La luce dei bambini con malattie rare nell’ora buia della croce
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Chinato il capo, consegnò lo spirito”. Gesù muore sulla croce, nel suo “È compiuto”, ha spiegato Papa Francesco nell’udienza generale del primo aprile 2015, c’è la realizzazione della salvezza, “con il suo sacrificio, Gesù ha trasformato la più grande iniquità nel più grande amore”. Il Venerdì Santo è il momento in cui domina il buio ma anche il momento in cui ci si prepara ad accogliere la luce della Resurrezione. Sotto la croce c’è Maria, la madre che soffre in silenzio e che resta lì davanti all’ingiustizia e all’oltraggio, non volge lo sguardo dall’altra parte.
Le Marie di oggi
Come lei anche oggi ci sono tante Marie che stringono le mani di figli malati, che piangono senza mostrare al mondo il dolore che le attanaglia ma che sanno di non essere sole. La testimonianza in questi giorni è arrivata anche da Serena, la mamma di Angelica, la bimba affetta da Trisomia 18 morta al Policlinico Gemelli una settimana fa, che nell’abbraccio del Papa ha trovato conforto. “Quell’abbraccio è un abbraccio a tutte le famiglie che hanno un bimbo con una malattia rara – sottolinea il professor Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice Perinatale - Centro per le Cure Palliative Prenatali e Postnatali Santa Madre Teresa di Calcutta della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli – perché questi bambini sono i veri evangelizzatori. Le loro famiglie con i piccoli pazienti hanno coinvolto nella vita dei loro figli con fragilità, tantissime altre persone che hanno pregato e scoperto la fede, che hanno permesso di rivisitare il valore della testimonianza guardando al modo in cui hanno accolto la sofferenza. Hanno fatto trovare motivazioni profonde nel servire, come dice Madre Teresa, i più poveri tra i poveri, hanno anche illuminato le coscienze sul fatto che accogliere la fragilità significa accogliere la parola di Gesù”.
Il valore della testimonianza
“Queste famiglie – aggiunge ancora il prof. Noia – dimostrano molto così come i loro bambini, alcuni in cielo altri in vita, con il loro essere, con la loro fragilità, con gli abbracci che danno”. La Fondazione Policlinico Gemelli da 40 anni ha fatto suo il mandato di Madre Teresa: quello di accogliere i bimbi che le famiglie hanno difficoltà ad accettare. Difficoltà comprensibili, non si è mai pronti alla sofferenza ma stando insieme – ed è il messaggio che viene anche dalla Fondazione “Il Cuore in una Goccia” Onlus, in prima linea nel supporto delle coppie – la strada è meno faticosa e meno dura. “Ci siamo messi accanto a loro – sottolinea il direttore dell’Hospice – abbiamo assistito 5mila bambini, abbiamo lanciato l'idea che era possibile, in maniera scientificamente corretta, proporre alle mamme con figli affetti da una grave patologia fetale una risposta che fosse scientificamente giusta. È nata così la cura del feto in utero, la diagnosi prenatale mirata non a selezionare ma a curare, a fare trattamenti palliativi prenatali e postnatali. È nato il telefono rosso, una linea telefonica a future e neo mamme, poi l’hospice, il primo ufficializzato in Italia, e negli stessi anni la fondazione “Il Cuore in una goccia” che lo supporta”.
“Il modello Gemelli”
Scienza, famiglia e fede. Sono le tre braccia che compongono l’opera della fondazione, “il modello Gemelli” replicato anche in altre strutture che poggia sull’accoglienza, la cura delle fragilità ma anche il supporto della preghiera “fatta – spiega Noia – attraverso cenacoli sparsi in Italia, ma anche di carità, di sostegno psicologico alle mamme che hanno fatto queste scelte forti non rinunciando al proprio bambino ma accompagnandolo nella cura. C’è anche il sostegno economico con un fondo che si chiama Adotta una Lucetta. L’hospice non è solo un luogo medico ma anche un luogo di assistenza relazionale dove la famiglia non viene mai lasciata sola nella desolazione ma accompagnata, pur nella verità di quella diagnosi difficile. È accaduto per Matteo e Serena, i genitori di Angelica, che hanno accolto la loro unica figlia”. “Quando una famiglia arriva – spiega il dottore - ci sono diversi momenti: l'accoglienza che è fatta anche di ascolto e poi c'è una precisazione diagnostica perché la scienza non viene mai messa fuori da questo percorso. Quando precisiamo la diagnosi spesso le situazioni o sono come si pensava o non sono così gravi come potevano sembrare. In questo caso se sono passibili di terapia le utilizziamo, si tratta di terapie fetali invasive o non invasive. Abbiamo fatto più di ottomila procedure terapeutiche per il feto con una buonissima percentuale di sopravvivenza pari al 65% in patologie che molti dicevano non fossero curabili”. “Non perché siamo più bravi, - aggiunge Noia - ma perché applichiamo i concetti etici e scientifici che abbiamo maturato in 30 anni senza fare accanimento terapeutico e parlando con sincerità alle mamme”. Da qui i trattamenti e quindi la cura del bambino e della loro famiglia: 700 nuclei famigliari in 7 anni hanno chiesto questo tipo di assistenza. È un modo di stare accanto che prevede anche il mutuo aiuto delle famiglie con lo stesso percorso e che quindi riescono a comprendere meglio certi passaggi anche molto dolorosi.
La santità delle famiglie
Il professor Giuseppe Noia parla di “una santità laica”, vissuta tutti i giorni, per le famiglie e che in questa Settimana Santa offrono una testimonianza di accoglienza, insegnano – dice il direttore dell’Hospice – che il fidarsi di Dio cambia la vita. “L'incontro con la croce di Cristo trasforma il cuore di chi lo cerca con un animo umile e sincero, chi si avvicina a questi percorsi subisce la trasformazione del cuore. La sclerocardia, l’indurimento del cuore che è tipico dell'indifferenza di questi giorni, si trasforma e fa sì che le diagnosi prenatali infauste non siano più una sentenza di morte ma colorano un percorso di speranza e di pace. Quello che dicono tutte le famiglie è che la sofferenza continua ad esserci però non con disperazione, ma con immensa pace del nostro cuore, per cui le ferite diventano feritoie attraverso cui si vede la luce di un modo nuovo di vivere la sofferenza. Tutto questo avviene quando ci facciamo accompagnare da Dio e dagli uomini, i cirenei – le famiglie testimoni – come anche tutti gli operatori sanitari che nell’hospice in maniera gratuita e volontaria si mettono insieme per affrontare le varie patologie”. Nessuno è incompatibile con la vita, ha detto Papa Francesco, ma ci sono condizioni – sottolinea Noia - che limitano la vita. Il professore si sofferma, in conclusione, sull’aspetto umano, sulle reazioni di molte famiglie che vedono i loro bambini trattati con rispetto e dignità. È un sostegno a tutto campo che offre un orizzonte di speranza, la stessa che Gesù e la Pasqua portano al mondo di oggi.
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