzo non partecipa a niente, rimane fermo lì sulla spiaggia. Si ripara dal freddo dentro la sua Nissan bianca. È l’unica macchina quasi a riva, le altre vetture di Polizia municipale, Protezione civile, Misericordie sono parcheggiate dietro, a fianco al tendone blu del Centro mobile per il pronto intervento. Lui vuole stare fisso a monitorare giorno e notte le ricerche dei dispersi insieme a operatori e volontari. Uno di questi è con i piedi in acqua e un binocolo: “Magari qualche onda ci restituisce qualcos’altro”, commenta amaro. Ogni ombra mette in moto le squadre sul posto.
La promessa ad una mamma
Un ritmo continuo che procede da giorni: “Siamo qui dalle 4, dovevamo staccare stamattina ma andiamo avanti”, racconta un volontario. “Ricerche, ricerche, ricerche: questo si fa dalla mattina alla sera. Anche di notte”, spiega ancora Vincenzo. “Io mi sono attrezzato con un faro, è un dovere cercare”. È un dovere verso gente come la donna afghana andata ieri in spiaggia a supplicare il pescatore di ritrovare il corpo del figlio. “Mi è dispiaciuto davvero... Mi ha preso dal braccio e mi ha detto con la traduzione del telefono: ‘Per favore, trovi mio figlio!’. Ne aveva altri due: uno è morto, l’altro disperso. Io ho promesso che ce la metto tutta”.
Perché? “L’ho promesso a questa mamma, l’ho promesso anche ad un fratello venuto ieri dalla Francia. Mi ha mandato una foto e il suo numero e mi ha detto: 'Per favore, se trova questa persona mi chiami'. L’ho promesso anche a me stesso, come si fa a lasciarli in mare? Io non riesco a dormirci la notte”.
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