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Copertina del libro di Fernando Muraca: "Ho attraversato il fuoco", pubblicato dalle Edizioni Paoline Copertina del libro di Fernando Muraca: "Ho attraversato il fuoco", pubblicato dalle Edizioni Paoline 

"Ho attraversato il fuoco", storia di un abuso e della vita riconquistata

Fernando Muraca racconta con delicatezza, ma senza filtri, il cammino doloroso di una donna vittima di abusi in età infantile. Ispirato a una storia vera, il libro mette in evidenza le conseguenze spesso sottovalutate della violenza sessuale sui bambini e il complesso e lungo cammino che richiede la guarigione in cui fondamentale è l'accompagnamento della vittima. Il messaggio finale è di speranza: insieme possiamo farcela

Adriana Masotti - Radio Vaticana

Il libro di Fernando Muraca, scrittore, sceneggiatore, regista di serie Tv e di opere teatrali, Ho attraversato il fuoco, affronta il tema drammatico, difficile e disturbante, dell’abuso sessuale perpetrato sui bambini. Diletta, la protagonista, che nelle pagine del libro racconta per la prima volta la sua storia, dice: "La vita è misteriosamente invadente con me. Fin da piccola non mi ha mai lasciato troppo in pace". A cominciare dai suoi primi anni, infatti, si susseguono per lei momenti traumatici a causa di diversi episodi di molestie ad opera di uomini che approfittano della sua ingenuità e, come possedessero un radar, vedono in lei una particolare fragilità. 

“Ho conosciuto l'oscurità, il tempo sospeso dell'attesa, il margine degli abissi e l'immensità che avvolge tutte le cose. Ho attraversato il fuoco, sono scampata a un grande pericolo e ho vinto la mia battaglia.”

Ferite che segnano in profondità

Quegli episodi non le impediscono, apparentemente, di fare una vita normale: frequenta una comunità in cui approfondisce la propria fede, completa gli studi, trova lavoro in un’impresa di progettazioni architettoniche. In ogni cosa che fa, però, in ogni momento della sua vita, Diletta è ansiosa, insoddisfatta, incapace di riconoscere ed esprimere i propri sentimenti. Al di là di quegli episodi traumatici, si nasconde qualcosa di ben più potente e indicibile. È un ricordo che sfugge alla memoria, frammentato in immagini vaghe, in sogni oscuri. Un segreto gelosamente custodito dentro una “cassaforte”. Serviranno anni di psicoterapia per scardinarne la serratura: la verità sarà sconvolgente, ma liberante. Ma sarà anche l’incontro della protagonista con il crocifisso, con Gesù abbandonato, che farà nascere nella sua anima una speranza nuova. Quel Gesù abbandonato di cui, nella Messa della Domenica delle Palme, Papa Francesco ha parlato dicendo, tra l’altro, che per noi, per essere sempre al nostro fianco e non lasciarci mai soli “ha provato la situazione a Lui più estranea: la lontananza di Dio”.

"Volevo morire, invece sono qui, viva"

"Per anni - dice la protagonista nell’Epilogo al libro pubblicato dalle Edizioni Paoline - ho desiderato parlare di quanto mi è accaduto, ma non ero pronta. Adesso ho trovato un amico che lo ha fatto per me: ha scritto dopo aver ascoltato con profondità quello che ho vissuto". Sono nate così queste pagine, in cui i ricordi e i sentimenti di Diletta sono presentati con una delicatezza che avvolge anche i tratti più ruvidi della sua storia. Il messaggio che ne deriva, pur nel dramma, è di speranza come se Diletta dicesse ad un altra persona nelle sue condizioni: "Vieni, puoi farcela anche tu". È quanto conferma ai microfoni di Vatican News, Fernando Muraca sottolineando l'importanza dell'ascolto e dell'accompagnamento di quanti sono dei "sopravvissuti" alla violenza.

Ascolta l'intervista a Fernando Muraca

Fernando Muraca, il suo libro è tratto da una storia vera, quella di una persona che ha subito un abuso in età infantile le cui conseguenze segnano profondamente la sua esistenza. Ed è questo forse, ciò che più mi ha colpito: capire quanto è profonda una simile ferita. Voglio dire che nella nostra società, nella nostra cultura c’è ancora una sottovalutazione di ciò che significa l’abuso su un bambino, per non parlare delle correnti di pensiero che vorrebbero addirittura sdoganare la pedofilia...

Grazie di questa domanda. Noi abbiamo ben chiaro adesso, dopo le esperienze degli ultimi anni, che cosa vuol dire pandemia, cioè una malattia, un virus, qualcosa che è molto diffuso nella società e che ne condiziona fortemente l'andamento. Ecco, la pedofilia è un fenomeno sommerso di cui si parla poco, tranne attraverso le notizie di cronaca. Ma quello che accade dentro le mura delle case, nelle scuole, nelle palestre noi lo sottovalutiamo, mentre è in corso come una pandemia in tutto il mondo, perché decine di migliaia di bambini ogni anno vengono violati. Infrangere la loro innocenza distrugge i contorni sia della loro psiche sia delle prospettive future. È come se nella mente l'anima si deformasse e non fosse più in grado di concepire l'essere e di proiettarlo avanti nel tempo verso una vita degna e libera. Il bambino, o la bambina, si spezza e si spezza in una maniera quasi irrimediabile, per cui tutto quello che fa dopo è come condizionato da questo episodio, da quegli episodi che ha vissuto nell'infanzia. Occorrerebbe un'attenzione molto, molto più grande verso questo fenomeno, verso il quale non esistono al momento protocolli di cura. Nessuno Stato è pronto o ha stabilito delle procedure e dei metodi per affrontare il problema, per cui quando ho incontrato la testimone che mi ha raccontato la sua storia, ho subito pensato di rispondere con un'attenzione speciale e di redigere la sua storia in un libro, in un romanzo.

Ci vorranno infatti anni di psicoterapia per la protagonista del libro per andare al fondo del suo dolore e per risollevarsi. Vive all’interno di una comunità che la ama e la stima, ma ha bisogno dell’aiuto di un esperto. Quanto è importante affidarsi ad una figura così in questi casi?

Abbiamo detto che la persona si spezza da tantissimi punti di vista. Una delle cose che si spezza è la sua psiche, perché proprio nell'età evolutiva, cioè nel momento in cui la psiche si sta formando con i suoi punti di riferimento che sono tipici della condizione umana, interviene qualcosa di violento che interrompe questo processo, a volte addirittura lo inverte, ed è come se rendesse la persona incapace affettivamente di crescere, di crescere normalmente come avverrebbe in un percorso naturale. Quindi in un caso così occorre il sostegno ovviamente di specialisti. Ma direi ancora di più in proposito cioè che per aiutare una persona abusata non basta uno psichiatra, perché una persona abusata proprio a causa di questa deformazione che subisce la sua mente, la sua anima, i contorni del sé, è come un pozzo senza fondo. È un'anima che ha un bisogno d'amore sterminato a cui nessuno è in grado di rispondere. Direi allora che occorre una comunità, anche con persone che si alternano nel tempo, cioè tanta gente che con la sua azione amorevole curi come un balsamo queste ferite che sembrano inguaribili.

Diletta, la giovane di cui il libro racconta, è una cristiana convinta ed è aiutata anche da un anziano religioso. Ma che peso ha, che ruolo ha la fede nella sua rinascita?

Sì, nel suo caso lei è una credente, anche se la fede non le basta. Durante il percorso della sua vita, pur avendo conosciuto la fede da bambina e poi averla coltivata durante la giovinezza, a un certo punto qualcosa non funziona più. Cioè è come se in un motore si fosse messo in mezzo agli ingranaggi  qualcosa che lo blocca. Lei non capisce di cosa si tratta fin quando non scopre la questione di questo primo abuso che ha subìto. La fede va in crisi perché è come se non fosse uno strumento in grado di supportarla in questo precipizio in cui è caduta. Solo che a un certo punto, man mano che va avanti, fa delle esperienze profonde e soprattutto, proprio il giorno in cui subisce una molestia molto grave da parte di un parente quando è già in età adulta, incontra sul muro di casa sua l'immagine di un crocefisso e lì, in quel momento così drammatico, lei guarda questo crocefisso sulla parete e si rende conto, per la prima volta nella sua vita, di essere come lui, di essere come quell'uomo inchiodato su due pezzi di legno. Nuda era lei, nudo è lui; ferito è lui, ferita era lei, e capisce che può identificarsi completamente con quello che è successo a Gesù Cristo. Lei stessa in quel momento è un'altra "povera crista". Questa identificazione le dà una chiave di lettura nuova della situazione, perché il dolore per lei a quel punto non è più una cosa astratta, terribile, che le è capitato come una zecca che le si è attaccata addosso e che si deve strappare al più presto possibile. Il dolore diventa una persona, per la prima volta lo riconosce come Qualcuno. E questa traslazione, questa identificazione con il Gesù del dolore, apre il suo dolore a un dialogo e può pronunciare la parola Padre, Abbà, papà, proprio perché lei è un altro Gesù in quel momento, un altro Gesù crocifisso. Questo fatto è per lei una svolta significativa, direi essenziale: da quel momento il suo percorso di risalita si fonda su un dialogo che prima non aveva mai avuto e che le consente di tirar fuori dal dolore, distillate in gocce, delle perle di sapienza, di consapevolezza che le consentiranno anche di guarire la sua psiche.

Si diceva prima che Diletta fa un'intensa vita di comunità, che non è risolutiva, ma che in qualche modo l'accompagna. Questo tema dell'accompagnamento delle vittime di abusi che siano bambini ma anche donne, ci chiama in causa tutti, ma soprattutto chiama in causa associazioni, movimenti, parrocchie, diocesi. Ci vorrebbe un'attenzione maggiore, insomma, in questo?

Allora, dobbiamo riconoscere che ciò che è accaduto nella Chiesa - siccome conosco di più la Chiesa cattolica io mi riferisco a questa - è stato tragico perché all'interno della nostra Chiesa sono successi molti abusi su minori e soprattutto molti abusi di potere che hanno distrutto significativamente tantissime persone. Ora la Chiesa si è messa decisamente in un cammino di rinnovamento e in questo senso è un'apripista, perché nessuno sta facendo altrettanto nel mondo. Io spero che questo enorme sforzo che la Chiesa sta facendo di trovare il modo di proteggere le persone, soprattutto le più fragili, sia un modo di chiedere scusa, di chiedere perdono per il male che tanti suoi membri hanno fatto a vittime innocenti.

Fernando Muraca, la storia raccontata in “Ho attraversato il fuoco” vuol essere un messaggio di speranza: “Io però sono qui, viva. Innocente”, dice alla fine la protagonista. È così? È anche questo che lei vorrebbe suscitare nel lettore?

Ogni storia, ogni narrazione è una parabola. Le parabole sono racconti simbolici attraverso cui noi diciamo una storia particolare e nello stesso tempo diciamo qualcosa in senso universale sull'uomo. Ora, la storia di Diletta - che è un nome di invenzione, perché ho dovuto proteggere una protagonista vera -, è una storia di riconciliazione, è una storia di superamento, è una storia di uscita da un dolore incontenibile. È la storia di una donna che ha ricominciato a vivere facendo i conti con ferite che sembravano del tutto inguaribili e anche se le ferite - come quando ci rompiamo un osso a un certo punto d'inverno tu lo senti che magari dieci anni fa ti si è rotto quell'osso -, così anche nella mia protagonista ciò che ha subìto ha lasciato dei segni, però nello stesso tempo, con orgoglio, la testimone vera può ribadire che il percorso che ha fatto con quell'uomo crocifisso che ha visto quel giorno appeso a due pezzi di legno, è un cammino attraverso il quale ha potuto ritrovare se stessa e anche riconciliarsi con quella bambina che aveva perduto l'innocenza per mano violenta. Quindi, da un lato è una parabola, ma dall'altro è anche la rappresentazione di una cosa che è accaduta.

Ed è un incoraggiamento a chi si trovasse in queste situazioni o situazioni simili...

Certo, perché vuol dire che esistono cammini per ricominciare, qualsiasi cosa ti può capitare nella vita, anche la più assurda, la più distruggente, è possibile trovare un filo attraverso il quale trovare la strada perduta, cioè quella sensazione di "essere nella vita" che ognuno di noi deve avere per riuscire ad andare avanti nella gioia e nel dolore.

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16 aprile 2023, 10:00