A Brescia una pizza al "gusto" di rinascita
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Il profumo è quello del lavoro sano, fatto di puntualità, dedizione e, perché no, anche un pizzico di fatica; il gusto è quello della soddisfazione di riprendere in mano la propria vita e poter dire, un giorno, di avercela fatta. È questa la pizza – rigorosamente napoletana – che Ciro Di Maio serve ogni settimana a sette allievi pizzaioli un po’ speciali, cioè i detenuti di casa Canton Mombello: “Lo faccio perché anche loro hanno diritto a una possibilità – racconta a Vatican News – io pure vengo dal nulla, da un contesto di case popolari in cui avevamo poco o niente, ma pian piano ce l’ho fatta”.
La cura per gli altri: eredità del papà che non c’è più
Ma non è solo per questo che Ciro si è rimboccato le maniche e ha deciso di sporcare di farina il grembiule anche in carcere oltre che davanti al suo forno a legna; lo fa per rendere onore alla memoria del padre: “Mio papà in gioventù è stato una testa calda, poi ha incontrato le suore di Madre Teresa di Calcutta e ha iniziato a occuparsi con loro dei ragazzi difficili e dei tossicodipendenti – continua – ora non c’è più, ma è stato lui, con il suo esempio, a insegnarmi l’importanza di prendersi cura dei più fragili”. E per farlo Ciro ha scelto quello che meglio sa fare: la pizza. “Napoletana, mi raccomando – scherza – che va tanto anche a Brescia, ma in realtà va in tutto il mondo, anche per questo per i detenuti imparare a fare i pizzaioli è importante: così non saranno più numeri, magari in un’azienda qualunque, ma saranno padroni di se stessi, avendo una professione da spendere in tutto il mondo”.
Il sogno: una rete di pizzaioli per i detenuti
E infatti molti ristretti in più dei sette posti disponibili per il corso di Ciro, ne avevano fatto richiesta: “Ora sto valutando due giovani, un bresciano e un genovese, per il mio locale – ammette – ma naturalmente lo faccio assieme agli operatori del carcere che li conoscono meglio”. L’idea di Ciro, infatti, non si ferma qui: vorrebbe fare rete con gli altri esercenti della città non solo, per creare un sistema stabile di inserimento lavorativo per i ragazzi che escono, perciò lancia un appello accorato ai suoi colleghi: “Il problema della carenza di personale nel settore della ristorazione è una realtà da tempo e questo sarebbe anche un modo per risolverlo – afferma – io mi metto a disposizione, assieme al carcere, per fare da tramite tra questi giovani e le pizzerie. In merito sono già stato contattato da un mio collega di Brescia e da un’associazione di Roma”.
Il lavoro, il dono più grande di dignità e inclusione
L’esperienza di Ciro in carcere è molto positiva e ha contribuito ad abbattere anche qualche pregiudizio, in primo luogo i suoi: “Tutti quelli che stanno dentro hanno voglia di cambiare – è la sua testimonianza – sanno che imparare un lavoro dignitoso per poi cambiare vita è la cosa giusta da fare”. Non si sente migliore di loro, Ciro, e anche per questo il suo lavoro è molto apprezzato dai ragazzi: “Li guardo negli occhi, vedo i loro sbagli – conclude con la voce imbevuta di commozione – ma sono convinto che debbano avere un’opportunità, che anche per loro che non hanno avuto nella vita la fortuna di avere una famiglia che li guidasse, deve esserci qualcosa di bello là fuori”. Come una pizza che sa di rinascita.
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