Kenya, padre Binaghi: dagli slum l'invocazione al rispetto della dignità dei migranti
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"Io ho l'odore dell'immondizia. Non è piacevole ma un onore averlo addosso". Padre Maurizio Binaghi, sacerdote comboniano, ci parla da Nairobi, la capitale del Kenya. Siamo nell'Africa orientale, in un Paese dove in vent'anni la popolazione è raddoppiata, con il 35 percento al di sotto dei 35 anni di età. Sono questi giovani, il futuro potenziale della società, a non avere altro di meglio da fare che vagare nelle discariche della città per raccattare cibo e qualsiasi scarto possa essere rivenduto, perfino le buste di plastica. A questi giovani si dedicano le energie della missione. A questi giovani, che non fanno notizia, vogliamo dedicarci qui.
Tra le baraccopoli più disfatte
Dai palazzi popolari di Chicago, unico bianco tra centomila neri, alle baraccopoli di Korogocho. Padre Binaghi, da quasi trent'anni fuori dall'Italia, ci accenna al passaggio che ha vissuto e che definisce non troppo traumatico, dalla realtà americana a quella africana. Perché sempre di margini si tratta. Un passaggio che lo ha aiutato a comprendere ancora di più che c’è una parte di umanità lasciata in disparte, guardata dall’alto in basso. "L’andare ai margini, dove il Cristo è crocifisso ma poi risorge sempre, mi ha plasmato molto la spiritualità e il mio essere prete", spiega. Dopo aver abitato gomito a gomito tra i discriminati della 'windy-city', è finito a Nairobi dove quel desiderio di tornare alle radici della combonianità si è fatto carne. "A Chicago i ragazzi non morivano di fame, anche se erano morti dentro, antropologicamente morti. Qui c’è una vitalità diversa ma c’è una povertà terribile. A Korogocho ci sono le baraccopoli più disfatte della capitale".
Nella discarica più grande in Africa, lasciarsi convertire dagli scartati
Il parlare di padre Maurizio è appassionato, il tono è limpido. Racconta di aver deciso di alzare l’età dei programmi per ragazzi di strada "perché i bambini ‘vendono bene in Italia e in Europa’", mentre i giovani fanno meno notizia, lascia intendere che sono come trasparenti, invisibili. "Gli adolescenti si fanno di droga, c'è una giustizia sommaria da parte della polizia che è all’ordine del giorno. Sono loro i più abbandonati per me". Sottolinea che le attività di riabilitazione che coinvolgono questi ragazzi sono tutti improntati a un'unico obiettivo fondamentale: riscoprire l’umanità. "Io dico sempre che il nostro compito di missionari è volere bene. Perché Dio ci vuole bene per quelli che siamo. È perché Gesù ci vuole bene che siamo buoni, non il contrario. Ed è un dono gratuito. E noi missionari lo dobbiamo testimoniare. Poi ci sono le opere, tante buone opere, ma se alla radice non c’è il volere il bene delle persone diventiamo solo degli assistenti sociali. Lo dice spesso il Papa. Lui dice che bisogna avere il dono delle pecore. Ecco, qui di pecore non ne abbiamo, ma io ho l’odore dell’immondizia, della povertà più brutale. Ed è un onore averlo addosso, anche se non è piacevole".
Il religioso prova a darci un'idea della discarica di Nairobi, forse la più grande dell’Africa. Quasi 6 milioni di persone vi scarica di tutto: dai rifiuti tossici alle plastiche. Dalle 2500 alle 3000 persone vivono dei rifiuti degli altri. Raccolgono ciò che possono per rivenderlo o mangiarlo. "Una volta avevo portato qui il giornalista Gad Lerner per documentare la situazione. L’immondizia ci arrivava alle ginocchia. Un ragazzino aveva trovato lo scarto di un panino presumibilmente piombato lì da un aereo. Lui si accingeva a mangiarlo e prima di farlo ha pregato. Ha ringraziato il Signore per il cibo che aveva. Io non avrò mai quella fede lì, di quel ragazzino che probabilmente non va in chiesa, magari è già morto ma che, mangiando l’immondizia, ha detto 'grazie Signore'. Questa è la conversione di cui il Papa parla spesso. Lasciarci convertire da questi 'scarti' ma così ricchi e belli dentro.
"Se ci accorgessimo dell'Africa, rispetteremmo gli immigrati"
Perché l’Africa interessa così poco al mainstream dell’informazione? "Perché, se davvero il mainstream dell’informazione andasse a fondo, chiunque ha una coscienza si interrogherebbe. Meglio parlare dell’Africa quando ci sono i disordini, le grandi tragedie naturali, il caos. La vita quotidiana dell’Africa, che a modo suo è molto laboriosa, che nonostante tutto vuole andare aldilà del mero sopravvivere, non interessa. Se noi ci accorgessimo della fatica che tanta gente qui fa per vivere - spiega Binaghi - allora certe idiozie che sentiamo sugli immigrati avremmo il pudore di non dirle. Certi luoghi comuni avremmo il pudore di evitarli. Perché sono lesivi non solo della dignità degli immigrati ma anche di chi le dice queste cose. Sentite da qui sono di una banalità, di un qualunquismo che non saprei descrivere". E prosegue accennando ai tanti amici che vanno a trovarlo per vedere come si vive in discarica: "Ci sono solo lacrime. Allora, non si parla dell’Africa perché ci metterebbe in crisi. Io sono fuori dall’Italia dal ’94 ma quello che mi sconvolge è la superficialità, la banalizzazione, e forse l’ignoranza".
Mattarella e il Papa: parlano con il cuore scuotendo le coscienze
La visita di Mattarella nel Paese, a metà marzo scorso, "è stata una boccata d’aria fresca di cui c’era assoluto bisogno", sostiene padre Maurizio, che ha avuto occasione di scambiare con lui qualche parola, quel tanto che gli ha confermato di essere una delle poche figure che "riesce a tenere alto il livello del nostro parlare e a ridare dignità alla politica. Ci dà speranza. Purtroppo - osserva - si pensa spesso con la pancia e non con il cuore". Il presidente della Repubblica italiana era in Kenya per testare i risultati della cooperazione nell'ambito soprattutto della formazione professionale dei giovani, appunto. Proprio da lì, mentre apprezzava l'opera dell’Istituto St. Kizito, gestito da Avsi, che ogni anno forma 800 giovani kenioti attraverso corsi di vario genere, dichiarava, a proposito dei flussi migratori, che il fenomeno è "epocale e non è affrontabile in maniera bilaterale, ma con una congiunta e lucida iniziativa europea".
La consapevolezza dello stesso capo di Stato è stata di una nazione che potrebbe costituire un esempio virtuoso per la regione del Corno d'Africa, una delle più critiche del pianeta. Di fatto, come conferma Binaghi, il Kenya vive una sorta di stabilità, tuttavia non raggiungono l'opinione pubblica internazionale le tensioni che il Paese pure attraversa. Per esempio, per circa tre settimane nel mese di marzo, ogni lunedì e giovedì a Nairobi ci sono state proteste anche violente sfociate in molti casi in scontri, sassaiole, distruzioni varie. "L’opposizione scende in piazza perché non accetta la sconfitta alle elezioni dello scorso anno. Non se ne parla - sostiene ancora il religioso - perché il Kenya è meglio 'tenerlo buono', anche per i turisti. Eppure migliaia sono le persone coinvolte. Il governo cerca di contenerle senza usare una repressione eccessiva". Chi di cuore ce ne mette tanto è il Papa che in Africa è riuscito ad andare e "come pellegrino di pace ha dato davvero un segnale forte", ammette Binaghi. Ricordando la miseria in cui vive la gran parte delle popolazioni in Africa, le corruzioni di tanti governi e le forti diseguaglianze sociali (in Kenya solo il 2% gode di un certo benessere), il comboniano rimarca che "il Papa ha il dovere di scuotere le coscienze, di ricordarci la nostra fede e guai a noi se non ci lasciassimo interrogare, se non ci dessero fastidio certe cose. È un peccato morale e sociale abituarsi a certe cose".
Negli slums di Nairobi, il sostegno di GiacomoGiacomo onlus
Il volto del Kenya che si conosce poco, dunque, è quello che si cela dietro le attrazioni del turismo o i primati degli atleti sportivi autoctoni. È quello dei giovani che, nonostante l'opera di numerose Ong impegnate nel togliere dalla strada centinaia di 'parking boys' (una per tutte la "Undugu Society" attiva dal '78 per promuovere innanzitutto l'educazione), non troveranno mai lavoro. "Vagano per le strade in bande di criminalità", racconta ancora Binaghi. "Molti vengono radicalizzati e portati in Somalia per le milizie di Al-Shabaab. Noi facciamo un cammino con loro per riscoprire la dignità, ridare speranza. Dove è possibile li reinseriamo nella scuola o facciamo in modo che imparino un mestiere".
Un sostegno importante arriva dall'associazione italiana GiacomoGiacomo che dal 2007 porta avanti progetti per l’educazione di bambini, ragazzi e adulti: una collaborazione coordinata da volontari sul campo impegnati durante tutto l’anno negli slum di Nairobi. Negli anni ha contribuito a completare la costruzione di tre scuole gestite dai padri comboniani e dalle Evangelizing Sisters of Mary. "Fa anche un bellissimo lavoro con le donne", precisa padre Maurizio che insiste: "Fare il bene bisogna farlo bene. Perché, attenzione, spesso anche con le migliori intenzioni non si coinvolge davvero la popolazione locale. Abbiamo l’umiltà di ascoltare? Di capire che non siamo noi i protagonisti? Noi siamo qui per accompagnarli, per stare con loro. Sono loro che devono guidare il cammino". Fides Muenda è l'assistente sociale keniana che lavora con l'associazione e spiega quanto supporto dia ai ragazzi per sperare in un futuro migliore:
L'appello di padre Maurizio è guardare all’Africa con il rispetto che essa merita. "Fra di noi ci si dà del lei. Quando si incontra un immigrato si dà sempre del tu...". Facciamoci caso. Guardare con occhi liberi ai popoli che abitano alle diverse latitudini del continente aiuta a "non fare paragoni frettolosi. La diversità arricchisce non impoverisce. Bisogna lasciarsi abbracciare dalla diversità, senza paura".
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