Giornata contro le mine antiuomo: disastro peggiorato dalla guerra in Ucraina
Michele Raviart - Città del Vaticano
“Anche dopo la fine dei combattimenti, i conflitti spesso lasciano dietro di sé un'eredità terrificante: mine terrestri e ordigni esplosivi che affliggono le comunità. La pace non porta alcuna garanzia di sicurezza quando le strade e i campi vengono minati, quando ordigni inesplosi minacciano il ritorno delle popolazioni sfollate, e quando i bambini trovano e giocano con oggetti lucidi che esplodono”. Ad affermarlo è il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un messaggio rilasciato in occasione della Giornata internazionale sul problema delle mine e degli ordigni inesplosi, che si celebra oggi in tutto il mondo.
Un fenomeno aggravato dai conflitti in corso
Sono 60 i Paesi contaminati dalle mine antiuomo, 29 quelli in cui sono presenti bombe a grappolo, in una situazione aggravata dai 31 conflitti in corso nel pianeta, tra cui quello in Ucraina. “Sono ordigni che sono attivi per oltre 70-80 anni dalla fine di un conflitto - spiega Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine -, questo significa che la guerra lascerà un’eredità pesantissima. Evidentemente troveremo un disastro in Ucraina non appena sarà possibile agire a protezione della popolazione civile”.
Aumenta il numero delle vittime
I Paesi dove si registra una maggiore presenza di ordigni sono la Cambogia, l'Afghanistan, la Colombia, l'Iraq. Fino a qualche anno fa le persone colpite da mine inesplose erano circa 20 mila l’anno, al 90% civili e la metà bambini. Il numero era sceso per poi aumentare dal 2017. “Sono ordigni che rimangono seppelliti nel terreno o nascosti nella vegetazione. Molte volte vengono utilizzati anche in maniera terroristica, mettendoli all’interno delle case, nei pozzi o vicino a infrastrutture, nelle scuole o sotto un giocattolo - chiarisce Schiavello -, spesso la gente perde la vista, e poi c’è l’impatto economico che è quello di non permettere a questi Paesi, in gran parte a vocazione agricola e dediti alla pastorizia, di poter accedere alle terre e ai mezzi di sostentamento. È un disastro globale, perché sono armi crudeli che colpiscono indiscriminatamente ed è per questo che sono messe al bando”.
Vietato il commercio, non la produzione
Il commercio legale di mine antiuomo è vietato a livello internazionale ed è formalmente fermo, anche se alcuni Paesi come Pakistan, Singapore e Russia continuano a produrre, sottolinea ancora Schiavello. In alcuni Paesi, come la Libia, gli arsenali sono stati saccheggiati da milizie irregolari o jihadiste e poi ritrovati in Siria, mentre altri Paesi come l’Ucraina – dove all’inizio della guerra erano stoccate ancora 3 milioni e mezzo di mine – non li hanno distrutti come richiesto dalle Convenzioni internazionali a causa degli ingenti costi di smantellamento.
L'impegno dell'Onu e della Santa Sede
Le Nazioni Unite sono infatti fortemente impegnate nel contrastare questo fenomeno e hanno istituito un’agenzia specializzata in questo, l’UNIMAS, oltre ad aver promosso la Convenzione sulla messa al bando delle mine antipersona, aperta nel 1997 e alla quale hanno aderito 164 Paesi e, nel 2008 la Convenzione sulle munizioni a grappolo, firmata da 18 Stati. Un’attività che è tuttavia subordinata alle donazioni internazionali annuali. Al 97% provengono da soli 15 Paesi, tra cui Norvegia, Germania, Giappone e Stati Uniti, che hanno stanziato oltre 500 milioni di dollari l’anno, ma che tuttavia stanno riducendo il loro impegno economico negli ultimi anni (-7% nel 2022), anche a causa della pandemia. “Papa Francesco ha più volte richiamato l’attenzione su questo problema e la Santa Sede negli anni ha sempre dato un contributo molto importante riguardo queste convenzioni - conclude Giuseppe Schiavello -, supportandone il cammino fino alla loro approvazione e anche successivamente con richiami specifici per porre l’attenzione sulle vittime innocenti di questi ordigni”.
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